Andrea Scarpa, Vanity Fair n.29 20/7/2011, 20 luglio 2011
IERI SERA SONO SVENUTO
La copertina, le foto, queste sei pagine. Se siete di quelli con la puzza sotto il naso, vi sembrerà troppo. Perché Checco Zalone non è un comico «politico», perché a volte è un po’ scurrile e, soprattutto, perché ha un successo imbarazzante tanto in Tv quanto – cosa ancora più difficile da perdonare – al cinema: a inizio anno il suo secondo film, Che bella giornata, ha totalizzato 43 milioni e mezzo di euro d’incasso, in assoluto il più alto nella storia del cinema italiano (più di Benigni con La vita è bella, per intenderci).
Adesso Checco Zalone – cioè Luca Medici, nato 34 anni fa a Capurso, in provincia di Bari, una laurea in Giurisprudenza attaccata al muro – sta preparando un nuovo spettacolo, Resto umile World Tour, che dal 14 settembre porterà in giro per l’Italia e, a Natale, su Canale 5.
L’incontro con Luca – più che con Checco – avviene in un albergo di Milano alle spalle di Zelig, il locale che ha dato il nome al programma dove nel 2005 è iniziata la sua carriera. E la sua seconda vita.
Si esibirà in spazi – arene, palazzetti, stadi – dai 6-7 mila posti in su: non avrà esagerato?
«È la produzione che nutre tutta questa fiducia. Io ho accettato a una sola condizione: biglietti dai 40 euro in giù. Se poi la gente non viene, farò una figura di merda mondiale».
Uno dei suoi nuovi personaggi è Roberto Saviano.
«Non intendo certo prenderlo in giro, semplicemente renderlo umano. Il mio Saviano non fa sesso per colpa della vita che è costretto a fare: invece quelli della scorta trombano, e lui fa da scorta a loro. Ci saranno anche Al Bano, Cassano, Kekko dei Modà, e Vendola che confonde un compaesano di Terlizzi per un fratello musulmano».
Questo periodo fortunatissimo non ce l’ha un effetto collaterale?
«Certo che ce l’ha. L’asticella delle aspettative nei miei confronti sale sempre di più, questo mi fa vivere in un perenne stato d’ansia e la salute ne risente: poche sere fa, al ristorante, sono svenuto. Quando è arrivata l’ambulanza mi ero già ripreso, ma che figuraccia... Il 29 giugno, poi, alla presentazione del nuovo palinsesto Mediaset, me la sono fatta sotto perché ho capito che tutti si aspettano da me grandissimi risultati. Ero al tavolo di Pier Silvio con Maria De Filippi, e già mi vedevo l’anno prossimo seduto al posto più sfigato, vicino all’uscita».
Il mondo del cinema ha completamente ignorato Che bella giornata. Nemmeno un premio: c’è rimasto male?
«Al contrario del mio produttore Pietro Valsecchi, che si è incazzato, a me queste cose non interessano. Forse perché non vivo a Roma, a contatto di un mondo, quello del cinema, veramente piccolo: sta tutto nel salotto di casa Valsecchi quando fa le sue feste. Io ci sono stato».
E negli occhi degli invitati che cosa ha visto?
«Non dico risentimento o invidia, ma qualche pensierino negativo sì. Oddio, li capisco: l’incasso del mio film è assolutamente sproporzionato rispetto al suo valore. Ma non è certo la prima volta che succede. Quanto ai premi, i David di Donatello e i Nastri d’Argento, fino a tre anni fa, quando ho fatto Cado dalle nubi, il mio primo film, neppure sapevo della loro esistenza. Se poi vado a chiedere a parenti e amici...».
Che cosa rispondono?
«Che non sanno che cosa siano, come tutti gli italiani. Non voglio sminuire i premi, ma per me conta solo che la gente sia andata a vedere i film, che li abbia apprezzati, che non siano stati un flop. E invece la cosa assurda è che in quel piccolo mondo c’è tanta gente che guarda agli incassi come una diminutio. È immorale: fare un film dà lavoro a tante persone, i risultati sono fondamentali».
