Alessandro Plateroti, Il Sole 24 Ore 22/7/2011, 22 luglio 2011
BANCHE ITALIANE LINEA DEL PIAVE
Pochi giorni fa, al termine di un giro di colloqui riservati con i massimi livelli del sistema bancario e finanziario italiano, l’amministratore delegato della Hsbc Stuart Gulliver si è concesso uno strappo al suo tradizionale aplomb britannico: «Credo che le agenzie di rating abbiano commesso un grave errore mettendo sotto osservazione il debito sovrano italiano: i loro analisti sembrano non capire la differenza tra solvibilità e liquidità. L’Italia potrà anche non essere in grado di pagare l’intero ammontare del suo debito in un giorno, ma non bisogna dimenticare che quel debito è stato acquistato dagli investitori su una base di lungo termine, 10-15 anni almeno. In altre parole, le società di rating sembrano aver preso in considerazione solo il lato delle passività del bilancio dello Stato, ignorando invece quello delle entrate. A mio giudizio, l’Italia è assolutamente solvibile e per questo ritengo che oggi il debito italiano sia una buying opportunity, un’opportunità d’acquisto». Detto dal banchiere che è a capo della più grande banca del mondo fa un certo effetto. E soprattutto fa pensare che, al contrario di quanto i mercati temono, è la solidità delle banche italiane il vero paracadute a cui è appesa oggi l’Italia. E finalmente, si rende anche giustizia a quanto ripetuto in modo ossessivo in queste ultime settimane dai banchieri italiani: l’Italia non è la Grecia e l’elevata esposizione dei nostri istituti nei confronti dei titoli di Stato italiani non può essere posta sullo stesso piano dell’esposizione di altri sistemi bancari (vedi Francia e Germania) nei confronti dei bond greci, irlandesi o portoghesi. Alle stesse conclusioni, del resto, è arrivata l’ultima tornata di stress test: tutte e cinque le banche italiane hanno superato l’esame delle autorità di vigilanza, evidenziando dei solidi fondamentali, una prudente gestione del rischio con bassa leva finanziaria, un’esposizione elevata verso i titoli di Stato nazionali ma estremamente bassa nei confronti dei bond degli altri Paesi periferici, i cosiddetti Pigs. Questo non significa certamente che vada tutto per il meglio: per un investitore internazionale, proprio la forte esposizione verso il debito italiano fa sì che il rischio-Paese coincida con il rischio del sistema creditizio, mettendo sotto pressione i titoli delle banche ogni qualvolta le forze politiche si dimostrano incapaci di trovare un accordo sulle misure di risanamento dei conti pubblici. L’attacco della Borsa alle banche, insomma, altro non è che il riflesso del timore dei mercati sul fatto che l’Italia non faccia sul serio quando promette il taglio delle spese e l’aumento delle entrate.
Proprio per queste ragioni, le forze politiche italiane hanno oggi una doppia responsabilità nel realizzare ciò che promettono: con l’immagine e la credibilità internazionale, si stanno giocando anche le sorti del sistema bancario e quindi dell’intero sistema economico e sociale del Paese. Volenti o nolenti, dobbiamo accettare il fatto che le banche rappresentano oggi la nuova linea del Piave nella guerra agli speculatori. Perdere questa sfida non è un’opzione: l’alternativa si chiama Caporetto.
Il nostro Paese, del resto, è cresciuto e si è sviluppato proprio intorno alle banche, dando al sistema creditizio un ruolo strategico e quasi unico in Europa. Le banche italiane, pur avendo operatività e orizzonti analoghi ai concorrenti esteri, hanno infatti un connotato del tutto particolare, e cioè la tensione verso un accentuato radicamento sociale, più pregnante e prezioso della semplice articolazione territoriale derivante dalla burocratica espansione della rete commerciale. In un Paese da sempre caratterizzato da un accentuato pluralismo economico e sociale, da grandi ma anche da polverizzate realtà imprenditoriali, dalla presenza autorevole dell’associazionismo cooperativo, dal no profit, per far banca occorre "far corpo unico" con il territorio, nel senso di operare non soltanto in raccordo con il cliente, ma anche comprendendo le esigenze e le aspirazioni della comunità locale e aderendovi con intelligenza, senza abbandonare gli obiettivi di redditività di gestione. Non è un caso che le tempeste finanziarie mondiali abbiano qui da noi colpito meno.
Certo, non sempre questa tensione sociale ha prodotto risultati concreti ed apprezzabili, e gli imprenditori italiani lo sanno sulla loro pelle. Ma lo sforzo è innegabile. Tanto più oggi che la "foresta pietrificata" (come era definito il mondo creditizio fino agli anni ’90 del secolo scorso) si è condensata in "campioni nazionali" che competono in un mondo globalizzato senza aver perduto il retaggio della tradizione operativa.
Questo per dire che mondo della produzione e mondo finanziario rappresentano in Italia realtà parallele, sotto il mantello costituzionale dell’utilità sociale di ogni attività economica. Come l’industria - piccola o grande che sia - è ben radicata sul territorio ed è aspirazione comune che rimanga tale, senza che per questo ne venga mortificata la competitività sui mercati; così ogni indebolimento delle istituzioni creditizie apporterebbe solo l’indebolimento del tessuto economico e produttivo.