Giuseppe Videtti, la Repubblica 24/7/2011, 24 luglio 2011
IL GIOVANE STING
Con o senza droga, sesso e rock & roll fanno scintille dai tempi di Elvis. In una acida serata londinese, Hendrix si fece fare il calco del membro da due irriducibili fan che ovviamente non ne fecero mistero. Jim Morrison, in una sorta di estasi erotica, lo esibì in pubblico durante un concerto dei Doors a Miami, e finì in manette. Una spudorata biografia di Janis Joplin rivela che la cantante una volta mise in fila un´intera squadra di rugby. Ma nonostante gli eccessi di trent´anni di rock, quando Sting magnificò il potere dell´amore tantrico fece ancora scalpore. Insomma sì, disse che un rapporto poteva durare anche cinque ore, che poi con la fervida immaginazione dei tabloid diventarono sette e poi nove. «È stato come darsi la zappa sui piedi», esclama Sting in una pausa delle prove del Symphonicity Tour - i suoi classici riarrangiati per voce e orchestra di cinquanta elementi.
Capelli a spazzola, fisico asciutto e scattante di chi corre otto chilometri al giorno, Sting compie sessant´anni il prossimo 2 ottobre. I sessant´anni che tutti vorrebbero avere ma pur sempre un´età in cui parlare di sesso tantrico sembra una boutade da Amici miei. «E perché mai?», protesta mentre in lontananza un oboe fa a pugni con le note di Englishman in New York. «Funziona, funziona. Sempre più e sempre meglio. La gente ci ride sopra perché non ha nozione di cosa sia il sesso tantrico - che non è scatenato ma riflessivo e quindi può durare molto a lungo - e di quanto sia salutare. Cosa la induce a pensare che la pulsione erotica a sessant´anni diminuisca? È pazzo? Io ho le stesse erezioni mattutine di quando avevo ventiquattro anni».
Butta un occhio a una foto della rassegna stampa in cui lui e sua moglie Trudie Styler (classe 1954, con la quale ha quattro figli, dopo i due avuti dalle prime nozze con l´attrice irlandese Frances Tomelty), da trent´anni la coppia più affiatata dello show business, si tengono aggrappati per i glutei e incollano le lingue come camaleonti ingordi d´insetti. «C´è anche da dire che non siamo una coppia normale, capita di stare settimane senza incontrarsi. È normale che quando ci si rivede…».
Devono essere state scintille anche alcune sere fa, a Ischia, dove entrambi e la figlia Coco, che ha da poco pubblicato l´album d´esordio, erano ospiti del Global Fest. Sting sorvola sul kamasutra e si ferma però a parlare dell´Italia, il Paese dove trascorre molti mesi all´anno e dove sono nati due dei suoi figli (il più giovane, Giacomo, è stato così battezzato in omaggio a Puccini). «Ogni volta che torno mi chiedo quale sia il mistero di uno Stato democratico che ha una classe dirigente che non gli somiglia affatto, la testa di un mostro appartenente a un altro corpo che non è quello del Paese, fatto invece di gente generosa, allegra, comunicativa, creativa. A Ischia ho scoperto un´altra cosa bella dell´Italia, Gino Paoli. Mi ha commosso vederlo in concerto. Ha cantato Sapore di sale con un quartetto jazz e l´ho trovato irresistibile con quel severo atteggiamento d´artista: questo sono io, vi piaccia o no».
Ci sono molti motivi, oltre al fatto che è invecchiato meglio di Newman e Brando, che fanno di Sting un sessantenne invidiabile: sedici Grammy Awards con e senza i Police, una nomination all´Oscar, un repertorio immenso e zeppo di canzoni già diventate standard, una popolarità che non accenna a scemare, una fortuna stimata in duecento milioni di euro che fanno della famiglia Sumner una delle cento più facoltose del Regno Unito. Sting non fa nulla per alimentare l´immagine ipocrita del rocker squattrinato e fricchettone. Ville, castelli, tenute e appartamenti sparsi per il mondo sono stati esibiti nelle più patinate riviste di case & giardini; la frenesia per lo shopping della coppia (anche durante le prove Sting indossa bermuda e t-shirt di James Perse, sul palco costosissimi completi di Rick Owens) è leggendaria, le frequentazioni sempre all´altezza. Ma più invidiabile per gli artisti che patiscono le conseguenze della crisi del disco è la libertà artistica che Sting si è conquistato. Chi oggi può permettersi di dire: «Niente dischi per un po´. Per i miei sessant´anni uscirà solo un cofanetto celebrativo di 25 anni di carriera solistica con il dvd di un concerto inedito»?