Il suo terzo film uscirà a fine 2012: come conta di riuscire a far ridere ancora?
«Sarà durissima, perché non sono un paraculo: non ho fatto Cado dalle nubi 2, non farò Che bella giornata 2. E guardi che il mio produttore voleva farmeli fare. Per fortuna mi sono impuntato. Oggi Valsecchi mi asseconda in tutto».
Non sarà il solo.
«Sul set di Cado dalle nubi tutta la troupe – gente brava, ma romana e quindi sbruffona – mi guardava con diffidenza. Sul set del secondo film, quando dicevo una cosa avevo sempre ragione, e se facevo una battuta, ridevano tutti. “Ragazzi, non prendiamoci per il culo”, ho detto dopo un po’».
Di quei 44 milioni quanti ne ha messi in tasca?
«Diciamo che ho guadagnato meno della metà del 10 per cento. Sarebbero stati molti più soldi se avessi preso una percentuale sugli incassi. Ma il contratto che avevo firmato non li prevedeva».
Valsecchi avrebbe potuto fare come Rita Rusic, che nel 1996, quando Pieraccioni sbancò i botteghini con Il ciclone, gli regalò un miliardo di lire fuori contratto.
«Quella storia me l’ha raccontata anche Giovanni Veronesi (regista e sceneggiatore di Pieraccioni, ndr), proprio a cena da Valsecchi. Per un po’ ho sperato che il mio produttore facesse altrettanto, invece manco pe’ ’o cazz... In compenso mi ha offerto un soggiorno a Capri con la fidanzata, e a Natale mi ha regalato un Rolex che ho messo in banca. Ma non vorrei fare la figura di quello attaccato ai soldi: per me non sono così importanti».
Lo sono per quelli che hanno cercato di portarla via al suo produttore: ci hanno provato in tanti, vero?
«Sì, ma io sono fedele. Valsecchi è un pazzo genialoide e fra noi, ormai, c’è un sodalizio».
A condizioni diverse, immagino. Ha appena firmato un nuovo contratto per altri tre film.
«Dal prossimo prenderò anche la percentuale».
Ha ricevuto offerte pubblicitarie?
«Parecchie. Ho deciso di non accettarle, benché mi offrissero tantissimi soldi».
Qual è la cosa che le dà più fastidio?
«Sentirmi ripetere che sono “l’uomo del momento”. Perché il momento, prima o poi, passa, e ancora non ho un piano B. Di sicuro so che a 50 anni non farò il comico. A quell’età si inizia a essere tristi, la scorreggia diventa patetica, e io le corde drammatiche non le ho. Tutti mi dicono che questo lavoro è come una droga, ma spero di riuscire a ritirarmi in tempo. Potrei aprire un ristorante, dedicarmi alla produzione, cinematografica o musicale. Sono anni che tento di scrivere canzoni serie: purtroppo mi scappa sempre la cazzata».
Se le venisse, a chi vorrebbe farla cantare?
«A Jovanotti, o a Caparezza».
Caparezza compare in Che bella giornata, ma è vero che prima di lui voleva gli Afterhours?
«Sì. Che però, il giorno delle riprese, avevano un altro impegno. Sa che cosa mi piacerebbe fare, su Canale 5, con Caparezza e Al Bano? I Tre Terrones».
Le capita di ridere quando vede un comico?
«Quasi mai. Ogni tanto mi diverte Grillo, quando è cattivo. Quando ha fatto il verso al modo in cui parla Bossi, l’ho trovato irresistibile».
Il figlio di Bossi, Renzo il Trota, dice di essere un suo fan: ha mai provato a imitarlo?
«Ci sto lavorando. Il problema è che mi viene troppo simile a Giovanni Allevi».
Chi prenderà di mira nel prossimo film?
«I nuovi ricchi. Finirò in Confindustria, mi innamorerò di una radical-chic che mangia solo biologico e segue l’arte contemporanea».
