Gianfrancesco Turano, l’Espresso 22/7/2011, 22 luglio 2011
FURBETTI PER SEMPRE
Matrimonio con scalata. Era il luglio di sei anni fa quando Stefano Ricucci sposava Anna Falchi alla Cacciarella, la sua villuccia di 34 stanze all’Argentario. Una cerimonia per pochi intimi, meno di trenta invitati. Dopo il rinfresco e i fuochi d’artificio, l’odontotecnico fallito e rinato come immobiliarista trascorreva una luna di miele inconsueta. Invece dei dolci baci e languide carezze, bisognava contare pacchetti di azioni Bnl insieme agli amici del contropatto all’attacco del blocco Bbva-Generali-Della Valle. Era una comitiva assortita in modo bizzarro: il ricchissimo Francesco Gaetano Caltagirone, l’istanza apicale di Bankitalia, come amava definirsi, Antonio Fazio, il suo pupillo della Popolare di Lodi Gianpiero Fiorani ("Guarda, Antonio, ti darei un bacio in questo momento. Sulla fronte"), l’ingegnere delle coop rosse Giovanni Consorte, gli assaltatori bresciani e le loro finanziarie con elenchi soci lunghi come le pagine gialle. Infine, c’erano le giovani promesse della finanza, piombate in un salotto buono da svecchiare a colpi di raid in Borsa. Giuseppe Statuto, Danilo Coppola, Stefano Ricucci contro Bnl, Antonveneta, Rcs. Le loro armi? Immobili di pregio comprati, venduti e rivenduti fra amici a prezzi sempre più alti. Soldi virtuali prodotti da un’accumulazione primaria di cui nessuno conosceva né conosce l’origine. E viene il dubbio che non la conoscano neppure loro, gli imprenditori rampanti che la gestivano per conto di proprietà sprofondate in qualche paradiso societario offshore.
Quell’estate ruggente del 2005, l’estate dei furbetti del quartierino, ha prodotto arresti, processi, rinvii a giudizio e condanne in primo grado (Antonveneta). Per adesso la sentenza più pesante è toccata a Fazio, quattro anni. Ma nel calcolo fra appelli, riduzioni e prescrizioni, i verdetti di colpevolezza sono più che altro una macchia morale. Soprattutto per il gruppo dei giovani, che nel caso di Ricucci e Coppola ha già scontato diversi mesi di carcerazione preventiva, il futuro non finisce in un’aula del tribunale penale.
La loro lotta è concentrata sul salvataggio del salvabile. Condannati, sia pure. Rovinati, giammai. Finché c’è un’Ici da pagare, c’è speranza. E per i furbetti non tutto è perduto. Vero che in sei anni hanno subito colpi giudiziari e patrimoniali. Ma avevano così tanti soldi e li avevano fatti così in fretta che, tutto sommato, hanno ancora una montagna di milioni. C’è da scommettere che, fra sei anni, saranno ancora in piena attività.
Il Pdl lo salverà
Inventore della categoria "furbetti del quartierino", Stefano Ricucci ha un dono per le espressioni idiomatiche. Trovare i soldi per non fallire gli risulta più difficile. Il suo creditore principale è brutto, cattivo e tedesco. Eurohypo (gruppo Commerzbank) vuole una cifra fra 120 e 140 milioni di euro per non mandare a fondo quanto resta del gruppo Magiste. Il debito complessivo sarebbe di 240 milioni, secondo Eurohypo, o di 210, secondo Ricucci. Ma uno sconto è nell’ordine delle cose. Finora la lotta è stata durissima. I 35 procedimenti legali avviati da Magiste contro Eurohypo hanno comportato il blocco delle vendite degli immobili sul mercato.
Qualche mese fa, il problema sembrava risolto. La Bpm di Massimo Ponzellini aveva pronta una delibera a favore di Magiste per 70 milioni di euro. In seguito ne era prevista un’altra, per un importo simile. L’operazione è stata fermata dal consiglio della banca, che ha già parecchi problemi di suo, inclusa una svalutazione record in Borsa dall’inizio dell’anno.
