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 2011  luglio 21 Giovedì calendario

VITA DI CAVOUR - PUNTATA 132 - IN CRIMEA SENZA CONDIZIONI

Se Cavour era favorevole all’intervento, come avrebbe potuto il duca di Guiche farlo cadere...

Il duca di Guiche pensava: Cavour, una volta tanto, sta dalla stessa parte del re, ma questo non sarà sufficiente a salvarlo. Per forza di cose farà la fine dei suoi ministri. E poi Vittorio Emanuele ha la mania di preparare queste cose per conto suo e in gran segreto. E ci teneva a far sapere che la partecipazione alla Crimea era una decisione sua, e solo sua. «Se non andrò io, manderò mio fratello». «Cavour? Che c’entra Cavour? Qui non c’è Cavour. L’idea dei 15 mila uomini è mia. Io ho chiamato Cavour e gli ho detto: caro conte, offriamo 15 mila. Se avevo 30 mila, dicevo: caro conte, offriamo 30 mila. Cavour agisce per ordine mio. E i ministri, se la metton giù dura, li cambio. Sì, se bisogna, li cambio». Poi aveva aggiunto: «Ma, duca, non diciamo niente a nessuno, neh?».

Cioè, il re voleva seguire una politica tutta sua, indipendente dal governo.

Sì, come avrebbe tentato di fare tutta la vita, e specialmente contro Cavour. Intanto il governo, cioè il ministro degli Esteri Dabormida, aveva preparato la lista delle cose da chiedere, vale a dire le condizioni per l’invio del contingente in Crimea. Primo, bisognava che l’Austria ammettesse di aver leso, con il provvedimento sui sequestri, i diritti della Sardegna. Secondo, Vienna doveva impegnarsi ad annullare i sequestri. Terzo, occorrevano garanzie che il Piemonte, dopo la guerra, avrebbe avuto compensi adeguati. Guiche passò l’estate a convincere Dabormida che queste pretese erano eccessive. Ma niente, il ministro non si smuoveva. L’ambasciatore di Francia usò ogni tipo di trucco per ammorbidirlo o comprometterlo, promise la corona di Spagna a un Savoia, chiese in prestito un battello per le truppe francesi (sarebbe bastato questo per incastrarlo). Ma niente, il bravo ministro non abboccava.

Bravo?

Bravo, sì. Ma non all’altezza del problema che aveva davanti. Guiche, che era un uomo tendenzialmente sgarbato, a un certo punto sbottò: «Ma voglio dirgliela caro amico non so mica quanto questa neutralità che piace tanto al Piemonte sia politica non lo so proprio!». Aveva anche fatto un salto a Parigi per spiegare all’ambasciatore sardo, Villamarina, che Napoleone, al momento di discuter la pace, si sarebbe battuto per dar terre agli austriaci in Oriente e lasciar la Lombardia a Torino. Dabormida, quando l’aveva saputo, tenne duro.

Tuttavia noi sappiamo che il Piemonte i soldati in Crimea li mandò. Anzi, questo viene considerato un passaggio chiave della politica cavouriana.

Eh già, la cosa viene raccontata in genere come una barzelletta. Cavour mandò i soldati in Crimea e così acquisì il diritto di partecipare al congresso di Parigi dove si discusse la pace eccetera eccetera. Non fu così facile. Intanto, a dicembre, francesi e austriaci firmarono ufficialmente il patto d’alleanza. Cadde perciò l’illusione che Vienna si trovasse schierata dall’altra parte. Poco dopo, gli Alleati chiesero di nuovo al Piemonte di decidersi e, dopo un consiglio dei ministri, sentirono ripetere il solito ritornello: primo, l’Austria ammetta di aver leso...Pensi che l’Austria aveva risposto a quelle pretese sui sequestri emettendo un prestito garantito proprio dai beni sequestrati! Però quel consiglio dei ministri, quello che alla fine aveva ripresentato la lista delle condizioni, non era filato via senza contrasti. Cavour aveva aperto la riunione dicendo: signori, noi poniamo delle condizioni e non ci rendiamo conto che gli Alleati potrebbero costringerci a fare per forza quello che non vogliamo fare per amore.

Beh, comunque, a queste condizioni ufficialmente gli Alleati che cosa risposero?

Londra esaminò la lista il 19 dicembre. Il consiglio dei ministri si dichiarò fortemente perplesso: le richieste piemontesi erano smaccatamente antiaustriache e l’Austria era un alleato nuovo di zecca. In tutta la faccenda italiana, poi, la regina Vittoria parteggiava per gli austriaci. Consultati i francesi, gli inglesi misero il governo di Torino con le spalle al muro: o accedere al trattato di alleanza puro e semplice, senza avanzare richieste, senza pretendere nulla. Oppure restare neutrali. Se c’era da scegliere tra Piemonte e Austria per una guerra, gli Alleati sceglievano l’Austria, che avrebbe potuto mettere in campo 500 mila uomini. Al governo di Torino si chiedeva di sciogliere la riserva entro il 9 gennaio 1855.

Dabormida?

Irremovibile. Guiche sentì allora che era arrivato il momento: impegnare il re, costringere Cavour a dimettersi, trascinare il Piemonte alla guerra e nello stesso tempo affidare il governo a Revel. Era il 7 gennaio, mancavano due giorni. L’ambasciatore di Francia andò a trovare Vittorio Emanuele. Non fece neanche in tempo a entrare, il re lo aspettava sulla soglia, tutto agitato. «Duca - disse andandogli incontro - sono malcontento, zitto, non dica niente, so tutto, sono quanto mai malcontento». Gli diede la mano, nella foga quasi l’abbracciava, con quei baffi che s’allungavano simili ad altre due braccia.