Riccardo Staglianò, la Repubblica 24/7/2011; Stefano Bartezzaghi, la Repubblica 24/7/2011, 24 luglio 2011
L’ARTE DELLA LISTA
(due articoli) –
Le «parole indesiderabili» e le «parole più adeguate». Le «persone che devo perdonare» e le «persone che mi interessano». Le qualità che hanno spinto un architetto di genio a innamorarsi della sua seconda moglie. Il catalogo, vasto, dei tipi di alcol di cui uno scrittore molto acuto è appassionato. La selezione di artisti che l´inventore del cubismo raccomanda per una mostra (più uno, famoso e per di più suo amico, prima tralasciato e poi aggiunto).
Liste di ogni genere per tentare di dare un minimo ordine al caos della vita. Passamano di carta cui aggrapparsi quando le furiose tempeste in cui finiamo quotidianamente ci fanno sbandare in ogni direzione, eccetto quella verso cui vorremmo procedere. Fogli, taccuini, blocchi da disegno che diventano le ascisse e le ordinate dove tracciare i nostri assurdi grafici esistenziali. Di questo parliamo quando parliamo di Lists: To-dos, Illustrated Inventories, Collected Thoughts and Other Artists´Enumerations, sorprendente mostra alla Morgan Library di New York (fino al 3 ottobre). Un´immane quantità di intelligenza, tranche de vie, frammenti di discorsi amorosi, resoconti di incombenze prosaiche, il tutto ospitato in una sala, neanche tanto grande e neppure troppo affollata, del secondo piano della biblioteca che porta il nome di uno dei finanzieri più leggendari della storia americana, che morì a Roma nel 1913 e lasciò la sua pantagruelica collezione d´arte alla Library che Renzo Piano ha di recente reinventato. La locandina dell´esibizione è la gigantografia di un foglio di bloc-notes a spirale dove il pittore Adolf Konrad nel ´63 disegna ad acquerello ogni singola cosa da mettere in valigia per affrontare un viaggio in Europa. Una giacca, un impermeabile, sei paia di calzini, scorte di penne, colori e matite e così via, tranne le scarpe. Non è l´unico catalogo illustrato, dal momento che i fogli esposti provengono da cassetti e armadi dimenticati degli Archives of American Art della Smithsonian Institution dove la curatrice Lisa Kirwin li ha salvati dall´oblio indistinto della categoria «miscellanea».
Volendo tematizzare ulteriormente, d´altronde il gioco è questo, possiamo suddividere i reperti tra quelli che si occupano di cose mentre altri raccontano sentimenti. Si va dalla biografia alcolica desumibile dal conto che il newyorchese John Heller´s Liquor Store presenta all´espressionista astratto Franz Kline come dotazione per la festa dell´ultimo dell´anno del ´60: 265,67 dollari, una cifra ragguardevole per l´epoca. Alla classifica dei drink preferiti da H. L. Mencken, giornalista e scrittore, inventore del termine Bible Belt per indicare i più bacchettoni tra gli Stati dell´unione, confessati all´amico pittore Charles Green Shaw nel ´27: «Birra in ogni forma, vini Mosella, Borgogna, Chianti, gin e ginger-beer e whisky di segale. Uso il punch svedese solo per aromatizzare i cocktail. Non mi piace lo scotch e lo bevo di rado». Le liste della spesa del gallerista Leo Castelli, invece, sono più sobrie. «Dall´emporio: schiuma da barba Schick, lamette, Anacin (un farmaco contro l´emicrania, ndr)». Ma anche, nello stesso foglio di carta intestata, «chiamare Andy» che, al 99 per cento, è il Warhol che sarebbe stato contento di dividere lo spazio con i prodotti commerciali celebrati dalla sua pop art. La rubrica degli indirizzi dello scultore Alexander Calder è assemblata a mano, foglio dopo foglio, con grandi capolettera dipinti a pennello. In una stretta scheda ingiallita Picasso butta giù la squadra di quelli che è giusto invitare all´Armory Show di Chicago del ´13, prima edizione della grande mostra internazionale d´arte contemporanea. C´è Juan Gris, Leger, Duchamp (scritto, con licenza cubista, «Duchan») e infine, aggiunto in un secondo momento, in piccolo e con grafìa leggermente diversa, Braque, che pure era amico e collaboratore dell´artista spagnolo.
Sul versante più immateriale svetta il dodecalogo di Eero Saarinen. Il grande architetto e designer finlandese conosce Aline Bernstein, critica d´arte del New York Times, e non riesce a pensare ad altro. Lui è già sposato, lei pure. Ma quando lui le snocciola, scritti a matita color ocra rossa, tutti in maiuscolo in una paginetta singola, i motivi del perché è pazzo di lei, cede. «I) Per prima cosa mi sono accorto che eri molto intelligente. II) Che eri molto molto bella. III) Che eri perspicace. IV) Che eri entusiasta. V) Che eri generosa». Sino al finale, irresistibilmente sgrammaticato: «XII) Che più uno scava verso le fondamenta, più uno trova il granito più solido per me e te su cui costruire una vita insieme (lo so che non è una frase costruita bene)». Il senso non potrebbe essere più chiaro e convincente.
Anche la lista di Grant Wood, nella sua apparente ingenuità, è memorabile. Scritta a macchina nel novembre del ´31, fase acuta della Grande Depressione, l´autore di American Gothic rievoca le dodici crisi economiche precedenti durate almeno un anno. La morale arriva all´ultima riga: «Sono tutte finite eccetto questa. Forse anche questa finirà». Uno spaccato fobico-artistico è riassunto in una breve nota del performer italo-americano Vito Acconci, terrorizzato dal volo, alla vigilia di una partenza verso Halifax, Canada. «Lascerò una busta alla segreteria della School of Visual Art. La busta conterrà le chiavi del mio appartamento. In caso di morte la busta potrà essere ritirata dalla prima persona che la richieda. Che sarà libera di usare il mio appartamento, e quello che c´è dentro, come meglio crederà».
