Eugenio Occorsio, Affari & Finanza 25/7/2011, 25 luglio 2011
RAMELLA A CACCIA DI PEPITE NEI TORRENTI DEL BIELLESE
Non è ancora l’alba quando Arturo Ramella si mette in marcia risalendo lungo un torrente nelle campagne intorno a Biella. «Di solito si va sull’Elvo ma sono adatti anche il Cervo, l’Igagna, l’Oloppia», spiega con toni gentili e la voce squillante di chi sta facendo una cosa che gli dà felicità. Ramella è un cercatore d’oro. Se per Francesco Guccini il torrente Pavana è come il Mississippi «fra la via Emilia e il West», qui potremmo stare nel Klondike. Biella è una delle tre aree italiane dove nei torrenti si trova ancora qualche filamento d’oro. Le altre due sono sul Ticino a monte di Pavia e nell’Ovadese in provincia di Alessandria. Che il terreno di Biella fosse aurifero l’avevano scoperto già i romani che vi avevano aperto la miniera ‘Bessa’. «Si sono portati via qualche tonnellata d’oro», sorride Ramella. E poi dicono Roma ladrona... Stivali di gomma («ma d’estate si va più volentieri a piedi nudi»), zaino in spalla, Ramella parte attrezzato di tutto punto: «Lo strumento più importante è la batea», spiega e indica il "piatto" tipico dei cercatori d’oro. Poi ha una canaletta (o scaletta), una specie di tubo tagliato longitudinalmente che usa per canalizzare l’acqua verso la batea, poi ancora una piccola pala che si chiama sessola («la usavano anticamente per le granaglie»), e infine secchio, guanti, una zappetta. E tantissima passione. Ma il numero di voi goldpanners, come si diceva nel vecchio West, è esploso con il boom delle quotazioni? «Mah, non so, forse sì». Si capisce che per lui non cambia niente.
Biellese veracissimo (sul profilo Facebook ha scritto che «parla inglese e piemuntais»), Ramella per cinque giorni la settimana fa il geometra e gira per i cantieri. Nel weekend non c’è pioggia né vento che tenga. «È un hobby», minimizza. «Esce fuori qualche grammo se va bene. Di venderlo non se ne parla, neanche adesso che le quotazioni sono alte. Solo per stabilire il titolo, cioè la purezza, bisogna fonderne un po’, c’è da pagare il certificatore, spenderemmo di più del rendimento. Con le pagliuzze di oro che troviamo tutt’al più facciamo fare da qualche orafo un pendaglio per la fidanzata». Ma poi mostra con orgoglio un anellone che tiene sempre al dito. «Tutto oro che ho trovato io». Ora ha coinvolto la figlia Martina, che ha 22 anni, lavora in un pub e di svegliarsi il sabato all’alba, insomma, non avrebbe tanta voglia. «Ma ormai è appassionata come me. La mia compagna Renza è un po’ più scettica, e i suoi figli Matteo e Filippo non ne vogliono neappure sentir parlare». Ramella ha creato nel 1987 l’Associazione biellese cercatori d’oro e nel 2009 ha organizzato il campionato mondiale della categoria. «Uno spettacolo, centinaia di appassionati da decine di Paesi». Ora sta per partire per la Polonia, dove in agosto c’è l’edizione 2011. «L’anno prossimo andiamo in Sudafrica, nel 2013 si torna a Biella».
Chissà se Ramella si sente meno solo adesso che l’oro l’hanno riscoperto milioni di investitori in tutto il mondo. Certo, per motivi meno romantici: le quotazioni sono schizzate dai 250 dollari l’oncia di dieci anni fa (quando di colpo e senza motivi apparenti finì un bear market che era andato avanti per i vent’anni precedenti) ai 1.611,55 di martedì 19 luglio, record di tutti i tempi. Il tasso di incremento è stato costante sul 45%, poi è schizzato come si conviene al benerifugio per eccellenza, allo scoppiare della crisi finanziaria: nel 2008 è stato del 14% e si è mantenuto sulle due cifre fino ad oggi. «E la corsa non è finita», assicura Attilio Guardone, amministratore delegato dell’Unione Fiduciaria, la società di servizi finanziari delle banche popolari. «Si arriverà presto a 1900», aggiunge. «Noi all’oro ci crediamo da anni non sospetti, sulla base di analisi rigorose e studi qualificati. Nel 2003 pubblicammo il libro Investire in oro in cui si delineava esattamente cosa sarebbe successo in seguito, con l’oro trasformato in porto sicuro nella temperie globale. Nello stesso periodo provammo a costituire un fondo d’investimento in oro, e nel 2004 chiedemmo alla Banca d’Italia insieme con Centrosim l’autorizzazione a collocare lo strumento finanziario indicizzato al prezzo dell’oro Gold Bullion Security. Niente da fare su tutti i fronti». Negli anni successivi il mercato è stato in effetti liberalizzato, «ma per noi era un’occasione persa, ci eravamo indirizzati in altre direzioni d’investimento».