Peccato perché l’uomo che voleva scalare il "Corriere della Sera" si sarebbe tolto di mezzo i finanziatori teutonici e li avrebbe sostituiti con i più malleabili banchieri italiani, sempre sensibili al richiamo della politica. Ponzellini non fa eccezione. Dopo un passato prodiano, il manager si è evoluto in punto di riferimento per il mondo leghista-tremontiano. Dal canto suo, Ricucci il centrodestra ce l’ha nel cuore e in casa. Gli avvocati che si occupano delle sue vicende societarie sono Donato Bruno, nominato dal carcere nella primavera del 2006, e il suo assistente Stanislao Chimenti, ex amministratore della Magiste International Lussemburgo. Bruno è deputato Pdl, ex presidente della commissione Affari costituzionali, amico di Gianni Letta e di Cesare Previti, il vicino di casa di Ricucci all’Argentario. Previti condivide con Ricucci l’avvocato Grazia Volo che per l’immobiliarista ha ottenuto nel 2008 un patteggiamento a tre anni per la scalata Rcs. La condanna è stata disinnescata dall’indulto.
L’altro appoggio nel Pdl è Gaetano Armao, avvocato anche lui e assessore all’Economia della regione siciliana. Armao è stato console onorario del Belize, dove Ricucci aveva annunciato e poi smentito (in esclusiva per il settimanale "Chi" di Alfonso Signorini) il suo secondo matrimonio con la soubrette di Stranamore Claudia Galanti. Ha interessi in varie società di diritto britannico. Fra queste, ci sono la Pimlico properties, la Garlsson Real estate, finanziaria di Tortola (British Virgin Islands) protagonista della scalata alla Rcs nella primavera-estate del 2005. L’assessore della giunta Lombardo è inoltre trustee, ossia fiduciario, dello Stefano Ricucci trust delle isole del Canale.
Il trust di Guernsey è in cima alla catena delle proprietà ricucciane. Essendo un soggetto estero, è al riparo di quanto accade ai piani inferiori dove Magiste International, la lussemburghese amministrata da Armao, da Chimenti e dallo stesso Ricucci, è fallita ed è stata rimpatriata in Italia sotto il controllo del capo della fallimentare romana, il giudice Ciro Monsurrò.
Fra curatori giudiziari e liquidatori, Ricucci non dovrebbe poter muovere un dito nelle società Magiste. Invece, continua a gestire tutto lui dal suo quartier generale romano in viale Regina Margherita.
I tedeschi di Eurohypo si sono dovuti accontentare di raccogliere una trentina di milioni di euro da qualche liquidazione secondaria e altri 40 milioni dalla cessione dell’immobile milanese di via Cerva alla Banca Profilo. Le due vendite più importanti, in via Borromei e in via Pellico, sempre a Milano, sono state revocate dopo un’assegnazione provvisoria per 86,5 milioni di euro nel 2010. Il complesso di via Borromei, valutato 50 milioni, è sfitto dopo la risoluzione del contratto da 5,2 milioni di euro all’anno da parte dell’inquilino Meliorbanca. Al momento, gli immobili del tesoro Ricucci producono solo spese di imposte e di manutenzione. Non si riesce a venderli e non li si può certo affittare alle famigliole. Questo vale anche per la Cacciarella, più volte messa all’asta senza che nessuno presentasse un’offerta.
