Enrico Franceschini, la Repubblica 24/7/2011, 24 luglio 2011
IL PIU’ GRANDE STUNTMAN DEL MONDO
Lo avete visto al cinema un´infinità di volte, eppure non conoscete il suo nome. Ha interpretato la parte di alcuni dei personaggi più famosi di Hollywood, da James Bond a Indiana Jones, da Superman a Terminator, ma nessuno ricorda il suo volto. Il suo mestiere è fare l´attore, sebbene non c´è mai stato un premio Oscar per quelli della sua categoria. Vic Armstrong è uno stuntman, o meglio è il più grande tra i cascatori di professione: coloro che sostituiscono i divi nelle riprese pericolose, che fanno i testa-coda in auto, cadono da cavallo, si buttano dalle finestre, attraversano il fuoco, rischiano addirittura la vita, spaccandosi costole, braccia, gambe, mettendo in gioco tutto, tranne la faccia, che è o almeno deve sembrare quella di un altro.
Avete presente la scena di Indiana Jones e l´ultima crociata in cui Harrison Ford, nel ruolo dell´intrepido antropologo, in groppa a un cavallo al galoppo salta al volo sulla torretta di un carro armato? Be´ non era Harrison Ford a saltare con il pericolo di rompersi la spina dorsale, era Vic. Ricordate quando Christopher Reeve, nel primo Superman, sfonda il tetto del rifugio del suo nemico Luthor? Non era Christopher Reeve, a rischiare di fracassarsi il cranio era Vic. E vi è rimasto in mente quella scena di Mai dire mai in cui Sean Connery, nel ruolo dell´agente 007, si butta a cavallo dalla cima di un castello nell´oceano sottostante, con buone probabilità di non riemergere più? Non era Connery, era sempre Vic. Lo stesso vale per l´inseguimento dell´Aston Martin nel film di 007 Die another day. Per il salto dall´elicottero alla fine di Charlie´s Angels. Per la rissa nel bar in Terminator 2. Vic, Vic, Vic. Sembra un altro, invece è sempre lui. Quando gli effetti speciali e le finzioni computerizzate non bastano, quando l´azione deve essere il più realistica possibile, ci vuole uno stuntman. E come stuntman nessuno è bravo, coraggioso o pazzo quanto Armostrong. Che adesso, a 64 anni, passato a dirigere stuntmen più giovani, a insegnare loro come si fa e a suggerire soluzioni impossibili ai registi, ha deciso di raccontare la sua storia in un libro, The True Adventures of the World´s Greatest Stuntman. Il titolo non esagera.
La sua carriera poteva terminare prima di cominciare, se non fosse stato per il senso dell´umorismo di Sophia Loren. Figlio di un addestratore e allevatore di cavalli, Vic era un fantino provetto fin da bambino. Nel 1966 i produttori di Arabesque, un film con la diva italiana e Gregory Peck, chiamano le scuderie di Armstrong senior per noleggiare qualche destriero: quelli che avevano preso erano vecchi ronzini incapaci di saltare un ostacolo, dunque inutilizzabili per le scene avventurose previste dal copione. Papà Armstrong manda il diciottenne Vic a consegnare i cavalli e il regista lo assume su due piedi: per venti sterline a giornata deve fare la parte di uno degli attori principali nelle scene riprese da lontano. Vista la sua dimestichezza con i cavalli, presto gli viene assegnato anche un altro incarico: tenere fermo per le briglie quello della Loren quando si girano i primi piani. Solo che il cavallo si innervosisce, scalcia e spaventa l´attrice. «Vic, Vic, ma perché fa così?», gli domanda lei preoccupata. «Stava seduta praticamente seminuda sulla schiena del cavallo, senza sella», ricorda lui ora, «e non riuscii a trattenermi dal fare una battutaccia. "Se lei stesse nuda in groppa a me scalcerei anch´io, signora", le dissi». Per una simile irriverenza potrebbe venire licenziato su due piedi. Ma Sophia scoppia a ridere, commentando «birichino, birichino», il cavallo dopo un po´ si calma e così la carriera dello stuntman di maggiore successo di tutti i tempi va avanti.
A vederlo oggi, con i capelli grigi e qualche chilo di troppo, Armstrong non mostra il carisma dell´uomo di spettacolo. Ma a scorrere le foto di scena delle decine di film a cui ha partecipato si cambia presto idea. L´elenco è lungo: Si vive solo due volte, La figlia di Ryan, Barry Lyndon, Un uomo chiamato cavallo, Il grande sonno, I duellanti, Superman, I predatori dell´arca perduta, Blade runner, Conan il barbaro, Mai dire mai, The Mission, Gangs of New York, Mission impossible, L´uomo ragno, per citarne solo una piccola parte. Ha lavorato con molti dei registi più importanti dell´ultimo mezzo secolo, da David Lean a Stanley Kubrick, da Ridley Scott a Martin Scorsese, da Steven Spielberg a David Lynch, da Michael Cimino a Roman Polanski; e accanto, o meglio, al posto di tantissime star di Hollywood, Sean Connery, Omar Sharif, Robert Mitchum, George Segal, Donald Sutherland, Ryan O´Neal, Malcom McDowell, Anthony Quinn, Peter Sellers, James Caan, Albert Finney, Gene Hackman, Roger Moore, Pierce Brosnan, David Niven, Harrison Ford, Arnold Schwarzenegger, Tom Cruise, Robert De Niro, Sylvester Stallone, Mel Gibson, Nicholas Cage.