È così che festeggerà il compleanno?
«Beh, anche con un concerto al Beacon Theatre di New York. Ho invitato un sacco di amici a cantare le mie canzoni: Bruce Springsteen, Stevie Wonder, Will.I. Am, Mary J. Blige, Lady Gaga, Billy Joel. Mi è sembrato il modo migliore di far festa».
Le fa paura invecchiare?
«No, sto bene (in italiano). Sono fiero dei miei anni. Non mi sento vecchio, ho lo spirito di un quindicenne, e allo stesso tempo sono molto saggio. Mi piaccio».
Tutto merito di yoga e meditazione?
«La meditazione aiuta il sistema nervoso, elimina gli stress, è molto utile prima dei concerti. Ma a dire il vero non sono un grande meditatore, me la cavo meglio con gli esercizi fisici, con una dieta moderatamente vegetariana e un atteggiamento nei confronti della vita moderatamente salutista».
A sessant´anni è più facile convivere con i demoni e i fantasmi del passato? O è sempre la stessa lotta, fino alla fine?
«Sto scrivendo uno spettacolo teatrale che è proprio incentrato sul passato con il quale ho dovuto confrontarmi e con il quale lotto quotidianamente. La mia infanzia. Il nodo è tutto lì. Non l´ho mai sciolto. Sono ancora il figlio del lattaio di Newcastle che in quelle mattine gelide aiutava suo padre a distribuire le bottiglie casa per casa. Mi rivedo silenzioso a scrutare i suoi occhi. Per comprendere se sapesse, come io avevo intuito, anzi visto, che mia madre lo tradiva. Ma non lasciava mai trapelare nulla. Per amore non ha mai fiatato, le è rimasto accanto fino alla fine. E io sono ancora lì. Non ho superato la loro morte, nello stesso anno, distrutti dalla stessa malattia. Non andai al funerale. Con la scusa che la mia presenza avrebbe distratto l´attenzione dal lutto. In realtà fu perché non riuscivo a elaborare il dolore…e molte altre cose. È questo il terreno in cui Sting, l´artista, ha scavato in tutti questi anni, questo è il suo paesaggio creativo. E lo sarà per sempre. Non credo riuscirò mai a venirne a capo».
Era molto emozionato quando nel 2009, dopo più di due decenni, tornò a Newcastle per cantare canzoni di Natale in cattedrale.
«Newcastle ha un potere straordinario e occulto su di me. I miei sogni ricorrenti sono immancabilmente ambientati lì, nella vecchia casa, lungo il fiume. Tutto quello che ho volutamente messo nel dimenticatoio riaffiora nell´inconscio, riapre ferite, fa male. E qualche volta sboccia in creatività. C´è anche la mia città natale nella pièce che sto scrivendo, e la morte di mio padre, l´infanzia, l´adolescenza, lo sforzo di cercarsi un posto nella società, imparare a comportarsi, relazionarsi con gli altri… tutte cose che ancora non ho finito di imparare».
Si è mai chiesto che tipo di maestro elementare sarebbe stato se il successo non l´avesse strappato a quella professione?
«Pessimo, perché la frustrazione mi avrebbe inaridito e reso rabbioso e introverso, scontroso anche con i bambini. Io volevo cantare, fare musica. Se non ci fossi riuscito sarei diventato una larva umana».
Qualcuno ha insinuato che riproporre le solite canzoni con l´orchestra sia una scelta "adulta": Sting invecchia e mette in grisaglia le sue canzoni.
«Vecchio sì, adulto mai. Sono un artista che ha afferrato al volo tutte le opportunità che ha avuto davanti. Ho lasciato i Police nel pieno del successo, ho flirtato con il jazz, la classica e la world music; con il cinema e con il teatro. Per me suonare con la grande orchestra è stata una tentazione irrinunciabile. Non intendevo cambiare lo spirito delle mie canzoni, tutt´altro. Trovo che Roxanne sia molto più romantica, espressiva e garbata in questa veste. Se vuoi che il tuo repertorio si evolva, se vuoi trascinarlo da un decennio all´altro, devi adattarlo a contesti il più possibile diversi. Le assicuro, anzi, che dopo questo lungo apprendistato scriverò anche per voce e orchestra».
Ma chi la conosce sa che per temperamento lei si prenderà una pausa da tutto questo. Come sarà il prossimo disco? Un´altra escursione nella musica antica?
«Ha ragione. Sono già con la testa da un´altra parte. Come le ho detto sto scrivendo uno spettacolo teatrale tutto mio, con canzoni che saranno cantate da altri. Avevo bisogno di liberare la creatività in modo diverso. Sting mi annoia, è un vecchio benestante ormai, ho bisogno di rigenerarlo attraverso gli interpreti. La scrittura va a gonfie vele, ma non so ancora quando andrà in scena. Ne verrà fuori un disco? Forse».
