Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  luglio 25 Lunedì calendario

I SEGRETI DELLA PUBBLICITA’

La pubblicità, disse uno dei suoi guru, George Lois, è l´arte di «vendere un´automobile nazista a una città ebrea». Helmut Krone ci riuscì. Appena quattordici anni dopo Norimberga la Volkswagen, pensata per mordere le autostrade del Terzo Reich, era di moda tra i grattacieli di New York, dopo essere stata mutata d´incanto sulle pagine dei rotocalchi in un simpatico indifeso coleottero con le ruote-zampette per aria: «Perché mai dovremmo uccidere un maggiolino?».
La pubblicità non è una scienza esatta. È un colpo di vento nella mente di un mad man. Di occulto, nel lavoro dei "persuasori occulti", c´è soprattutto il mistero di una campagna azzeccata, di uno slogan di successo. Ammette una grande mad woman di casa nostra, Annamaria Testa: «Spiegare la creatività è come descrivere un odore: prima che impossibile, insensato. Buona parte di ciò che chiamiamo pensiero creativo si forma oltre i limiti della consapevolezza». Il segreto della pubblicità è nella mente dei pubblicitari, questa almeno è l´impressione che lascia la lettura di Just doing it di Pia Elliott (Lupetti, pagg. 310, euro 20), il cui titolo infatti si può infatti liberamente tradurre: "ce l´hanno fatta, punto e basta". In queste biografie dei cento grandi protagonisti dell´advertising (dai pionieri Bermbach e Ogilvy ai nostri Testa e Pirella) cerchereste invano cenni a pazienti analisi dell´opinione pubblica, interpretazioni accurate delle inchieste di mercato, meticolose ricerche motivazionali sui consumi. Tutto sembra nascere da un cortocircuito mente-matita, da un eureka che rompe il silenzio dello studio. Quasi una rivincita per i creativi italiani, da sempre considerati nell´ambiente internazionale un po´ troppo istintivi.
Tutti i più grandi geni della pubblicità prima o poi scrivono un libro che vorrebbe spiegare "i segreti del mestiere", ed è solo un´autobiografia di successo. Dunque la Elliott, quasi mezzo secolo passato fra headline e payoff, non sbaglia pensando che raccontare le vite e i miracoli dei colleghi sia un buon modo di riassumere la storia e dell´imprevedibile arte di vendere i sogni con una frase e un´immagine. Certo, occuparsi solo degli uomini e delle campagne che hanno fatto centro è molto lusinghiero per la categoria: non sapremo mai quanti clamorosi flop, quanti slogan miseramente naufragati si contano per un singolo travolgente Marlboro Man (creatura di Leo Burnett). Ma ci fa scoprire quanto sia personale e imponderabile il funzionamento di quello che Vance Packard ritenne invece un perfetto meccanismo di "attacco all´inconscio" da parte di una setta abilissima di "mercanti di scontentezza". Nell´arsenale dello slogan di successo si trova un po´ di tutto, tranne che la premeditazione metodica. C´è ad esempio la citazione più o meno inconscia: il claim «Se hanno finito la Lowenbrau, ordinate champagne» firmato Onofrio Paccione è chiaramente debitore alle brioches di Maria Antonietta. E c´è l´istinto puro: il segreto del poster che nel 1981 portò alla presidenza della repubblica francese François Mitterrand, "La forza tranquilla", spiegò poi quel fils de pub di Jacques Séguéla che lo aveva ideato, stava forse nella rassicurante chiesina di Sermages che appariva sullo sfondo.
Ma è nelle mission impossible come quella del Maggiolino, è di fronte agli incarichi che sembrano disperati, è nei successi contro ogni aspettativa che il coté anarchico e folle della scienza della réclame si manifesta in tutto il suo splendore. Sì, l´alleanza tra il gatto e la volpe della pubblicità, il copywriter e l´art director, celebrata per la prima volta alla fine degli anni Quaranta da quel gran sacerdote che fu Bill Bernbach, è stata in grado di vendere più o meno tutto l´invendibile. Negli anni Cinquanta le pastiglie digestive si andavano a inghiottire vergognosamente di nascosto in bagno ed evocavano cose assai lontane dal consumismo, mal di pancia e indigestioni, ma Jack Tinker ne fece un drink da alta società, "Alka-Seltzer on the Rocks", c´era pure la fetta di limone sul bicchiere. E l´innominabile ascella femminile? A James Webb Young, già nel 1919, bastò trasfigurarla dannunzianamente nella "curva del braccio di una signora" per lanciare un banale deodorante dal nome ancora più banale: Odorno. Ma non fermiamoci, ecco il puzzo di piedi, su cui la Geox ha costruito un impero: e qui invece di usare eufemismi si fece l´opposto, si enfatizzò il disgusto, chiamando però come testimonial personaggi dei fumetti, ai quali l´esagerazione secretiva è consentita, anzi diventa simpatica. Del resto anche da noi non fu impossibile far indossare alle signore un indumento intimo che si chiamava Ragno, o far consumare ai dispeptici un olio "leggero" di nome Sasso. Quando nel 1966 Jerry Della Femina propose per scherzo il suo slogan per la campagna Panasonic, gigante giapponese dei transistor pronto a sbarcare in Usa, ovvero: "Dai fantastici creatori di Pearl Harbor", per poco non fu preso sul serio. Ma come devono essersi sentiti i creativi che ricevettero l´incarico di risollevare il morale nazionale americano dopo l´11 settembre? Eppure realizzarono "The New York Miracle", come avevano fatto tempo prima i loro colleghi della Wells Rich Greene a cui il sindaco Giuliani aveva chiesto di rilanciare l´immagine di una città in vetta alle classifiche della criminalità e della povertà urbana: e quelli s´inventarono "I love NY" col cuoricino rosso. Come ci arrivarono? Be´, "anche se vivi in New Hampshire ami New York, o no?". Non aspettatevi spiegazioni più articolate.
Spiegare perché sfondano certi slogan pubblicitari non è più semplice che spiegare la sopravvivenza secolare dei proverbi, o delle espressioni idiomatiche, di cui finiscono per diventare parenti. Se oggi ci scappa detto "O così o Pomì" anche quando la salsa di pomodoro non c´entra nulla, non è perché Michele Goettsche elaborò chissà quali sondaggi d´opinione, ma perché imbroccò una misteriosa eco del linguaggio, quell´arcana vibrazione della parola che apre le porte dell´inconscio solo ad alcune combinazioni di suoni e senso, e ad altre no. Una specie di seduzione antropologica. Del resto, è stato detto, creare uno slogan è «la cosa più divertente che puoi fare senza toglierti i vestiti».