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 2011  luglio 21 Giovedì calendario

FENOMENI

(due articoli)
LA CORSA DI OSCAR, UNA MAGIA DA FILM. MA RESTA UN’OMBRA -
In atletica non s´inventa niente ma ogni tanto è possibile tutto. La magia, perché di magia si tratta, oltre ogni valutazione emotiva, avviene al buio. Senza televisione. Martedì sera la notizia viene battuta dalle agenzie con quasi due ore di ritardo. Roba d´altri tempi. In tutti i sensi. Sulla pista di Lignano («No, non mi dica che ha fatto il risultato proprio a Lignano...», chiosa maliziosamente il prof. Carlo Vittori, storico allenatore di Mennea) Pistorius ottiene un tempo da fanta-atletica (45"07) che lo spinge ai prossimi mondiali di Daegu e ai Giochi di Londra 2012 (il crono dell´anno precedente vale comunque come minimo olimpico). Lui stesso, lo stralunato Oscar, sudafricano travolto dal proprio talento e dai suoi misteri mai chiariti, mentre cerca qualcuno lontano con lo sguardo, mentre firma autografi, non esita a riconoscere: «Mi sono migliorato di mezzo secondo, il che è abbastanza ridicolo». Tanto più che aveva solo quella possibilità, soltanto quella gara gli era rimasta per sognare di poter competere, al massimo livello, con i "normodotati". E a Padova domenica scorsa aveva offerto una prestazione da foschi presagi (46"65). Immaginiamo la tensione: «E la tensione toglie, non dà». Carlo Vittori continua ad essere scettico: «Senta, ne ho viste tante, ho allenato decine di atleti di alto livello, io stesso sono stato un campione italiano: ma episodi del genere, e lo dico da anni, non li ritengo corretti. Capisco l´uomo, mi rendo conto della delicatezza della situazione, della sua scivolosità, ma l´ atleta Pistorius non è paragonabile a un "normo-dotato". A Pistorius regalerei, se potessi, i miei polpacci di giovane velocista, quando ero un giovane velocista, ma con i miei polpacci non andrebbe così forte, non correrebbe soprattutto gli ultimi 120 metri in quel modo: quando i miei polpacci sarebbero pieni di acido lattico, quindi di veleno. Mi dispiace ma non è una questione di umanità. Direi piuttosto di diritto». A gennaio 2008 le conclusioni di Elio Locatelli all´Acquacetosa e poi del prof. Bruggeman a Colonia furono spietate: «Pistorius trae evidenti vantaggi dalle protesi». La Iaaf lo escluse da ogni competizione, il Tas ribaltò la decisone senza smentire tuttavia le valutazioni scientifiche. Vittori prosegue: «L´atletica non regala mai niente, figuriamoci mezzo secondo sui 400 metri: ci sono atleti che passano l´intera carriera a provarci e il più delle volte non ci riescono. Chi regala sono i dirigenti dello sport, nazionale o mondiale. Secondo me usano i loro "mostri". Oppure li uccidono a comando. Ben Johnson fu un capro espiatorio. I cinque giamaicani squalificati nel 2009 pure. Pistorius viene invece usato. Potrebbero scaricarlo da un momento all´altro. Non so nemmeno se gli convenga davvero andare ai mondiali. Pistorius è un´anomalia, luminosa e lodevole, del sistema. Ma resta un´anomalia. Teo Turchi, grande promessa dei 400 italiani, corse con lui al Golden Gala. Era junior, avrebbe fatto grandi cose. Quando si vide superato da Pistorius smise di correre. Ma non solo quella gara. Smise del tutto: potremmo dire che il suo addio sia stato provocato da un´anomalia?».
Enrico Sisti

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IL GIGANTE LASCIA E LA CINA SI FERMA -
Yao Ming lascia. La sua lunga marcia è finita. Il paese è in lutto, orfano del primo figlio che non doveva abbassarsi davanti al mondo. Metà (il 58%) dice che non vedrà più il basket in tv. Lo seguivano in trecento milioni. «Senza Yao non ha più senso». Il primo gigante d´esportazione della Cina dà l´addio come un grande imperatore. La sua dinastia è finita dopo otto anni di Nba. La sua vista dall´alto del parquet pure: 2.29 metri . L´Italia ha avuto il suo colosso in Primo Carnera, la Cina quando era ancora bassa si è riconosciuta in Yao, subito ribattezzato The Great Wall. «Lascio perché dopo tre fratture al piede ho capito che è meglio smettere. Gli ultimi sei mesi sono stati un´agonia. Ringrazio tutti, me ne vado. Si chiude una porta, se ne apre un´altra». Troppi infortuni: i giganti hanno un fragilità che spaventa. Negli ultimi sei anni ha mancato 250 partite della regular season, solo cinque partite nell´ultima stagione. Un gigante ormai zoppo, ma un mito che ha unito due mondi, prima scelta non americana di un gioco molto yankee. Mai un cinese era sbarcato tra i guerrieri del parquet a stelle e strisce, aprendo una nuova frontiera. Nessuno aveva mai fatto canestro a Houston lanciando la palla da Shanghai.
Era il 26 giugno 2002. I Rockets sceglievano Yao Ming come numero 1 assoluto: la prima volta di uno straniero (non cresciuto nelle scuole americane), ovviamente la prima di un cinese. L´America però era scettica, quando mai si era visto un Mister Big che non veniva dal giardino di casa? Ma Yao cominciò a funzionare: nel 2008-09 aiutò la squadra a raggiungere il secondo turno dei play-off per la prima volta dal ´97. Perché alla fine a contare non era la sua media: 19 punti e 9.2 rimbalzi, ma il suo immenso mercato. Si apriva l´Asia, popolosa e vogliosa. E Yao pivot-prodotto sfondava. Forbes lo ha messo nella lista degli uomini più ricchi delle Cina. Il suo addio in un albergo a cinque stelle è stato da vera star. Ha parlato in cinese e poco in inglese (perfetto). Ha sorvolato sul fatto che non ha eredi, ha detto che vuole contare in altri settori della società, che c´è sempre qualcuno che viene prima. Accanto aveva la moglie Ye Li, i genitori, e la figlia, Yao Qinlei, vestita in un abito tradizionale rosso. La Cina ha cancellato ogni altra notizia e si è sintonizzata sull´annuncio: cinque ore di diretta tv e radio. Tanti messaggi dal mondo che conta. Perché Yao in America si è meritato affetto e rispetto. Ci sono tiri che vengono da un altro mondo, però quando fanno centro, non sono più marziani. Yao è stato questo: il primo gigante straniero, molto fratello.
Emanuela Audisio