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 2011  luglio 21 Giovedì calendario

IL BUSINESS DEL CANTIERE MAI NATO

Povera Stalingrado d’Italia, la sua storia gloriosa diventa piccola commedia di assessori, la tradizione delle fonderie e della meccanica naufraga nella fogna dei coefficienti di edificabilità, gli ingegneri si trasfigurano in geometri, la marxiana estrazione del plusvalore dal lavoro operaio diventa plusvalenza sulle aree fabbricabili, il rischio d’impresa si arrende di fronte all’investimento sicuro in tangenti.
Chi ritualmente protesta contro la magistratura che definirebbe abusivamente l’agenda della politica, noti almeno questa volta che mai come nel caso di Sesto San Giovanni l’agenda la politica se l’è scritta da sola, con tracotanza. Ed è un’agenda lenta, contraddittoria, opaca, spesso inspiegabile, e non c’è bisogno di sentirsi un Poirot per chiedersi cosa diavolo ci sia sotto.
Era il 1995 quando fu decisa la chiusura delle Acciaierie Falck, dopo 90 anni di gloria nel cuore dell’Italia industriale. Durante il boom economico ci lavoravano 16 mila operai, che poi eleggevano sindaci sempre comunisti. I tempi cambiano, e che ci fa nel post-industriale uno stabilimento siderurgico a ridosso del centro di Milano? Si sbaracca con la solita idea geniale di una borghesia industriale pigra e ignorante: un po’ di palazzi. Milano è circondata dalle metastasi di questa visione lungimirante, musei a cielo aperto del metro cubo invenduto.
Ma a Sesto San Giovanni non hanno neppure incominciato, con quattro milioni di metri quadrati di aree industriali dismesse, 1,3 milioni dei quali solo per la Falck. È il 2000 quando l’area viene acquisita da Giuseppe Pasini, che è di Sesto e conosce tutti, è consigliere comunale, è il patron della squadra di calcio locale. Compra per 200 milioni di euro, e naturalmente glieli presta Banca Intesa, che appare spiccatamente vocata a buttare soldi nei terreni ex industriali. Il sindaco di Sesto San Giovanni è Filippo Penati, ed è in questo periodo che gli inquirenti ipotizzano il pagamento di tangenti. Una cosa è certa: gli affari immobiliari non si fanno se il sindaco non vuole. Ed è ciò che accade a Pasini con il successore di Penati, Giorgio Oldrini, delfino non tanto di Penati quanto, proprio dinasticamente, di suo padre, Abramo Oldrini, sindaco di Sesto dal 1946 al 1962. Si è preparato alla successione facendo per tutta la vita il giornalista. È stato anche corrispondente dell’ “Unità” dall’Avana, dove l’arte di dire e non dire era strumento necessario. Pasini chiede modifiche ai piani, c’è stato l’11 settembre, è finito il ciclo economico degli anni ’90 di Clinton, la Rai non ne vuol sapere di portare a Sesto il suo nuovo insediamento del Nord, il costruttore vorrebbe fare più residenziale e meno uffici. Oldrini dice e non dice. Pasini getta la spugna. Tanto c’è Banca Intesa che ci pensa: le ex aree Falck passano nel marzo del 2005 a Luigi Zunino, immobiliarista rampante. Siamo alla vigilia della torrida estate dei furbetti del quartierino, che lo vedrà tra i protagonisti. Banca Intesa fa capire a Pasini che quell’affare di Sesto serve per altri e più nobili obiettivi, e lo accompagna alla porta. Intanto sono passati dieci anni dalla chiusura delle acciaierie e si continua a a discutere di metri cubi e destinazioni d’uso.
Pasini aveva affidato il progetto di riconversione dell’area al celebre l’architetto ticinese Mario Botta. Lavoro buttato, perché Zunino chiama Renzo Piano, vuoi mettere. A novembre del 2007 arriva anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a dare la benedizione a questo ritorno al futuro. Tutti contenti: nessun operaio ha ancora mosso un mattone, ma Zunino può mettere nei suoi già scassati bilanci una perizia che attribuisce all’ex area Falck, pagata 218 milioni, un valore di 1,7 miliardi di euro.
(I magistrati si girino dall’altra parte per non interferire con l’agenda della politica). Altri cinque anni di chiacchiere e nel 2010 anche Zunino getta la spugna. Pare che per realizzare l’impresa (e i metri cubi edificabili per lui sono anche aumentati) servano 4 miliardi. Interviene nuovamente Banca Intesa. I terreni comprati a 218 milioni e valutati 1,7 miliardi passano al noto imprenditore Davide Bizzi per 405 milioni. Chissà come, in cinque anni di chiacchiere a vuoto tra costruttori e assessori i terreni raddoppiano il valore. Ma tanto, riferiscono le cronache, Bizzi di suo ci mette una ventina di milioni, il resto lo mette Banca Intesa, che deve sempre salvare tutti, sennò si scopre che i generosi finanziamenti a immobiliaristi inclini alla bancarotta sono un disastro. E dunque si ricomincia. Dopo 15 anni di chiacchiere senza risultati, durante i quali l’unica cosa che è stata riqualificata sono le tasche di qualcuno, i magistrati dovrebbero fingere di non vedere per non inquinare il primato della politica? Bel primato.