Eppure della progressiva liberalizzazione hanno approfittato in tanti, e più che mai negli ultimi anni di incertezze finanziarie. All’aeroporto di Linate è apparso da pochi giorni una sorta di Bancomat, uguale a quelli installati a Bergamo e in precedenza ad Abu Dhabi. È in linea con il negozio online GoldSuperMarkt.de e distribuisce a pagamento lingottini in eleganti confezioni da 1, 10, 31 (pari ad un’oncia) e 100 grammi, nonché sterline d’oro e kruggerand sudafricani. Il prezzo ovviamente cambia a seconda delle quotazioni e ricalca sostanzialmente i valori. Un grammo costa circa 45 euro, un’oncia i 1.100 euro che corrispondono al prezzo spot di Londra. Altri sintomi di febbre dell’oro si riscontrano naturalmente su Internet. L’ecommerce aureo va per la maggiore, con decine di siti più o meno autorizzati che vendono ogni sorta di pezzatura del prezioso metallo e promettono trattamenti personalizzati, nessuna tassa aggiuntiva né costo d’ingresso o di abbonamento, possibilità di cambiare l’oro in denaro anche per importi parziali e così via.
Del resto, gli analisti della maggiori finanziarie se sono d’accordo su una cosa, è sulla validità degli investimenti in oro. «Noi rimaniamo bullish per il mediolungo periodo», afferma Saeed Amen dall’ufficio londinese della Nomura, una banca d’investimenti il cui portafoglio correlato con l’oro è cresciuto costantemente del 6,5% dal lontano 1997. «I fattori che sono stati alla base del rialzo dell’oro di questi anni, restano tutti lì, ben attivi e presenti: le incertezze sulle Borse e gli altri investimenti finanziari, la forte domanda proveniente da Cina ed India sia per il mantenimento delle riserve sia per le produzioni di gioielleria, infine la tendenza a rimanere basso del dollaro, la valuta in cui questa come tutte le commodity è quotata e di cui non si intravvede una risalita. E la relazione dei prezzi con il dollaro è inversa, ovvero al decrescere di uno sale l’altro». Ma in tutto questo quale ruolo giocano le banche centrali? «Ci risulta che abbiano ricominciato ad essere acquirenti netti di oro, dopo essere stati net sellers per parecchi anni. Ma bisogna tener conto che ormai non rappresentano che il 10% del mercato, se non di meno. Negli anni della crisi hanno venduto qualcosa come 400 tonnellate d’oro senza che il rally sulle quotazioni s’interrompesse». Tutto gioca a favore dell’oro, a partire dalla scarsa redditività degli altri investimenti: Adran Ash di Bullion Vault calcola che i rendimenti reali negli Stati Uniti siano costati ai risparmiatori cash (cioè quelli che hanno investito sul mercato monetario) il 3% di potere d’acquisto negli ultimi 18 mesi. Conferma Umberto Urso di Saxo Bank Italia: «Le iniezioni di liquidità dopo il 2008 hanno ridotto i tassi e il minimo di inflazione sopravvenuta ha reso i rendimenti reali delle obbligazioni negativi. È ragionevole che gli investitori abbiano trovato attraente un bene fisico raro come l’oro, accessibile tramite una vasta gamma di prodotti finanziari, dal metallo spot alle opzioni passando per gli Etc». Gli interessi, secondo alcuni calcoli, sarebbero al di sotto dell’inflazione per un margine che non era così profondo dall’estate del 1980 quando l’inflazione era a due cifre: l’oro ha guadagnato, componendo gli interessi, il 60% in cinque anni. Non è finita: per quanto sia di moda, nei portafogli degli investimenti bancari l’oro sarebbe ancora sottodimensionato, per cui non c’è rischio di saturazione.
C’è solo un elemento nelle varie analisi che sottende una variabilità abbastanza inquietante: tutti dicono che l’oro si dimostrerà una bolla speculativa solo se continuerà ad andare in su anche quando cambierà la politica monetaria più diffusa, dalla Fed alla Bce, ovvero quella di tenere i tassi bassi per un periodo prolungato (per sostenere la crescita e per la poca aggressività dell’inflazione). Il che significa che quando i tassi risaliranno, il periodo bullish dell’oro potrebbe finire, o perlomeno che allora sarebbe rischioso mantenere le posizioni. Non resta che spostare l’attenzione sulle tendenze monetarie. Ma neanche questo è un metodo sicuro: se i tassi risaliranno sarà per contenere l’inflazione, ma l’oro non è il tipico bene</->rifugio contro l’inflazione? Forse la cosa migliore è fare come Ramella, munirsi di batea e canaletta e partire su per il torrente.