Mick Jagger si sta rigenerando nei SuperHeavy, una band di all-star appena formata con Dave Stewart, Joss Stone, Damian Marley e il premio Oscar indiano A. R. Rahman.
«Non ne sapevo nulla. La cosa triste è che Mick Jagger abbia formato un supergruppo senza invitarmi. Avrei cantato volentieri con lui e Joss Stone».
Forse ha pensato che lei è troppo occupato, in tournée per anni interi.
«O forse ha fatto il conto delle mie numerose collaborazioni. Io non sono mica rimasto al caldo con i Police, ho sfidato il mercato anche lavorando con musicisti di altra estrazione, come Gil Evans, Costello, Robert Wyatt, Branford Marsalis. Però non ho mai cantato con Mick. Sì, insomma, mi fa rabbia non esserci. Sarebbe stata un´altra sfida, perché credo che la sua sia una voce difficilissima da armonizzare con altre. C´è anche Keith Richards nel supergruppo?».
No.
«Ci avrei giurato. Quei due si odiano ormai. Troppi anni insieme a rifare le stesse canzoni. Speriamo che non succeda anche agli U2 dopo il flop di Spiderman a Broadway».
Ne sa qualcosa lei che con i Police si lascia e si prende. E alla fine di ogni avventura c´è sempre Stewart Copeland che dice: «A Sting vorrei rompere il muso».
«Che dire? Non siamo mai andati d´accordo. La reunion è stata emotivamente faticosissima. Questa è la ragione per cui la mia autobiografia, Broken Music (2003), si è fermata ai Police. Non volevo scrivere di quegli anni. E se ci sarà un seguito, ripartirò dallo scioglimento».
Ne parla come se la band fosse il vero lato oscuro della sua vita.
«In un certo senso…».
A proposito di collaborazioni: che le è venuto in mente di travestirsi da donna per duettare con Shirley Bassey alla Carnegie Hall?
«Una volta nella vita dovrebbero farlo tutti. Per capire quanto è difficile essere donna. Un inferno: cerone, fondo tinta, cipria, rossetto, ombretto, mascara, ciglia finte, messa in piega, tacchi a spillo. C´è voluto più di un´ora per truccarmi e un´altra per togliermi tutto quell´impiastro dalla faccia. E loro lo fanno ogni giorno. Dopo questa esperienza apprezzo le donne molto di più».
Avere due figli, Joe e Coco, che sguazzano nel mondo del rock le crea qualche ansietà?
«Come potevo evitarlo? Gli ho fatto la predica: il successo non è fondamentale, essere felici è importante, imparare è importante. E loro: è facile per te papà, lo dici perché sei ricco e famoso! Io insisto: è la verità, non avrei mai fatto musica se non mi avesse reso felice, non fatevi incantare dalla X-Factor Generation, quelli non sono artisti, solo dei cloni generati da stereotipi pre-esistenti, Bob Dylan sarebbe stato scartato subito ad American Idol. Trudie e io non abbiamo mai fatto credere ai ragazzi di poter contare su un vitalizio, l´idea del bamboccione non è molto popolare in Inghilterra. Coco ha uno spirito indipendente, non accetta soldi da noi. Non ho il diritto di scoraggiarla, è come me quando avevo la sua età, non avrei voluto che nessuno uccidesse il mio sogno. Ma loro hanno una realtà - comoda e scomoda ma ineluttabile - con cui fare i conti: sono figli di un cantante famoso».
Forse proprio questa è stata la spinta…
«Non creda. Abbiamo un dissidente in famiglia. Il più piccolo, Giacomo, che ha quindici anni e studia in un ottimo college di New York. Vuole fare il poliziotto».
E voi come l´avete presa?
«Non abbiamo fiatato. Se cerchiamo di fargli cambiare idea è la volta buona che s´intestardisce. È il suo modo di ribellarsi. Forse sogna di arrestare suo padre. Ma in verità è il più eccentrico dei Sumner, più artista di tutti noi».
Se continua così, una carriera che va avanti spedita verso i settanta, diventerà il Frank Sinatra del nuovo millennio.
«Mi piace! Adoro l´idea di poter cantare le mie canzoni anche tra dieci anni. Frank e io abbiamo molti tratti in comune. Io non ho "the voice", ma ho fatto film, ho un repertorio inossidabile, piaccio alle donne… ».
Ma lui ne ha avute mooolte di più.
«Questo lo dice lei».