Varie, 20 luglio 2011
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Cal Mario
• Motta di Livenza (Treviso) 30 giugno 1939, Milano 18 luglio 2011. Manager. Vice di don Verzé (consigliere delegato della Fondazione, si occupava della gestione economica e finanziaria della struttura), si suicidò nel suo ufficio al San Raffaele • «[...] Veneto di Lorenzaga di Motta di Livenza, di quel Veneto che sconfina nel Friuli, era arrivato a Milano quando aveva solo ventidue anni e si era inventato imprenditore. Di pompe funebri, per cominciare. Ma ben presto aveva ripescato una passione che aveva dovuto abbandonare, quella per le corse di ciclismo, che praticava da dilettante, ed era diventato manager sportivo prima alla Malvor Bottecchia e poi alla Bianchi Colnago, sponsor anche di Saronni. A Milano era arrivato con in tasca un diploma da ragioniere, dopo aver fatto il servizio militare a Napoli insieme al suo migliore amico e dopo aver deciso di raggiungere un fratello e una sorella che, come tanti in quegli anni Sessanta, erano emigrati in Lombardia per trovare lavoro e fortuna. Era il piccolo di una grande famiglia, l’ultimo di dieci fratelli, e capitava [...] che il sabato si facesse portare a casa di Adelaide, la sorella più vecchia, perché non aveva dimenticato le radici. Ci andava in elicottero, però. Perché, da quando, nel 1977, aveva incrociato il prete visionario “che ha fatto santo il denaro”, la sua vita era cambiata ed era come se la megalomania di don Luigi lo avesse contagiato. Appartamento in via Spiga, in una palazzina riservata dove sono di casa Dolce e Gabbana; villa ad Arona, sulla sponda più elegante del lago Maggiore; sempre l’ultimo modello di Mercedes, e però spesso anche Maserati e Ferrari, perché le macchine erano una sua grande passione. Insieme a “la mia Tina”, Tina Besana, la moglie di una vita. L’incontro con don Verzè - a casa di amici - probabilmente aveva cambiato la vita di entrambi. Erano come due pezzi di un puzzle che si incastrano: uno altezzoso, immaginifico; l’altro empatico, concreto. Uno dotato di un intuito fortissimo; l’altro appoggiato con i piedi ben per terra. Don Verzé sognava sempre più in grande e Mario Cal trattava con i politici, gli amici importanti - da Ennio Doris a Roberto Cusin delle Gemeaz, ma anche Renato Pozzetto e Albano Carrisi - le banche, per tradurre in realtà i sogni dell’amico. In trentacinque anni non gli aveva mai detto di no. Nemmeno quando don Verzé aveva voluto costruire il suo Eden con cinquemila pappagallini a svolazzare; nemmeno quando il prete aveva voluto marmi preziosi sui laboratori del Dibit2, destinati a restare vuoti. Raccontano di un unico serio scontro [...] a proposito dell’ingresso di Rotelli. Il veneto Mario Cal non aveva però dimenticato i semplici piaceri semplici della vita: la partita a briscola con gli amici in trattoria, da Silvano, vicino alla Rai di corso Sempione. Diventato potente, aveva sistemato il suo cv con una laurea in economia - lui, che non parlava bene inglese - presa in un’università a New York: andata e ritorno in giornata sul Concorde, per quello che a molti è sembrato un miracolo. E poi, non aveva mai spiegato la ragione di quel suo piccolo, ma conosciuto segreto: quella pistola sempre addosso. La Smith & Wesson calibro 38 che l’ha ucciso [...]» (Cinzia Sasso, “la Repubblica” 19/7/2011) • «Ha salutato i collaboratori e si è chiuso la porta alle spalle, ha dato un ultimo sguardo al giardino pensile al di là delle vetrate, ai piedi dell’arcangelo Raffaele costato [...] 2,5 milioni di euro, forse si è accorto del tuffo nelle acque della fontana di un ragazzo appena laureatosi in medicina. Poi Mario Cal, 71 anni, consigliere delegato della fondazione Monte Tabor, per oltre trent’anni alter ego di don Luigi Verzè, presidente e dominus del San Raffaele, si è ucciso con un colpo alla testa esploso dalla sua Smith & Wesson calibro 38, regolarmente detenuta e che portava sempre con sé. I dipendenti del sesto piano, appena sotto l’ufficio del fondatore, vengono scossi dallo sparo, accorrono nella sala e vedono l’uomo a terra in una pozza di sangue. Cal viene portato in pronto soccorso alle 10.21, muore mezz’ora dopo nonostante i ripetuti tentativi di rianimazione. Sulla scrivania due lettere, scritte poco prima di uccidersi. Una è per la moglie Tina, l’altra per la segretaria: le ringrazia e dà l’addio. Nel testo anche un riferimento alle difficoltà dell’ospedale, sommerso da quasi un miliardo di euro di debiti. “Tutto quello che ho fatto - scrive - è stato per il bene del San Raffaele”. Cal era ritornato per l’ultima volta nel suo ufficio. “Era preoccupato per i debiti dell’ospedale, che non aveva i mezzi per pagare i creditori - ha spiegato il suo avvocato Rosario Minniti - . Si era confidato: ‘Non sono mai stato così addolorato nella mia vita come in questi giorni’, mi aveva detto” [...] Cal era stato sentito come persona informata sui fatti dal sostituto procuratore Luigi Orsi che intende far luce sulla situazione finanziaria del San Raffaele e - in particolare - ricostruire come si sono formati i debiti e come sono stati spesi i circa 440 milioni (su 600 di fatturato) che la Regione Lombardia versava ogni anno. Mario Cal era l’uomo della gestione economica e finanziaria, il manager che don Verzè avrebbe voluto alla guida della clinica anche dopo la sua uscita di scena. [...]» (Sandro De Riccardis, “la Repubblica” 19/7/2011) • Vedi anche Sandro De Riccardis, “la Repubblica” 20/7/2011.