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 2011  luglio 22 Venerdì calendario

«Cosa mi ha portato l’età? Il piacere dell’incertezza» Nella ricorrenza di quello che i nostri cugini d’ol­tralpe chiamano il ses­santa- decimo comple­anno ( i francesi sono esemplari nella dissimulazione formale) incontria­mo il maestro Riccardo Muti che ha appena iniziato le prove di Macbeth al FestivaldiSalisburgo

«Cosa mi ha portato l’età? Il piacere dell’incertezza» Nella ricorrenza di quello che i nostri cugini d’ol­tralpe chiamano il ses­santa- decimo comple­anno ( i francesi sono esemplari nella dissimulazione formale) incontria­mo il maestro Riccardo Muti che ha appena iniziato le prove di Macbeth al FestivaldiSalisburgo. Perfortunacon Mutisipossonoevitaregliinutilibilan­­ci retrospettivi e, come ama ripetere il Maestro, la data del suo compleanno coincide da quarantuno anni con la suapresenzaaSalisburgo. Questacit­tà significa Musica, eseguita con la meravigliosa Orchestra Filarmonica di Vienna, che lo ha nominato mem­bro onorario. «Certo - dice Muti - non sono pre­sente nella mia terra, quella Puglia bruciataebruciantechevorreiritrova­re d’estate. Non è un proclama pateti­co, ma umano, dopo quattro decenni sulle rive della Salzach». Qualcuno ha parlato di un suo desiderio di ridurre il numero delle opere. «No. Opere ne ho sempre dirette poche (sola eccezione le otto di Verdi alla Scala, per il centenario del 2001). C’è una ragione pratica:per ogni ope­r­a è necessaria una lunga preparazio­ne ». Tema delicato:nei«grandi»tea­tri aumentano i titoli, ma spari­scono le prove. «Non voglio fare l’anziano diretto­re che brontola, però ci sono cose che bisognerebbe raddrizzare. Giusto “aumentare la produzione”,ma i tito­li non debbono essere buttati a caso. Senza il giusto periodo di prove non crescono nemmeno orchestra, coro, cantanti e maestri collaboratori». L’odierna sempre maggiore complessità della messa in sce­na è d’ostacolo? «Bisognerebbe tornare al concetto chelaregiadrammatico-musicalena­sce nelle prove al pianoforte, come ci hanno insegnato i nostri maestri. Il mio, Antonino Votto, mi raccontò che cercando Arturo Toscanini un Falstaff, gli diede l’incarico di far stu­diare per sei mesi il candidato indivi­duato: Mariano Stabile. Quando an­daronoinviaDuriniafarsisentire, To­s­canini si convinse che era giusto affi­darglilaparte:“ Lavoraperaltriseime­si e torna a farmelo sentire”. Nel mio piccolo - non voglio fare paragoni ­quando feci Traviata a Salisburgo, un drammaturgo viennese coltissimo, Marcel Prawy, rimase colpito perché mi fermai venti minuti col baritono per trovare lo spazio infinitesimale, l’intenzione esatta sulle parole Col tempo . Per solito si sente buttare via la frase Bella voi siete e giovine. Col tem­po! Ma Germont sta offendendo l’amoreprofondodiViolettaperAlfre­do. Cideveessereun’esitazione:trop­pa, diventa manierata; poca, spari­sce. Non è perdere venti minuti su due parole. Col tempo ! Che parole!» Il tempo , dunque. «Oggi taluni direttori d’orchestra arrivano al paradosso di dire “con me”». Segno che non hanno compiuto il lavoro fondamentale, la con­certazione al pianoforte. E quin­di manca l’intesa. «Trascurano le prove in sala per­chénonvengonopiùdaun’educazio­ne che nasce dal contatto col mondo del canto e del teatro, come avevano fatto anche direttori come Karajan e Solti». Solti che proprio Toscanini co­nobbe a Salisburgo, chiedendo come pianista accompagnato­re quel «giovane ungherese che suona bene al pianoforte il Flau­to Magico ! ». «“Accompagnamento”e “Accom­pagnare” sono entrambi difficili ma cose diverse. Accompagnare, per me è sostenere la melodia insieme al tim­bro e al fraseggio della voce. Le “terzi­ne” in un lied di Schubert non sono mero “accompagnamento”, sono musica insieme. Insisto sempre sul modo in cui il cantante porge la fase, perchédeterminailmodoconcuiildi­re­ttore prepara o conclude quella fra­se. C’èunacorrispondenzadiamoro­si sensi fra cantanti e direttore. Tutto questo fa parte di un insegnamento che si va perdendo col tempo ». Oggi chi canta bene Rossini e Mozart ha già una preparazio­ne di