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 2011  luglio 22 Venerdì calendario

I GENITORI ARRESTATI: «CI SIAMO LIBERATI DEL PICCOLO JASON» —

Alba. Caserma dei carabinieri. Dopo ore d’interrogatorio glielo chiedono a bruciapelo: «Qual è il bene che vuoi difendere ormai, Katia? Perché non ci dici dov’è il bambino?» . Lei li guarda con gli occhi asciutti e senza luce che ha da sempre, da quando a otto anni l’hanno violentata in famiglia. Li guarda come chi non sa neppure cosa significhi la parola «bene» . E, come un automa, risponde fredda: «Jason mi è caduto. L’ho preso in braccio e ho camminato. L’ho messo sul ciglio della strada, lì, nel bosco di Castel Trosino. Era nudo. Era morto» . È una piccola storia difficile da raccontare questa di Katia Reginella, «mamma» Katia: 24 anni da compiere e già tre figli scodellati a casaccio, già inquisita e prosciolta per gli strani incidenti accaduti ai primi due (sottratti alla sua potestà e dati in adozione) e adesso, nella notte senza fine di Folignano, al centro di una specie di dramma collettivo che coinvolge il paese, le coscienze di molti, le responsabilità di troppi. Perché «mamma» Katia è una madre sbagliata, forse è una vittima che tende a fare altre vittime: e lasciarle tra le mani Jason, il terzo dei suoi bambini, nato il 9 maggio e svanito nel nulla ai primi di luglio, più che una disattenzione è quasi un delitto. «Non so chi, ma qualcuno deve pagare per questo sbaglio» , sbotta il suo avvocato, Francesco Ciabattoni, che finora l’ha sempre tirata fuori dai pasticci e magari immagina, magari intuisce più di molti altri, magari sa. In caserma, nella stanza accanto a quella dove Katia sta parlando e mentendo, crolla pian piano suo marito Denny, sei anni di più, operaio irreprensibile ai cablaggi della Prysmian ma forse schiavo di questa ragazzetta che sembra nascondere almeno due persone in una: vuota e priva di volontà davanti agli assistenti sociali che seguono la coppia da anni («le parliamo e si gira dall’altra parte, si affida al suo compagno» , scrivono nelle relazioni); determinata, quasi feroce nel piccolo drammatico ménage di una famiglia malata. «Non riesco a sottrarmi alla sua volontà» , dichiara Denny durante l’interrogatorio. Ha sempre condiviso con lei le disavventure giudiziarie e forse ora giocano a scaricabarile: li arrestano per abbandono di minore, maltrattamenti, occultamento di cadavere. Quasi nulla è come appare in questo paesone alle porte di Ascoli, già spedito in cima alle pagine di cronaca dall’aspirante mostro Salvatore Parolisi. Al mattino sulla Provinciale 90, tra Ascoli e Castel Trosino, passano pompieri e carabinieri, le sirene rompono il silenzio assonnato di queste colline di boschi, balle di fieno, sagre e noia, così tanta noia che nulla di male t’immagini possa succedere: quando Jason è sparito erano i giorni della sagra della Tagliata Marchigiana. «Il primo luglio l’ho visto in casa loro, vivo, nella culla; Denny e Katia stavano imbiancando i muri, due ragazzi tranquilli, sempre puntuali a pagare l’affitto» , dice Graziano Bollettini, il padrone della palazzina di via Verona 18, a Piane di Morro, la frazioncina di Folignano dove Denny e Katia s’erano trasferiti in una mansarda. Graziano è l’ultimo ad avere visto Jason. Nel giardino, alberi di pesco, cespugli fioriti, nemmeno l’ombra del degrado che t’immagini: Denny e Katia giocavano ormai alla famiglia normale. «Sentivamo abbaiare il loro cane e piangere il loro bambino. Poi il bambino ha smesso di piangere. Abbiamo pensato gliel’avessero tolto come gli altri» . «Lei girava per strada, ballava e parlava da sola, come si fa a immaginarsela madre, quella là?» , dicono al bar di fronte. E ancora una volta quella mamma sgarrupata sembra due persone in una. Jason lo cercano per un giorno intero, e non lo trovano ancora. Nulla nel bosco. «Sta sotto una quercia» , dice Katia. La sua versione fa acqua: tra Piane di Morro e Castel Trosino ci sono venti chilometri, lei non ha la patente e non guida, racconta di aver portato il corpicino in braccio per tutto il tragitto: assurdo. «Denny non sapeva, gliel’ho detto dopo» . Jason potrebbe anche essere vivo, il colonnello Alessandro Patrizio un po’ ci spera e un po’ ha paura a sperarci, i suoi carabinieri lavorano duro ormai da trentasei ore filate. Jason potrebbe essere in mano a qualcuno, venduto a qualcuno, magari in Svizzera. La pista Svizzera ha un senso, raccontano i verbali. Katia l’hanno arrestata con le valigie pronte, a casa di Daniele, il padre di Denny, camionista con qualche denuncia alle spalle, in un paese qui vicino, Nereto. Ci sono intercettazioni allucinanti, prese dai carabinieri nella macchina della coppia dopo i primi interrogatori dell’altro giorno, alla vigilia dell’arresto. «Lascio un biglietto, dico che mi ammazzo e me la filo in Svizzera — sussurra lei —. Siamo due menti criminali, ce ne siamo sbarazzati» . E ancora: «Tu non c’entri, non ti coinvolgo, non è neanche figlio tuo» . E questo è vero. Il padre naturale di Jason è un ragazzino di diciott’anni di Maltignano, ieri è stato sentito dai carabinieri e ha confermato tutto. Denny aveva comunque riconosciuto quel bambino non suo, subito prima di sposare Katia esattamente un mese fa, il 22 giugno. Le date sono importanti. Qualcosa deve succedere in queste ultime settimane. Chissà quale strana voglia di normalità deve entrare nell’anima di questa coppia assurda e traballante. Le relazioni dei servizi sociali aggiungono una luce cupa sulle storie precedenti, su quei due bambini che adesso hanno cinque e due anni e sono riusciti — portandosi addosso danni permanenti, p a r a l i s i e semicecità— a sfuggire alle cure di «mamma» Katia, a trovare riparo nell’adozione, nel seno di due nuove famiglie. «Scarsa responsabilità, scarsa capacità di gestire i conflitti— scrivono gli assistenti sociali —. Katia è affetta da sindrome di risarcimento» , sentiva che la vita le aveva tolto, aspettava che le ridasse qualcosa. «Mostra mancato riconoscimento dei danni arrecati ai figli» , si legge in quelle relazioni che pure deve aver letto qualcun altro nei palazzi di Ascoli, decidendo che per Jason si poteva attendere o magari non decidendo affatto. Dunque il bambino che ai primi di luglio più nessuno sentì piangere, quello che il 7 luglio i servizi sociali segnalano alla Procura come un «caso» , è in realtà l’ultimo anello d’una catena di dolore. Già Denny da ragazzino era seguito dai servizi sociali, la sorella l’accusava di violenze. Katia stava in una casa famiglia, vittima di violenze a sua volta. Per lui scappa, a maggio del 2005. Vivono in una macchina, lei resta incinta del primo bambino, entrambi restano prigionieri d’un nuovo incubo. Jason è ancora quell’incubo. Liberi da lui, «mamma» Katia e «papà» Denny possono infine sognarsi normali.
Goffredo Buccini