Chiara Beria di Argentine, La Stampa 23/7/2011, 23 luglio 2011
DE BENEDETTI E L’IMPEGNO CON STEFANIA ARIOSTO
Conosci la fidanzata dell’avvocato Vittorio Dotti?». Fu mia madre, una mattina di 18 anni fa, la prima a chiedermi di Stefania Ariosto, futura teste «Omega» nell’indagine sulla corruzione dei giudici nella guerra per il controllo della Mondadori.
Era assai turbata, mamma, per uno strano episodio capitatole a una cena dal prefetto di Milano: una bionda signora che accompagnava Dotti, noto avvocato di Silvio Berlusconi, l’aveva avvicinata dicendole parole di conforto per una nostra amatissima nipote con la fibrosi cistica e le aveva raccontato di aver perso dei figli appena nati per quella stessa malattia.
Subito dopo un parlamentare milanese che aveva notato il colloquio avvisò mamma di non credere a quella signora perché era una mitomane. «Come si può inventare una storia simile?», mi domandò angosciata quella mattina. Non seppi risponderle; conoscevo solo di vista la fidanzata di Dotti; quell’episodio rimase come un’ombra in un angolo della mia mente. Era solo l’inizio di una incredibile storia.
Ora leggo che, come deciso dai giudici, la Fininvest di Silvio Berlusconi verserà martedì un maxi risarcimento di 560 milioni di euro alla Cir di Carlo De Benedetti; su molti giornali rivedo le foto che, nel marzo 1996, Ariosto mi diede con Berlusconi e amici- maglietta a righe rosse e blu - sullo yacht Barbarossa di Cesare Previti. E leggo anche, dopo anni di silenzio, interviste alla testimone chiave della procura di Milano.
Ancora una volta Ariosto parla dei suoi bambini morti e - non so perché - sorvola su alcuni passaggi della storia. Retroscena&analogie. Era l’inverno del 1994. Stretto tra le indagini del pool di Milano e i malumori della Lega vacillava il primo governo Berlusconi, quando l’onorevole Dotti, capogruppo alla Camera di Forza Italia e la sua fidanzata mi chiesero un incontro riservato con Claudio Rinaldi, direttore de «L’Espresso» (allora ero capo della redazione milanese del settimanale di De Benedetti-Caracciolo). Tema: Cesare Previti, ministro della Difesa e avvocato romano della Fininvest.
Parlò soprattutto lei, lui annuiva; non ci dissero nulla di penalmente rilevante ma ricordo che, alla fine dell’incontro, Rinaldi commentò: «C’è d’aver paura se anche l’avvocato di Berlusconi pensa così di Previti!». Sorridemmo, poi, sull’evidente rivalità tra i legali del Cavaliere e sulle probabili ambizioni politiche di Dotti mentre già si parlava di un governo tecnico guidato da Lamberto Dini. Quel giorno non chiesi ad Ariosto dei suoi figli: non m’andava di mischiare dolorose vicende private con quel fango. «Sembra che a parlare sia la fidanzata di Dotti. La conosci?».
Quando 2 anni dopo un avvocato mi soffiò l’identità della teste di un’indagine fino ad allora supersegreta del pm Ilda Boccassini ripensai subito all’episodio di mia madre. Stefania Ariosto era una mitomane? Boccassini era cascata in una trappola? Chiamai Ariosto al telefono; mi diede appuntamento in un bar di largo Augusto, non lontano dal tribunale.
Arrivò con la scorta: il teste «Omega» era davvero lei! Prima di crederle (il personaggio è più complesso di come appare ed è assai complessa la sua famiglia; tra l’altro mi disse che suo padre, uomo di estrema destra, lavorava alla Difesa; che la madre era legata all’onorevole Casoli del Psi e che sua sorella aveva avuto una liaison con Previti) avevo bisogno di chiarire quella storia dei bambini. In lacrime, nel suo appartamento, mi mostrò la foto di un neonato e documenti di ospedali romani: non aveva detto una bugia.
Scrissi il primo articolo sulla teste «Omega»; a «L’Espresso» mi chiesero di convincerla a darci le foto che avevo visto a casa sua. Ariosto aveva album pieni di foto scattate (spesso da lei) a feste o in vacanza come quelle sul Barbarossa. Non volle soldi ma una donazione all’Associazione per la fibrosi cistica; Rinaldi ci fece copertine su copertine. Mia nipote non c’è più; a giugno del 1996 ho lasciato «l’Espresso»; da quegli anni non ho più rivisto Stefania Ariosto; mi auguro che l’editore De Benedetti quando incasserà 560 milioni di risarcimento rinnovi quell’impegno.