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 2011  luglio 20 Mercoledì calendario

«IL MIO AMICO CÉLINE, TIMIDO MISANTROPO CHE STUPRAVA I LETTORI»


Robert Poulet è un ingegnere minerario che ha viaggiato per il mondo facendo di tutto, compreso l’attore. Giornalista, è stato condannato a morte nel ’45 (poi amnistiato) per aver diretto a Bruxelles un foglio dell’occupazione. Ha scritto una ventina di volumi, i primi dei quali stampati agli inizi degli anni ’30 per gli stessi tipi editoriali (Denoel & Steele) del Voyage au bout de la nuit e di Mort a credit di Louis Ferdinand Céline. È lui a salire nel 1956-57 a Meudon, dove si è rintanato Celine, la “vergogna” della letteratura francese, per registrare un’intervista. Ne nasce l’Entretiens familiers avec L.F. Celine, pubblicata da Plon nel 1958 – poi il titolo virerà simbolicamente nel 1971 in Mon ami Bardamu – (dal nome del protagonista del Voyage). In Italia uscirà perla prima volta nel novembre del 1993 presso un piccolo editore marchigiano, Sestante di Ripatransone, col titolo Il mio amico Céline. Oggi lo ripubblica Elliot (pp. 114,euro 14).
Céline «ama ripetersi», avverte Poulet nelle “istruzioni” per leggere l’intervista, «Ma non mi lascerò ingannare dalla messinscena che deriva da una modestia e da una timidezza decisamente insospettabili». Il reietto vive in mezzo agli animali, molossi perlopiù, e un pappagallo di nome Coco. «Gli animali hanno sempre giocato un ruolo importante nella vita dei misantropi», riconosce. Soffre la scaletta delle domande. Per esempio, a un certo punto tira via così: «Com’è che mi sono messo a scrivere? Molto semplice. Volevo comprarmi un appartamento...». Chiuso! Solo che – avverte Poulet – ogniqualvolta Celine si autodenigra, voi state all’erta e indagate: immancabilmente, scoprirete un’emozione, una segreta delicatezza.
Faceva il medico a Clichy, ma abitava a Montmartre. Per finire il Voyage gli ci vogliono tre anni. Ha la fortuna di vedere il libro all’orizzonte, come in un foglio di carta da lucido: «Quando faccio un libro, vedo in anticipo la porta, le finestre, il tetto. Tutto quanto qui nella testa, prima di cominciare, riga per riga». A Poulet lo dice chiaro: «Non mi sono dovuto scervellare tanto. Raccontare la mia vita, mettere in scena il mio personaggio. Con le giuste modifiche. Si può solo modificare, in letteratura». La sua intenzione era quella di rendere le cose e le persone più naturali possibili. La sensazione allo stato puro.
Di botto, lo scandalo. «Sono stufo di ripeterle, ’ste cose: volevo solo vendere quattro o cinquemila copie d’un libro vero; i diritti d’autore garantivano una casa decente». Solo che, appena in libreria, è il casino totale, baccano di pro e contro. Destouches diventa l’uomo che sputtana la Francia, la medicina, il genere umano. “Céline il nemico dell’uomo” lo incenerisce l’Humanité. L’editore Denoel è quello che combina il guaio più grosso: rivela a tout le monde che Céline e il dottor Destouches sono la stessa persona. Il settimanale Cyrano fa da cassa di risonanza. Gli arrivano a casa torme di giornalisti infoiati. «Ma mica mi montavo la testa, io. Sentivo arrivare la burrasca». Molla i turni di notte e passa al dispensario, reparto di medicina generale. I critici gli rimproverano anche l’argot. «Ma che argot d’Egitto! Io uso un linguaggio mio, che mi faccio in casa come i dolci della nonna». «Cos’è che ci trova, il pubblico, nei miei libri? Nove lettori su dieci li stupro, io, mentre sono lì che leggono».

Alberto Pezzini