Il capolavoro inarrivabile resta quello del taglientissimo Mencken. In una lettera a punti nel dicembre ´27 aggiorna l´amico sui suoi sviluppi salienti. Si va dagli ultimi acquisti di scarpe a una riflessione sul matrimonio. Scrive: «Credo nel matrimonio e l´ho celebrato per anni. È la migliore soluzione, non solo alla questione del sesso, ma anche a quella della vita in generale. Voglio dire, per un uomo normale. La mia vita è stata troppo irregolare per considerarlo: sono stato troppo preso da altre cose. Ma ogni ragazza plausibile che si impegnasse un po´ potrebbe probabilmente catturarmi, anche oggi. Se mai mi sposerò sarà sulla base d´un impulso improvviso, come quello di un uomo che si spara. Me ne pentirò amaramente per circa un mese, e poi mi abituerò con soddisfazione». Al punto 18 elabora sulla felicità «necessariamente transitoria» e sul fatto che, sebbene «le donne possono rendere l´uomo perfettamente felice, raramente sanno come farlo. Possono anche essere la causa del peggior tipo di infelicità». Al punto 27, riguardo i suoi amori dice: «Negli ultimi tempi mi hanno dato per fidanzato con sei donne. Mi consola pensare che erano tutte affascinanti e che, tranne cinque, erano tutte belle. I loro redditi netti si aggiravano sui 2500 dollari».
Ordine nel caos, ragione nel sentimento, ma tutto ha un limite. Un paio d´anni fa Atul Gawande, chirurgo-star americano, ha fatto parlare di sé con un libro dal titolo A Checklist Manifesto. Prendendo esempio dai piloti d´aereo che passano in rassegna ogni parte cruciale dell´apparecchiatura di bordo e la spuntano prima di decollare, proponeva l´approccio delle liste in ogni settore, per ridurre il numero degli errori. I pensieri, sulla pagina, diventano quasi azioni. Anche le liste altrui risultano istruttive. Non foss´altro per capire che non siamo i soli a girare a vuoto, fallire, non essere all´altezza. E a insistere, giorno dopo giorno, a cavare uno spartito da quell´infinita jam session che è la vita.
****
APPENA PRIMA DELL’ECCETERA –
Fare, conoscere, giudicare. Era già una lista il titolo della conferenza che Wystan Hugh Auden teneva a Oxford, nel giugno del 1956. Un´altra lista compariva nel punto in cui il poeta elencava i quattro requisiti di un buon critico. Il primo riguardava a sua volta le liste: «le genealogie dell´Antico Testamento o il Catalogo delle navi nell´Iliade» che un buon critico non può non amare. Auden potrebbe allora fidarsi di noi, perché nella nostra epoca tutto pare pronto a disporsi in una lista, in un elenco, in un abbozzo di tassonomia.
Chi ha cominciato? Chiederselo ha poco senso. Certo non Fabio Fazio e Roberto Saviano, che in Vieni via con me hanno pur lodevolmente tradotto in sintassi tv la poetica dell´«enumeración caótica» studiata da Leo Spitzer nel 1945. Se già Woody Allen su un famoso divanetto newyorchese procedeva tramite microfono alla masturbazione mentale delle «cose per cui vale la pena vivere», il «mi piace / non mi piace» era stata anche la categoria di un capitolo del Barthes di Roland Barthes, forse l´unico autore al mondo che poteva davvero interessarci alla sua preferenza per l´odore di fieno appena tagliato e per le posizioni leggere in politica o alla sua avversione per le donne in pantaloni, per le tautologie e per Béla Bartók.
Nell´ultimo Gustave Flaubert è dalla lista che incomincia la resistenza all´assedio della stupidità umana. Carlo Emilio Gadda prosegue l´opera e compone furiosi elenchi di cognomi, villette, carabattole che poi, in via Keplero, manda finalmente a fuoco. Lo studioso Gian Carlo Roscioni ha applicato a tale vocazione gaddiana i principi del Singula enumerare e dell´Omnia circumspicere. Enumerare i dettagli, abbracciare la totalità con lo sguardo: la doppia ottica, miope e presbite, è di diretta derivazione cartesiana, poiché nella follia caotica dell´«enumeración» c´è un (discorso del) metodo.
Dal catalogo delle navi alla filmografia di James O. Incandenza, da Omero a David Foster Wallace, la lista è uno strumento di rappresentazione della molteplicità (come dice Italo Calvino) nonché occasione di voluttà e vertigine (come aggiunge Umberto Eco).
I nostri post-it, bloc-notes, lavagnette per i memoranda domestici ci dimostrano ogni giorno l´umile ma cruciale necessità della lista. Rabelais, Perec, Arbasino ne testimoniano l´intrinseco potenziale comico. Michel Foucault, appoggiandosi a Jorge Luis Borges, dimostra infine come la lista nasconde sempre il tarlo che la distrugge, il paradosso logico dell´insieme che vorrebbe contenere se stesso.
Oggi la scrittura per il web, svolgendosi tanto spesso per paragrafi anche numerati, ci lascia sospettare che la costruzione di una lista rimanga la principale (o forse primordiale) forma di sintassi a nostra disposizione. Ci rivolgiamo a questa, sino al mesto compromesso di ogni eccetera, ogni volta che il tempo dell´analisi si è drammaticamente accorciato e diventa urgente dirsi in fretta il necessario, perché sta per succedere chissà poi cosa.