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 2011  luglio 21 Giovedì calendario

IL FUTURO DELL’UOMO È FRA GLI ORSI POLARI


In generale dai futurologi che scrivono libri sull’avvenire della nostra cara Terra è bene tenersi alla larga. Spesso adottano metodi di previsione più vicini a quelli del Divino Otelma che ai protocolli della ricerca scientifica e, come il britannico Mark Lynas nel suo ultimo libro Sei gradi. La sconvolgente verità sul riscaldamento globale uscito qualche tempo fa in edizione italiana da Fazi, sotto la caterva di dati, tabelle, istogrammi, spunta sempre l’attivista scalmanato secondo il quale o andiamo tutti in bicicletta e ci nutriamo di bacche o tra vent’anni il pianeta diverrà un globo di fuoco.
Fortunatamente esistono anche scienziati seri, come Laurence C. Smith, geografo dell’Università della California, che affrontano con obiettività le questioni del surriscaldamento globale, della globalizzazione, del progressivo ridursi delle risorse energetiche tradizionali, della sovrappopolazione. Questioni che costituiscono le «quattro forze globali», connesse tra loro, prese in esame nel suo libro 2050. Il futuro del nuovo nord (Einaudi, pp. 382, euro 30), nel quale Smith fa una proiezione decisamente originale, ma non fantasiosa, di come potrebbero cambiare le città, le nostre vite, le specie animali e vegetali, gli assetti economici, tra una quarantina d’anni.
Uno scenario che vedrebbe, accanto al consolidamento del primato economico e tecnologico di Cina e India, l’affermarsi di un blocco di otto nazioni che Smith chiama “Norc” (Northern Rim Countries): Stati Uniti, Canada, Islanda, Groenlandia, Norvegia, Svezia, Finlandia e Russia, paesi che via mare o terra arrivano fino al Mar Glaciale Artico, formando una specie di bordo (rim) attorno ad esso. Secondo Smith, «il quarto settentrionale delle latitudini del nostro pianeta subirà una straordinaria trasformazione nel corso del Duemila, ospiterà una maggiore attività umana e avrà più valore strategico e importanza economica di oggi». Smith prevede che, in un modo o nell’altro, tutte le quattro forza globali, demografia, risorse energetiche, clima, globalizzazione, avvantaggeranno il Nord e che il processo è già avviato.
La guerra per l’acqua
Il surriscaldamento globale, ad esempio, rischia di inaridire la California e provocare una vera e propria guerra per l’acqua nei Paesi più caldi, nonché scatenare con ancora maggiore frequenza e violenza tsunami e inondazioni nel Sud est asiatico (ma anche i Paesi Bassi potrebbero finire a mollo) mentre, paradossalmente, al Nord arriveranno benefici. «Oggi c’è la prova schiacciante che al Nord gli inverni stanno diventando più miti e le stagioni vegetative più lunghe», scrive Smith, con la conseguenza che «negli anni Novanta, i satelliti hanno rilevato un inverdimento della vegetazione settentrionale». Il che, tradotto in soldoni, vuol dire che la vita, vegetale e animale, sta migrando da sud verso nord, e che un giorno i territori artici potrebbero non essere più quelle spaventose desolazioni di ghiaccio che conosciamo.
Falsi allarmismi sull’Artico
Anzi, sulla spinta irrefrenabile delle trasformazioni climatiche, diventare luoghi densamente abitati, brulicanti di vita, acqua, risorse naturali e sottoposti a un inverno bensì rigido, ma non così proibitivo da costringere a uscire foderati di pelle d’orso.
In ogni caso, rassicura Smith, né l’orso polare né il suo alimento preferito, cioè le foche degli anelli (che a loro volta mangiano i merluzzi artici), rischiano un’immediata estinzione. L’ecosistema artico è ancora alquanto solido, e l’unico grosso rischio sarebbe la scomparsa del ghiaccio marino, che attualmente è in continua contrazione.
Ma mentre tutti ci preoccupiamo dello scioglimento dei ghiacci e dell’orso polare perché sono i fenomeni più clamorosi dell’azione del surriscaldamento globale, osserva Smith, non teniamo conto che «in confronto ad altre regioni, la perdita degli habitat e l’inquinamento sono meno gravi in Alaska, nel Canada settentrionale, nei Paesi nordici e nella Russia orientale, dove le grandi foreste boreali, la tundra e le montagne ospitano ancora alcuni dei luoghi più selvaggi e meno disturbati della Terra». In altre parole, ci agitiamo per la foto (taroccata, come si è scoperto) che mostra un orso polare alla deriva su una lastra di ghiaccio e non ci rendiamo conto che la foresta pluviale amazzonica corre rischi ben più gravi, dove le specie animali e vegetali si stanno estinguendo a un ritmo senza precedenti nella storia della Terra, per un eccesso di competizione al fine di accaparrarsi le poche risorse disponibili.
La famosa lotta per la vita di cui parlava Charles Darwin è insomma assai più spietata fuori dal “Norc”. Al confronto, le regioni del Nord offrono territori ancora in fase di colonizzazione, dove la formazione del suolo e l’espansione biologica è appena cominciata. Quasi, dei territori vergini. Anche la loro esplorazione alla ricerca di risorse energetiche ha rivelato risultati sorprendenti: alcune delle miniere più grandi del mondo si trovano in Siberia e in Alaska, e aggiunge Smith: «Uno dei campioni minerali di ferro più puri è stato rinvenuto di recente nella canadese Isola di Baffin. La scoperta di diamanti nei Territori del Nord-ovest nel 1991 ha innescato la più grande gara dai tempi del Klondike, trasformando dall’oggi al domani il Canada, che non aveva mai avuto diamanti, nel terzo più grande produttore al mondo».
Risorse naturali in abbondanza
E se i diamanti ancora non vi hanno convinto a investire sul Nord, non è finita: «Ci sono volumi sbalorditivi di gas idrati (composti congelati di ghiaccio e metano che si accumulano negli spazi porosi dei sedimenti marini e nel permafrost) che nessuno sa ancora come estrarre ma che potrebbero essere l’ambito combustibile fossile del futuro». Senza contare che ci potrebbe essere ampia disponibilità di combustibile tradizionale: «Nel 2008 e nel 2009, il U.S. Geological Survey ha divulgato nuove valutazioni secondo cui circa il 30 per cento del gas naturale e il 13 per cento del petrolio non ancora scoperti sulla Terra si trovano nell’Artide, soprattutto in mare, a meno di cinquecento metri di profondità».
L’analisi di Smith, che ha lungamente viaggiato nei territori dell’estremo Nord del pianeta, potrebbe risultare sospetta quando l’autore decanta la natura selvaggia, la solitudine e le migliori politiche d’accoglienza di quei luoghi (Federazione Russa esclusa).
Ma non forza mai la mano, non vuole prefigurare che l’uomo nuovo sarà un Inuit. In ogni caso, cominciate a procurarvi la slitta coi lupi.

Giordano Tedoldi