Il prossimo appuntamento per trovare la somma necessaria a uscire dall’impasse è l’assemblea di Magiste Re Property prevista per lunedì 25 luglio. Se i soldi non arrivano e arriva invece il fallimento, la questione si complica. Da ognuna delle società potrebbe scaturire un nuovo processo penale. Per fortuna, Ricucci è di carattere estroverso e poco incline all’ansia. In piena lotta per la sopravvivenza economica, l’immobiliarista si vanta dei servizi fotografici che lo ritraggono in compagnia di varie Papi-girls intercettate nel processo Rubygate (Florina Marincea, Alessandra Sorcinelli). A volte, confessa ai collaboratori, avverte lui stesso i paparazzi. È un metodo sperimentato e brevettato da un amico che, al momento, si sta facendo il suo periodo di carcere preventivo: Lele Mora, agente delle dive e, en passant, del furbetto della Popolare di Lodi Gianpiero Fiorani durante l’estate del 2007.
La voragine di Porta Vittoria
"Glielo dico sempre a Danilo. Ma voi ride’?", Ricucci glielo dice sempre, ma Danilo lo ascolta di rado. Danilo è Danilo Coppola, cupo quanto Ricucci è gioviale, romanista quanto Ricucci è laziale. Coppola è finito in carcere il primo marzo 2007, quasi un anno dopo il compagno di scalate. Il 27 marzo 2007 ha tentato il suicidio in cella, poi ha avuto un arresto cardiaco. Insomma, un calvario che lo ha portato a paragonarsi con scarso successo a Enzo Tortora.
Ai tempi d’oro, Coppola aveva in tasca il 5 per cento di Mediobanca, una fetta di Bnl e di Intermobiliare e immobili come il Grand Hotel di Rimini, il Grand Hotel di via Veneto a Roma, la sede della Fao e il Lingotto di Torino per un patrimonio stimato in 3,5 miliardi di euro. Anche qui la grande domanda (da dove arrivano i soldi?) annega in un vortice di società estere di preferenza chiamate con nomi egizi (Keope, Sfinge) o maya (Tikal). Nel suo nuovo sito, inaugurato a fine giugno, Coppola spiega così il suo successo: "Tra il 1995 e il 2000, Danilo Coppola impone uno sviluppo accelerato al suo gruppo dirigendolo verso una concezione nuova nell’edilizia: vale a dire con l’individuazione dei terreni che a breve avranno un notevole incremento di valore". Forse sono queste intuizioni geniali che hanno convinto il cardinale delle banche romane Cesare Geronzi ad aiutare Coppola agli inizi. Il costruttore non dimentica e definisce l’ex numero uno di Generali "un perno del nostro sistema economico-finanziario, uno capace di mantenere certi equilibri".
Per adesso Coppola, condannato a sei anni in primo grado per il fallimento della Micop, si è messo in equilibrio con l’Agenzia delle entrate. Le vicende del gruppo hanno portato a un’esposizione fiscale per oltre 600 milioni di euro. Grazie al supersconto che non si nega mai ai grandi evasori, l’accordo è stato chiuso a 190 milioni di euro. Coppola ne ha già versati 150 e non dovrebbe avere problemi a chiudere. La disponibilità di fondi è garantita dalla megaplusvalenza da 200 milioni del pacchetto Bnl, comprato a 1 euro e ceduto nel luglio del 2005 a 2,7 euro.
Il centro attuale delle attività di Coppola è ancora il cantiere di Porta Vittoria a Milano, rilevato da un altro costruttore arrembante finito male, Luigi Zunino. Per ripartire con i lavori, fermi o rallentati per mancanza di fondi, ci vuole un rifinanziamento. Ma il credito per 180 milioni da parte delle banche è stato messo a repentaglio da un nuovo processo per bancarotta partito alla fine di maggio.
Fra i sostenitori di Coppola c’è il Banco Popolare, l’istituto che ha incorporato la Banca Popolare Lodi di Gianpiero Fiorani e Italease di Massimo Faenza. Fra i prudenti c’è Unicredit, erede dei rapporti Capitalia-Coppola. Fra i critici c’è la svizzera Banca Arner. O meglio, l’Arner in parte rinnovata dopo le ispezioni di Bankitalia e l’inchiesta per riciclaggio di beni mafiosi avviata dalla Procura di Palermo.
