Marco Todarello, Lettera43 15/7/2011, 15 luglio 2011
UN FUTURO A CARBONE
Sempre meglio del nucleare. A patto che diventi "pulito" -
Altro che decarbonizzazione. Il minerale che fu il motore della rivoluzione industriale (la sua produzione mondiale è passata da 6 milioni di tonnellate del 1769 a 65 milioni del 1819) è ancora oggi, dopo il petrolio, la seconda fonte fossile più usata per creare energia. Il 41% dell’elettricità prodotta nel mondo viene proprio da questo combustile e la sua messa al bando, che l’Unione europea auspicava entro la metà del secolo in corso, è tutt’altro che imminente.
ENTRO IL 2050: + 50% DI CARBONE.
Il boom delle energie rinnovabili non ha per niente scalfito il dominio di lignite e affini. Anzi, col passo indietro sul nucleare del post Fukushima, è previsto che la domanda torni a salire. Già oggi si raccolgono 6,5 miliardi di tonnellate l’anno, con un aumento in vista del 50% entro il 2050.
Non dimentichiamo, inoltre che dal gas prodotto dal carbone si ottengono fertilizzanti, solventi e pesticidi, e che è la materia prima per la creazione dell’acciaio. Insomma, serve. C’è un però: inquina. Diventa così necessario accelerare la sperimentazione delle tecnologie per ridurre la quantità di CO2 emessa dalle centrali, per rientrare nei parametri richiesti dal Protocollo di Kyoto e del pacchetto Ue ’clima-energia’ (il cosiddetto ’20-20-20’), senza rinunciare al carbone.
Costi e benefici della cattura della CO2
Una di queste è la Ccs (Carbon capture and storage), tecnica che permette la cattura e lo stoccaggio nel sottosuolo dell’anidride carbonica. La CO2 viene imprigionata dalle emissioni delle centrali, resa liquida e poi iniettata in aree predisposte come falde acquifere ed ex giacimenti di gas e carbone. Una soluzione, secondo gli industriali, che l’umanità attendeva da anni e che toglierà per sempre il minerale dal mirino degli ambientalisti.
FASE SPERIMENTALE.
Più scettici gli studiosi, che vedono il tutto come un interessante tentativo per rivalutarne le potenzialità ma la reale efficacia e sostenibilità, sono ancora da verificare.
Le sperimentazioni della Ccs nelle centrali a carbone sono state avviate da qualche anno, ma non è ancora stato possibile avere informazioni certe su rischi come la fuga imprevedibile della CO2 dal sottosuolo, i dissesti geologici dovuti alla pressione del gas, la capacità limitata dei siti di stoccaggio e, infine, gli alti costi, che renderebbero più competitive altre fonti di energia.
OSTACOLI E RISCHI.
«Il carbone costa poco, è ben distribuito nel mondo ed è trasportabile con facilità», ha spiegato a Lettera43.it Luigi Mazzocchi, ingegnere di Rse (Ricerca sul sistema energetico). «Per molti Paesi è una fonte irrinunciabile. Ed è giusto, se ci sono le condizioni, investire nella ricerca sulla Ccs. Però gli ostacoli sono molti. Prima di tutto i costi. Un impianto predisposto per la cattura della CO2 costa il 40% in più di uno di vecchia generazione. Anche l’efficienza non è uguale: il rendimento di un impianto con Ccs è al 33%, contro il 47% di uno privo della nuova tecnologia».
STUDI IN CANADA E NORVEGIA.
Ma le difficoltà non sono certo finite qui. «Altri problemi» ha continuato Mazzocchi «sono il rischio del rilascio dell’anidride carbonica nell’atmosfera e quello sismico per i movimenti del gas tra le faglie. Ma la geologia ha gli strumenti per prevenire questi rischi».
Esperimenti di stivaggio della CO2 nel sottosuolo sono avvenuti con successo in Norvegia e Canada, dove grazie a studi tomografici si è riusciti a capire dove va a finire il gas, una volta immesso nel sottosuolo. E si è avuta la conferma che alcuni tipi di terreni non sono adatti.
A RISCHIO FLORA E FAUNA MARINA.
Uno studio pubblicato da Nature Geoscience ha smorzato gli entusiasmi di coloro che vedono nella Css la soluzione finale per cancellare gli effetti del carbone sull’effetto serra. Il climatologo Gary Shaffer del Niels Bohr Institute ha ipotizzato gli effetti dello stoccaggio della C02 nel sottosuolo marino (previsti dagli esperimenti): sotto gli oceani un’eventuale fuoriuscita del gas causerebbe un innalzamento dell’acidità delle acque, con un conseguente impatto negativo sugli ecosistemi marini e sulla capacità dei mari di assorbire l’anidride carbonica.
L’Unione europea finanzia la Carbon capture and storage
Tuttavia governi e istituzioni di molti Paesi sembrano confidare molto nel futuro successo della Ccs. L’Italia non fa eccezione. Con la legge n.99/2009 il governo ha individuato nella Carbon capture and storage uno degli ambiti prioritari di ricerca e sviluppo nel campo energetico, prevedendo anche il finanziamento di progetti dimostrativi. Tra questi c’è anche l’impianto della centrale di Cerano, in provincia di Brindisi, inaugurato il primo marzo 2011.
CATTURA DI 2,5 TONNELLATE ALL’ORA.
Un impianto pilota (riguarderà solo l’1% delle emissioni della centrale) e che secondo le stime dei gestori Enel e Eni permetterà di trattare 10 mila metri cubi l’ora di fumi, dai quali saranno separati 2,5 tonnellate l’ora di anidride carbonica. Per il momento, però, la sperimentazione include solo la cattura della CO2, ma non lo stoccaggio.
L’Ue ha finanziato l’impianto di Brindisi con 100 milioni di euro, parte del pacchetto da 1,02 miliardi concessi agli Stati membri per i progetti di sviluppo commerciale della Ccs.
E mentre Bruxelles ha promosso e finanziato i progetti di Ccs, la commissione Ambiente del parlamento europeo ha avanzato dubbi sul relativo rapporto costi-benefici.
TECNOLOGIA «FUTURIBILE».
Nello studio EU Subsidies for polluting and unsustainable practices, nel quale la Commissione ha analizzato l’utilità dei vari incentivi e sussidi distribuiti a livello comunitario, la cattura della CO2 è definita «futuribile» e non meritevole, per il momento, di grossi investimenti. Molte associazioni ambientaliste sono contrarie allo sviluppo della Ccs, convinte che si tratti di un nuovo, subdolo tentativo per mantenere la dipendenza dalle fonti fossili inquinanti. In più, non sono da trascurare gli affari legati a un progetto-sistema di costruzione di centrali a carbone con Ccs. Il sito norvegese specialistico Bellona.org ha definito «enormi» le possibilità di business per il settore. E molte aziende, a quanto pare, sono già in pista.