Franco Bechis, Libero 22/7/2011, 22 luglio 2011
LE MANI SPORCHE DEL PD
L’ultimo indagato è stato Filippo Penati, e le accuse per le mazzette legate all’ex area Falck di Sesto San Giovanni sono tra le più pesanti che l’intera storia di Tangentopoli ricordi. Poche settimane prima era stato arrestato Franco Pronzato, coordinatore nazionale delle politiche di trasporti del Pd, per le mazzette prese sugli appalti Enac. Negli ultimi due anni sono stati 35 gli esponenti e dirigenti nazionali o locali del Pd arrestati, e più di 400 quelli indagati. Per reati classici della politica, come l’abuso di ufficio, la truffa, la corruzione e la concussione. Ma anche per quelli più eclatanti: associazione a delinquere, associazione mafiosa, traffico di stupefacenti, addirittura violenza sessuale e omicidio. Non mancano i nomi di primissimo livello del partito, che ad esempio in Puglia è stato travolto dall’inchiesta sulla sanità locale. La stessa che aveva portato alla richiesta di custodia cautelare in carcere poi tramutata in arresti domiciliari dal tribunale del Riesame per il senatore Alberto Tedesco salvato dal suo destino giudiziario solo 24 ore fa in Senato dai garantisti di sempre del fronte avversario e dalle ipocrite furbizie dei suoi compagni di partito.
Certo, ognuno è innocente fino a terzo grado di giudizio in Italia, ma alla sinistra italiana- vuoi per compiacenza delle procure, vuoi per virtù propria- non era mai capitato di trovare nelle sue fila un esercito di indagati così vasto. Nemmeno negli anni più duri di Tangentopoli, durante il biennio 1992-’94. La questione morale sta dilaniando il partito di Pierluigi Bersani, e per quanto molte notizie siano oggi rintracciabili solo in brevi dispacci delle agenzie, non avendo avuto sulla stampa l’eco delle vicende giudiziarie che hanno coinvolto altri partiti politici, i dirigenti del Pd non possono nascondersi quel che sta accadendo. Sperano forse di esserne graziati dalla loro spina nel fianco, quell’Antonio Di Pietro finora fedele alleato. Hanno cercato fin qui di anestetizzarne gli effetti, di circoscrivere i casi a livello locale. Hanno dovuto incassare i colpi che meno si potevano delimitare, come le inchieste che decapitarono Bologna e il suo sindaco Pd, Flavio Delbono. Hanno definito mele marce di provincia quelli come Luca Bianchini, lo stupratore seriale alle porte di Roma che di giorno curava la sezione Pd e di sera (c’è già stata una condanna a 17 anni in primo grado) violentava le ragazze. Stessa anestesia usata nel caso di Catello Romano, iscritto al Pd e candidato alle primarie del partito per il comune di Castellamare di Stabia, risultato il killer che ha freddato un altro consigliere comunale del partito di Bersani, Gino Tommasino.
Casi clamorosi, ma isolati. Come quello del sindaco Pd di Racalmuto, Salvatore Petrotto, coinvolto in un giro di cocaina siciliano. Ma a forza di casi isolati, la questione morale negli ultimi mesi ha devastato il Pd dalle Alpi alla Sicilia. Nell’isola è stato arrestato un suo consigliere regionale, le indagini hanno travolto per vicende di malaffare- spesso tangenti (qualcuno è stato preso con le mani nel sacco mentre le riceveva), da Modena a Perugia, da Genova a Catanzaro, da Cortona a Bolzano, da L’Aquila a Caltanissetta, dalla provincia di Torino a Firenze - città in cui proprio con le indagini su due assessori del Pd è partita la famosa inchiesta sulla cricca degli appalti pubblici.
Ora il filone delle tangenti Enac e quello Penati, che vanno a colpire il cuore stesso della dirigenza del partito: D’Alema (la cui squadra è già stata decimata in Puglia dalle inchieste) e Bersani.