Anche lei è un nuovo ricco.
«Un po’, sì. Ho comprato due case a Capurso e una a Bari. Adesso ne vorrei acquistare una a Roma e una a Milano. Dopodiché non avrò un euro».
Questa nuova ricchezza l’ha mai messa in imbarazzo?
«È successo l’altro giorno. Valsecchi mi ha chiesto di andare a Riccione con lui. Visto che non c’è un treno diretto da Bari, mi ha suggerito di volare a Roma e di prendere da lì un jet privato. Gli ho detto che, se mi fotografavano su un aereo privato, con il prossimo film avrebbe perso minimo 5 milioni di incassi. Ha replicato con tre parole: “Vai a piedi”. Ho preso un Intercity e ci ho messo 6 ore e mezzo. Al ritorno, però, me ne sono fottuto e sono salito sull’“aeretto”, come lo chiama lui. Arrivato a Ciampino, mi ha visto tutto l’aeroporto».
Quante raccomandazioni le sono arrivate in questi anni?
«Tante. Ma io aiuto solo mio fratello».
Francesco Medici, che compare nei titoli di coda del suo secondo film come aiutante di produzione.
«Portava sul set gli attori, e poi li riaccompagnava a casa o in albergo. Ma dal prossimo film farà l’aiuto attrezzista: gli attori, a volte, sono troppo antipatici».
Anche con lei?
«A inizio carriera sì, adesso ovviamente no. Chi è che mi tratta male?».
L’altro fratello che cosa fa?
«Lo steward per la Ryanair. È identico a me e quest’anno l’hanno chiamato all’Isola dei famosi: gli avrebbero dato 40 mila euro. Lui mi ha preso in giro al telefono: “Se me ne dai 45 mila, non vado”».
La sua fidanzata invece lavora con lei?
«Sì. Sul set non la voglio, però, altrimenti a casa che ci raccontiamo? Una volta, a un provino con Pieraccioni, lui mi chiese se avessi una compagna: “Se non ha velleità artistiche”, disse, “sei un uomo fortunato”. All’epoca Mariangela faceva la commessa».
Dopo quel colloquio, Pieraccioni la scritturò per Io & Marilyn. Lei prima accettò, poi diede forfait per fare Cado dalle nubi: l’ha più rivisto?
«Non ancora. E mi dispiace. Ma quello è stato il “no” più importante della mia vita».
Pieraccioni è papà da pochi mesi: lei ci pensa mai alla paternità?
«Sì, e anche Mariangela. Ma prima devo sposarla, e temo che fra un po’ mi darà l’ultimatum. Mi fanno pressing anche Materazzi e Cassano».
In che senso?
«Siamo amici, guardi qui (mi mostra il telefonino con la foto che gli hanno spedito il giorno prima, e che vedete in questa pagina, ndr). Dicono che il matrimonio mi farà bene. “Lo so, Antò”, ho detto a Cassano, “ma tu hai trombato 600 donne...”».
E lei?
«Otto, comprese le due fidanzate».
Ora che è famoso la troveranno più sexy.
«Quando capisco che una me la regalerebbe, ma che in condizioni normali non me l’avrebbe mai data, mi passa la voglia. E poi c’è Mariangela: amo la mia donna».
Proposte indecenti?
«Un mese fa ho ricevuto la telefonata di un organizzatore di Bari che mi offriva 30 mila euro per fare uno spettacolo a casa di una signora che compiva 50 anni. Gli ho detto di no, ma, incuriosito, gli ho chiesto chi fosse la donna. E quello: “Checco, è troppo vippa per dirtelo”. Ancora ci penso: chi può essere?».
Ho saputo che proprio a Bari, da ragazzino, giocò contro Cassano: come andò?
«Ero attaccante nei pulcini del Capurso, lui del Bari. Ci umiliò».
Cito Cado dalle nubi: come reagirebbe se un giorno scoprisse di avere un figlio gay?
«Adesso fa tanto figo dire: “Nessun problema”, ma in realtà ce ne sarebbero eccome. L’importante è superarli».
