PAOLO RUSSO, La Stampa 20/7/2011, 20 luglio 2011
Il superticket della discordia - Mentre con Abruzzo, Molise e Trento salgono a dieci le regioni e le provincie che dicono no ai ticket, i numeri conservati nei cassetti del ministero della Salute rilevano che il balzello lo pagano in pochi ma chi lo fa, dicono altre stime, subisce un vero e proprio salasso, che per un singolo accertamento può anche superare i 200 euro di spesa
Il superticket della discordia - Mentre con Abruzzo, Molise e Trento salgono a dieci le regioni e le provincie che dicono no ai ticket, i numeri conservati nei cassetti del ministero della Salute rilevano che il balzello lo pagano in pochi ma chi lo fa, dicono altre stime, subisce un vero e proprio salasso, che per un singolo accertamento può anche superare i 200 euro di spesa. Secondo stime fornite dal dicastero di Fazio gli esenti dal ticket per reddito o per patologia sarebbero infatti circa 15 milioni, più o meno il 25% della popolazione. Stime giudicate però ottimistiche dai direttori di diverse Asl del ricco centro-nord, che a loro volta parlano di metà assistiti esentati dal ticket. Fatto è che l’elenco delle categorie esonerate dal contributo è chilometrico: si va da bambini minori di sei anni e ultrasessantacinquenni con reddito familiare inferiore a 36.151 euro, disoccupati e loro familiari a carico, pensionati sociali e al minimo fino alla lista di 56 malattie croniche e invalidanti più 284 malattie rare che non pagano gli accertamenti correlati alla patologia. Tutti grandi «consumatori di sanità», tanto che su ben il 67% di visite specialistiche, analisi, radiografie, tac e quant’altro il ticket oggi non lo paga nessuno. Al punto da rendere probabilmente utopistico l’obiettivo fissato dalla manovra di centrare nel 2014 il 40% dei risparmi previsti in sanità (circa 8 miliardi) proprio attraverso l’arma spuntata dei ticket. Che è invece quanto mai affilata per chi non appartiene al popolo degli esenti. I 36 euro di franchigia e 10 euro fissi aggiunti dalla manovra si pagano infatti per ciascuna prescrizione, che per legge non può prevedere più di otto accertamenti, che devono soprattutto essere «omogenei» tra loro. In altre parole in una stessa ricetta non si possono prescrivere analisi del sangue con risonanze magnetiche o con un elettrocardiogramma, che vanno invece trascritte su più «foglietti rosa», ognuno dei quali è soggetto al nuovo ticket di 10 euro e alla franchigia di 36. Gli effetti perversi del meccanismo li ha calcolati per noi il «QuotidianoSanità.it» con il suo staff di medici che ha simulato di dover prescrivere degli accertamenti per patologie tra le più comuni. Ad esempio per un sospetto problema cardiaco si inizia con l’esborso di 35 euro per l’elettrocardiogramma (10 euro di ticket fisso più 25 di franchigia), si prosegue con altri 35 euro per una radiografia toracica (sempre per la formula 10+25), poi si aggiunge il salasso di 92 euro per un bel gruppo di analisi spalmate su due ricette ( 72+20 euro di doppio ticket) e si conclude con altri 46 euro (36+10) per l’elettrocardiogramma di rito. Totale: la bellezza di 208 euro, 50 in più di quel che si pagava prima del ticket da 10 euro. A causa dello stesso meccanismo si arrivano a spendere 152 euro per un sospetto problema gastrointestinale (+33% rispetto a quanto dovuto prima della manovra), 106 euro per gli accertamenti dopo un trauma al ginocchio (+30%) e ben 117 euro per la banale assunzione della pillola anticoncezionale, che richiede però obbligatoriamente una visita ginecologica e un pacchetto di analisi distribuito su due ricette. Spaventate dall’impopolarità del «caro analisi» Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Valle d’Aosta, Sardegna e, da ultime, Abruzzo ,Molise e Trento hanno aderito al fronte del no ai ticket. Piemonte, Trento e Bolzano ci stanno ancora pensando, le restanti Regioni sono già passate all’incasso o stanno per farlo. Anche se c’è chi sta pensando a soluzioni alternative, come ticket meno alti ma distribuiti su più prestazioni.