In ogni caso, l’accordo con l’Agenzia delle entrate ha svincolato alcune risorse bloccate dall’autorità giudiziaria. L’ultimo dissequestro, alla fine del 2010, ha liberato asset per una quarantina di milioni di euro. Fra questi, 820 mila azioni di Mediobanca (circa 5 milioni di euro di valore), una parte dell’hotel Cicerone, ceduto a Coppola dallo scomparso proprietario della Roma Franco Sensi. E c’è anche una quota del club romanista (il 3,4 per cento, pari a circa 2,7 milioni di euro ai corsi attuali). Chissà chi tradurrà il curriculum di Coppola al nuovo proprietario dei giallorossi, il bostoniano Tom Di Benedetto.
Saldi da Caserta a New York
Giuseppe Statuto ha scelto un profilo d’immagine diverso dai suoi colleghi immobiliaristi rampanti. Poche dichiarazioni, abbigliamento corretto, capelli corti e nessuna concessione al folklore. La sostanza era uguale. Castelli societari con controllo nei Caraibi, immobili venduti e ricomprati, debiti con le banche e derivati spericolati con Italease prima del crack causato da Massimo Faenza.
L’ultimo slogan è: trasparenza e semplificazione. Basta con l’off-shore, anche per dare un segnale alla Procura di Roma che lo scorso giugno ha chiuso un’inchiesta durata tre anni su Statuto. L’indagine, per associazione a delinquere finalizzata ai reati tributari e al riciclaggio, coinvolge anche i principali collaboratori di Statuto e 18 società da lui controllate.
L’immobiliarista casertano tenta di sopravvivere alle difficoltà su un doppio binario di molte cessioni e qualche investimento. Le vendite sono imposte da un indebitamento con il sistema bancario di circa 1,6 miliardi, in gran parte con il Banco Popolare che si è preso, fra l’altro, l’edificio di Parco de’ Medici a Roma che ospita la Telecom e la torre del centro direzionale di Napoli dove ha sede la Regione Campania. Merrill Lynch ha convertito il suo credito con Statuto in una parte (35 per cento) dell’hotel milanese Four Seasons, acquistato per la cifra record di 250 milioni di euro. E la stessa sede della Merrill in via Manzoni (50 milioni di valutazione) è passata di mano da Statuto al Banco popolare di Saviotti.
Gli anni successivi alle scalate sono stati segnati da svendite massicce. Tra i Parioli a Roma e il quartiere Brera a Milano, i gioielli se ne sono andati uno dopo l’altro. È vero che c’è ancora tanta roba, soprattutto nelle vie della moda a Milano (Montenapoleone, Borgonuovo, piazzetta Bossi). Ma su una quarantina di società controllate dalla Michele Amari, holding di Statuto, ne sono sopravvissute meno della metà. Si sono sciolti legami d’affari importanti come quello che legava Statuto a Luigi Carraro, figlio di Franco, ex presidente della Federcalcio e fiduciario di Geronzi alla guida del Mediocredito centrale (Mcc). I sogni di espansione negli Stati Uniti hanno dovuto fare i conti con una crisi micidiale del settore immobiliare. Un esempio su tutti. Il palazzo newyorkese della Sesta Avenue, finanziato per 105 milioni di dollari dalla Société Générale è stato ceduto con uno sconto colossale a 40 milioni.
Sul fronte degli investimenti, Statuto mantiene una presenza forte negli alberghi ma il mercato è duro per tutti e dappertutto. Si calcola che da qui al 2013 in Italia finiranno in vendita immobili per 20 miliardi di euro, inclusi palazzi storici, teatri, caserme ed ex carceri.
È un menu indigesto in una fase in cui i compratori sono merce rara. Senza contare il fisco e i giudici che non vogliono mollare la presa sul sogno dei furbetti del quartierino. Ma le banche non hanno scelta. Se il sistema furbetti si pianta, il disastro lo pagheranno anche loro.