È pro o contro la regolarizzazione delle unioni omosessuali?
«È giusto che ci siano, mentre non ammetto l’idea che una coppia omosessuale possa adottare un bambino».
Fra i tanti cantanti che ha imitato – Vasco Rossi, Carmen Consoli, Giuliano Sangiorgi dei Negramaro – c’è qualcuno che si è arrabbiato?
«Tiziano Ferro. Quando l’ho preso in giro non aveva ancora fatto coming out, e io forse ero l’unico a non sapere che fosse gay. E ci sono andato giù pesante. Se ho ferito la sua sensibilità, gli chiedo scusa».
Sbaglio o se la prese anche la moglie di Jovanotti?
«Sì. Stavamo facendo le prove della puntata di Zelig dove ci sarebbe stato anche lui. Per fortuna Lorenzo la tranquillizzò. Per me quella gag fu importantissima: il Corriere della Sera ne scrisse bene, Valsecchi lesse, chiese al figlio Filippo se sapeva chi fossi, e mi chiamò».
A 16 anni, Lorenzo deve essere sveglio: ha suggerito al padre anche il nome di Biggio e Mandelli, che fanno I soliti idioti su Mtv e che stanno girando il loro primo film con Valsecchi. È mai possibile che il futuro del cinema italiano sia in mano a un adolescente?
«Le rispondo con un’altra domanda: è mai possibile che il cinema italiano sia stato, e in parte sia ancora, in mano a un reparto di geriatria?».
Vive sempre in Puglia?
«Sì. Bari è una città fighetta, piccolo-borghese, dove si vive alla grande».
E dove i giovani per trovare un lavoro vanno via.
«Ma poi vogliono tornare tutti. Certo, non è facile sistemarsi se non hai un parente o qualcuno che ti aiuta».
Se quel provino per Zelig fosse andato male, da chi avrebbe cercato di farsi raccomandare?
«Chissà. Una mia zia, che adesso è in pensione, è stata vicequestore di polizia a Bari, ma non mi faceva entrare gratis nemmeno alle partite. Però le devo tanto: mi ha pagato gli studi».
Per quanto tempo ha fatto il rappresentante di Amuchina?
«Più di un anno, fra il 2002 e il 2003. Mio padre aveva perso il lavoro e mi chiese di dare una mano. Fu il periodo più brutto della mia vita: smisi di fare pianobar e all’università diedi pochissimi esami. Mi venne la depressione, ero avvilito, tanto che mia madre a un certo punto mi disse di mollare: ce l’avremmo fatta lo stesso. E papà, per fortuna, dopo un po’ trovò un nuovo lavoro».
L’ultimo regalo che si è fatto?
«Un pianoforte Steinway. Suonare è la mia droga, e ora ho una casa spaziosa, anche se non è una reggia come quella di Gigi D’Alessio».
A proposito: è vero che con D’Alessio ha un debito di riconoscenza?
«Successe tre anni fa. Certi addetti ai lavori, dopo una proiezione riservata, massacrarono il mio primo film. Mi rinchiusi in casa, in lacrime. Ero disperato. Lui lo venne a sapere, e mi tenne mezz’ora al telefono. Mi incoraggiò, e disse di fottermene delle critiche».
L’ultima volta che si è incazzato?
«Qualche giorno fa, in una pizzeria di Triggiano. Una signora con una scolaresca mi ha chiesto di fare la foto con tutti gli studenti, uno alla volta. Le ho fatte, non dico mai no: un giorno le rimpiangerò, queste cose. Poi è arrivata la pizza che avevo ordinato, ho chiesto se potevo andare, e quella mi risponde: “No, adesso deve fare le foto anche con le altre persone che sono con me”. Le ho gentilmente detto che mi aspettavano al tavolo, avevo fame, la pizza si stava raffreddando. La quarta volta che quella ha insistito, ho sbottato: “Signora, il confine fra l’educazione e uno che s’è rott ’o cazz è veramente labile”».