RICHARD NEWBURY, La Stampa 20/7/2011, 20 luglio 2011
Un po’ vermi, un po’ corvi. Gli umani sono davvero unici - Charles Darwin ne «L’ origine delle specie» ci ha reso consapevoli della nostra particolarità biologica, ma quanto siamo davvero diversi? Dall’Università di Cambridge sono usciti sia Darwin sia James Watson e Francis Crick, che nel 1953 scoprirono il DNA, e John Sulston e il team che nel 2003 ha completato il sequenziamento dei 3 miliardi di lettere del genoma umano
Un po’ vermi, un po’ corvi. Gli umani sono davvero unici - Charles Darwin ne «L’ origine delle specie» ci ha reso consapevoli della nostra particolarità biologica, ma quanto siamo davvero diversi? Dall’Università di Cambridge sono usciti sia Darwin sia James Watson e Francis Crick, che nel 1953 scoprirono il DNA, e John Sulston e il team che nel 2003 ha completato il sequenziamento dei 3 miliardi di lettere del genoma umano. Se molti pensavano che una specie come l’uomo avesse oltre 150 mila geni, in realtà sono solo 20 mila quelli che codificano le proteine, mentre il Caenorhabditis elegans, un nematode, ne ha 18500. I nostri geni, inoltre, non sono significativamente diversi dai parenti più stretti del mondo animale: il 98% del DNA umano è condiviso con gli scimpanzé. «Non ci piace considerare nostri simili quegli animali che abbiamo reso nostri schiavi», ha scritto Darwin. A Cambridge, intanto, si continua a studiare ciò che noi, come «scimmie semievolute», condividiamo con altre forme di vita. Il DNA, oggi, non è considerato tanto come un elemento per studiare il percorso dell’umanità quanto una specie di «best-seller» sulla vita condivisa da molte specie. E, allora, dove sta la nostra unicità? La scienza comincia a capire che il DNA rappresenta l’equivalente delle note musicali nella sinfonia della natura e che è l’epigenetica a contenere i dati del «forte» e del «piano», trasformando le note in un’esecuzione. Questo, almeno in parte, perché, mentre il genoma è «fissato» al momento del concepimento, l’epigenoma cambia con le esperienze di vita - e alcuni di questi cambiamenti possono anche essere trasmessi ai figli. «I gemelli identici provengono dallo stesso uovo e sono geneticamente identici. Ma più invecchiano e più diventano diversi per via dei processi epigenetici - spiega Barry Keverne, professore di Biologia -. La maggior parte del cervello si sviluppa dopo la nascita, per 21 anni. E si sviluppa in un ambiente sociale. Guardate madri e neonati e quanta attenzione dà una madre a un neonato per farlo stare seduto o farlo camminare e pensate a quanti mesi ci vogliono per avere un risultato. Significa un enorme impatto ambientale, che mette il marchio epigenetico sui geni nelle cellule in via di sviluppo». Questo aspetto offre all’ umanità un controllo senza precedenti sul nostro futuro biologico, perché il primo professore di Epigenetica, Wolf Reik, ha dimostrato che alcuni segnali epigenetici possono essere trasmessi da genitore a figlio. L’epigenetica, quindi, può cominciare a spiegare l’unicità umana, ma per Tim Lewens, professore al dipartimento di Storia e di Filosofia della Scienza, ciò che è davvero unico è che «gli esseri umani sono una specie in cui una gran parte dell’ereditarietà è guidata dalla cultura. Molto di quello che passiamo ai figli non è genetico, ma è linguistico ed è scienza e lo facciamo perché siamo una specie estremamente collaborativa. Non sono solo io a passare ai miei figli alcune cose utili: è la comunità e la specie come insieme a costruire una serie di istituzioni giuridiche, insieme con biblioteche, scuole, ospedali». Tuttavia, per Nicky Clayton, professore di Cognizione comparativa, «molte delle cose che pensavamo essere unicamente umane lo sono comunque, ma in proporzione, non per la loro natura. E poiché alcune delle prove più convincenti arrivano non dai parenti più stretti - scimpanzé e bonobo - ma dai corvi, tutto questo suggerisce che una serie di abilità si sono evolute in modo indipendente e più di una volta». La sua ricerca ha infatti dimostrato che i corvi hanno una strategia precisa, quando ri-nascondono le scorte di cibo dopo che un altro corvo ha visto il nascondiglio originale. «Questa è probabilmente la prova più convincente dell’abilità di ragionare in un animale, perché dimostra la capacità di mettersi nei panni degli altri, per così dire». E aggiunge: «Gli umani differiscono ovviamente per lingua e cultura. Nessun altro animale legge e scrive - sottolinea Clayton -. Posso dimostrare che gli uccelli ricordano che cosa è successo e dove. Ma significa anche che, nel pensare l’evento, gli uccelli lo ripensano e lo riesperimentano? Purtroppo non hanno un linguaggio per comunicarmelo». Simon Conway Morris, professore di Scienze della Terra, è uno dei maggiori esperti di paleontologia evolutiva: la sua idea è che i fossili dimostrino che c’è un numero limitato di soluzioni ai problemi che gli organismi devono affrontare. Se ci sono miliardi di pianeti adatti alla vita, la galassia dovrebbe «brulicare di vita». E, invece, «non sembra che abbiamo avuto visitatori - dice Morris -. Penso che siamo soli». Quindi il genere umano è unico, dopo tutto!