Giorgio Dell’Arti, La Stampa 22/7/2011, 22 luglio 2011
VITA DI CAVOUR - PUNTATA 133 - VOLTAFACCIA DEL CONTE
Stava raccontando l’incontro tra l’ambasciatore di Francia, duca di Guiche, e Vittorio Emanuele II. Tema: se il Piemonte avrebbe mandato o no truppe in Crimea senza condizioni. Governo contrario, re favorevole.
Il re disse: «Lei sappia questo: io ho una parola. Queste condizioni? Non mi riguardano. Non ci ho niente a che fare». Guiche taceva. Del resto, non c’era bisogno di parlare. «Ora, caro duca, ascolti me. Noi abbiamo il dovere di buttarci avanti francamente, prontamente, senza patti, senza se e senza ma. Io e l’imperatore ci siam dati la parola. Ci vuol altro? Mettiamo che in Crimea ci battano. Ma questo è da ridere, ce la caveremo sempre! Mettiamo invece di vincere. Ah, questo varrebbe più di mille articoli al trattato, questo sarebbe un modo vero di aiutare i lombardi. Ecco quel che lei, duca, deve riferire a Parigi: che io son stanco di ripetere sempre le stesse cose e che se quelli non vogliono marciare ne prenderò altri che marceranno, perché ho dato la parola e ho una parola sola». Questa dichiarazione era un viatico per un governo Revel da mettere al posto di Cavour. Il re disse ancora: «Ma vedrete che non ci sarà bisogno, vedrete che si persuaderanno, la Camera è con me, il Paese è con me...». Guiche sembrava aver ottenuto lo scopo, tuttavia fu colto da un ultimo scrupolo, e lo scrupolo era questo, che lui era un diplomatico e a un diplomatico non si conviene parteggiare per un governo piuttosto che per un altro, dunque sarebbe stato saggio dare a Cavour un’ultima possibilità. Andò dunque da suo cugino Salmour e lo mise a parte delle intenzioni del re, pregandolo di informare Cavour.
In tutta questa vicenda, che mi pare inutilmente intricata, il vero ostacolo non era Cavour, ma questo Dabormida ministro degli Esteri. Dunque, in definitiva, sarebbe stato sufficiente sostituir lui...
Sì, ma in questi casi c’è sempre qualcuno che vuole sfruttare la situazione...Insomma, Salmour si precipitò alla Camera, per fortuna stava parlando Valerio, tirò Cavour nell’ufficio di Bon Compagni, gli spiegò che il re, pur di andare in Crimea, era pronto a varare un gabinetto Revel, Cavour rispose naturalmente «ma scusa, anch’io sono favorevole, è Dabormida, è Rattazzi...», Salmour disse: «Beh, fa’ dimettere loro piuttosto, meglio loro di te», «C’è anche La Marmora, sostiene che non abbiamo pronte neanche due brigate» disse Cavour, ma intanto calcolava che Rattazzi si poteva prendere con la legge sui conventi..Abbiamo parlato della legge sui conventi?
No.
Rattazzi aveva presentato una legge per la soppressione dei conventi, e si poteva acchiapparlo con quella, dato che Revel, come primo atto, l’avrebbe ritirata. A La Marmora si dà il comando della spedizione, alla fine gli piacerà. Dabormida... Dabormida era il punto veramente duro. Cavour disse: «Va bene. Vai da Guiche, digli che siamo d’accordo, consideri pure la cosa come fatta. Stasera mi pronuncerò nettamente per l’intervento, a costo di dimissionarli tutti». Era il 9 gennaio, l’ultimo giorno utile. Salmour conosceva bene il conte, e andò a riferire.
La sera che successe?
Vertice al ministero degli Esteri tra i ministri Cavour, Dabormida, La Marmora, Rattazzi e i due ambasciatori, Guiche e Hudson. Un’ora di discussione inutile. Alla fine Guiche disse: «Va bene, continuare non serve e del resto non siete obbligati. Se volete restar neutrali, restate neutrali». Cavour disse all’improvviso: «Ma no, non si tratta di questo. La neutralità è un problema già superato. È acquisito che partecipiamo, altrimenti perché riunirsi stasera?». Dabormida era pietrificato. Gli altri stavano zitti.
Voltafaccia completo.
Cavour continuò: «Il punto sono le garanzie. Voi non potete darne per via dell’Austria. Ma, ad esempio, si potrebbe stendere un verbale della seduta? Un protocollo di questa discussione mostrerebbe almeno che non abbiamo ceduto facilmente, che non abbiamo ceduto senza chieder niente. È chieder troppo?». Guiche e Hudson si guardarono. Guiche disse: «Il verbale si può. Senza renderlo pubblico». «Ma è naturale, ovvio». «Non deve contenere impegni di sorta per l’avvenire, né opinioni o giudizi sul presente». «Chiaro. Si può far cenno dei sequestri?». «Sì. Ma senza nominare l’Italia». I due ambasciatori uscirono per andare a scrivere il verbale. Subito si scatenò la bagarre. «Io non ci sto!». «Spiegaci che diavolo...». Cavour tentò di fargli capire. Non era questione di scegliere. In realtà non c’era possibilità di scelta.
Sì, e poi si trattava anche di salvare il governo e bloccare Revel.
In ogni caso: non c’era possibilità di scelta. Bisognava entrare nell’alleanza e basta. «Considerate soltanto questo: gli Alleati vincono la guerra, pongono delle condizioni e noi, per fare i neutrali, siamo altrove mentre l’Austria fa e disfa. Altro che isolamento». Dabormida disse che lui, piuttosto, si sarebbe dimesso. Intanto i due diplomatici rientrarono col verbale pronto. «Firmiamo domani, d’accordo?». Firmare subito non era possibile, dato che il ministro degli Esteri non era d’accordo. I due capirono. Il giorno dopo Cavour gli mandò un biglietto: avrebbe firmato anche come ministro degli Esteri. Il buon Dabormida, il generale, aveva infatti chiesto di ritirarsi dal ministero.