Dell´attore, da giovane, aveva il look. Qualche volta ha pure recitato come tale e perfino diretto un paio di film per la televisione. Ma non si è mai illuso di poter rimpiazzare le stelle per le quali rotolava nella polvere. «Con alcuni siamo diventati amici ed erano loro i primi a scherzarci sopra», ammette, come quando Harrison Ford gli regalò una foto che li ritrae uno accanto all´altro, entrambi con il costume di scena e il trucco da Indiana Jones, praticamente indistinguibili uno dall´altro (il figlio di Ford continuava a chiamare Vic "papà" ogni volta che lo incontrava sul set), con il suo autografo e la scritta: «Se tu avessi anche il dono della parola, io sarei nei guai», ovvero potrei essere sostituito anche nel resto del film e restare disoccupato.
Non è che Armstrong sia molto loquace anche quando è fuori dal set. A una domanda su cosa lo abbia influenzato a diventare uno stuntman, su quali esperienze durante l´infanzia o la gioventù lo abbiano spinto in questa direzione, risponde laconico: «Sono cresciuto insieme ai cavalli, il che ti dà un certo senso di sicurezza ed equilibrio». Va bene la sicurezza, d´accordo l´equilibrio, ma non ha mai paura, quando deve compiere una delle sue prodezze davanti alla cinepresa? «Certo capita di essere un po´ nervoso. Ma non è tanto la paura di cadere e farsi male, quanto quella di commettere un errore, sicché il regista è costretto a girare di nuovo la scena. Ripetere una scena significa perdere un sacco di tempo e sprecare un bel po´ di soldi. Vuole anche dire costringere un sacco di gente ad aspettare che tu faccia la cosa giusta. È imbarazzante. Questa è la cosa che innervosisce di più. Con il tempo e l´esperienza, però, uno ci fa l´abitudine». Come si prepara uno stunt, ovvero una scena pericolosa ad effetto? «La preparazione è la parte più importante. Come sempre, nel cinema, quello che lo spettatore non vede è più importante e difficile di quello che poi vedrà sullo schermo. Per esempio, la scena di Indiana Jones in cui salto da un cavallo in corsa su un carro armato è considerata da alcuni come uno degli stunt più pericolosi mai tentati. Ma io avevo passato ore ad addestrare il cavallo a compiere il percorso, avevo sistemato delle pietre lungo il tragitto per aiutarlo a capire dove doveva correre, in modo che restasse sempre parallelo al carro armato, vicino ma non troppo. Il mio balzo dalla groppa del cavallo alla torretta del carro armato, alla fine, era relativamente semplice, rispetto a tutto il training e alla preparazione che lo hanno preceduto». È orgoglioso di quello che ha realizzato: «Penso di averne fatta di strada. Dalle venti sterline al giorno di Arabesque nel ´66, adesso sono responsabile di un budget di trenta milioni di dollari per gli effetti speciali e gli stunt. Tre dei miei figli hanno seguito la mia carriera e lavoriamo spesso insieme, la quarta è una campionessa di equitazione. Anche mio fratello fa lo stuntman, e pure suo figlio, mio nipote. Siamo una famiglia di cascatori professionisti, come una di quelle vecchie troupe dei circhi equestri di una volta: amiamo i cavalli, ci piace sembrare spericolati come gli acrobati sul trapezio, ma in realtà siamo attenti e prudenti in tutto quello che facciamo, e soprattutto, ci divertiamo a fare questo mestiere».
Qualcuno prevede che non esisterà ancora a lungo il mestiere dello stuntman: lo stanno facendo sparire i CG, come si dice in gergo, i computer graphics, le animazioni computerizzate, in grado di ricreare mondi interi e situazioni, qualsiasi cosa, come si è visto in Avatar. Ma Vic Armstrong non è d´accordo: «Niente eccita uno spettatore come una dose di realismo, come uno stunt fatto sul serio, da un uomo e in carne e ossa». E lui ne fa ancora, per tenersi in allenamento? «Non salto più in corsa dalle groppe dei cavalli. Ma un testa-coda in macchina so ancora farlo. Vuole provarne uno?». Se state leggendo questo articolo, vuol dire che non ha dimenticato come si fa senza fracassare l´auto, se stesso e il passeggero al suo fianco.