base. «Leggerelamusica,però,nonsigni­fica essere buon musicista. Cantante­musicistasinasce. Poisicoltiva.Igran­di cantanti sono quelli che danno ri­salto alla frase: Pertile, Björling, Ged­da, Fischer-Dieskau, la Callas». Una cosa che la irrita- ancor og­gi dopo decenni di esperienza sul campo- è la superficialità in cui cadono tanti che si accredita­no addetti ai lavori, spia di una diffusa ignoranza... «Quando si legge che il direttore ha realizzato bene o male lo “spartito”. Dovrebbeusarela“partitura”.Nessu­noparladibiochimica, medicina,chi­rurgia, ma di musica (e calcio) parla­no tutti. Mi fa sorridere il cosiddetto “intenditore”,ilvociologo,comequel­lo che in una trasmissione sul do della pira mandava registrazioni in cui quel do era abbassato al si naturale. Forse sarebbe meglio che ognuno fa­cesse il proprio mestiere ». Stupiscono i toni e i giudizi inap­pellabili. Questo si fa così o non si fa così. « Rifacendo Macbeth quiaSalisbur­go- un’opera che ho diretto tante vol­te - mi assalgono dubbi. Già da quel­l’a­ttaccodel Preludio chesadiinferna­lecornamusascozzese, dovegliinter­valli sono elementi circolari che Verdi impiega ogni volta che si riferisce al Destino.Posso passare ore sull’anali­si di quest’inizio che pare semplice, maoltreallarealizzazionedelleinten­zioni di Verdi c’è uno spazio infinito. Lìmicogliel’incertezza,quellachena­sce dall’esperienza. Gli anni portano una maggiore consapevolezza del proprio compito, e il risultato è un enorme punto interrogativo». Non ha mai pensato di traman­dare questo prezioso scrigno di esperienze? «Sì, girando il mondo da tanti de­cenni sento che quello che mi è stato tramandato sta sparendo. E i cantanti sonoquellichesentonodipiùlaman­canza di una “guida”. L’opera è un cammino. Ferma restando l’esigen­za sa­cra di esprimersi secondo la pro­pria sensibilità e il proprio tempo, tut­to e tutti devono convergere unitaria­mente. Se si perde questa catena, l’esperienza non si trasforma in realtà esecutiva». Un primo passo lei lo ha fatto in­troducendo, in occasione del doveroso concorso di direzione d’orchestra intitolato a Georg Solti a Chicago, una prova obbli­gatoria di accompagnamento e concertazione dal pianoforte di un’aria e un duetto. «È stato uno sfacelo: non sapevano cosa dire. D’altra parte se chiedessi­mo­diconcertaredalpianoforteamol­tiincarriera, cisarebberodellesorpre­se ». A Salisburgo dirige Macbeth , do­po le trionfali recite in primave­ra di Nabucco al Teatro del­l’Opera di Roma, dove tornerà nella prossima stagione appun­to con questa edizione di Mac­beth e con Attila . Sempre Verdi, in vista delle celebrazioni del 2013. «SidovrebbecelebrareVerdiimpo­st­ando un nuovo discorso interpreta­tivo, evitando di incancrenirsi su cer­te cosiddette “ tradizioni”che spingo­no verso un atletismo fuori misura. Studiseri,conilcoraggiodipartiredal­l’originale. Sento come una medaglia l’aver riportato la “trilogia popolare” ( Rigoletto , Traviata e Trovatore ) alla Scala, sfidando alcuni tabù, diciamo poco nobili. Rigoletto , ad esempio, non è un gobbo folle che grida mi co­gli­erà sventura conunacutononscrit­to su cui rimane mezz’ora. Lo deve quasi sussurrare: il suo è un pensiero truce e recondito». E i suoi nuovi incontri musicali? « Vorreifarela Missa solemnis di Be­ethoven che mi ha sempre fatto pau­ra; prima o poi il Tristano e Isotta e completare il ciclo delle sinfonie di Bruckner. La musica contempora­nea continuo a commissionarla: un direttore deve farlo, perché un nuovo profeta deve apparire all’orizzonte. In attesa approfondisco la grandezza di Verdi: è una questione di onestà nei confronti di questo gigante, della sua vera umanità. Non scopro niente, ma sono convinto che ci rappresenta a li­vellouniversale, eilmioscopoèrispet­tare l­a sua dignità di musicista e gran­de uomo di teatro ». Verdi, dunque, sempre attuale. «Pochi giorni fa, quando ho visto duecentobambinicantareVerdiaNa­irobi con una luce vivida di passione negli occhi, questo mi ha fatto amare ancora di più Verdi. Me lo lasci dire, nonèretorica,inquelmomentomiso­­no sentito fiero di essere italiano ». E noi con il Maestro Muti.