Filippo Facci, Libero 17/7/2011, 17 luglio 2011
INTERVISTA ALLA DADDARIO, I PM APRONO UN’INCHIESTA
Se fosse vero anche solo un decimo delle cose che detto Patrizia D’Addario ieri su Libero - intervistata da Cristiana Lodi - ci sarebbero stati comunque gli estremi perché la magistratura aprisse il suo bravo fascicolo: sta di fatto che l’ha aperto. Minacce, estorsione, anche niente: ma ci sono un sacco di cose da verificare, se ne converrà, e questo indipendentemente dall’aria diversa che tira alla procura di Bari da qualche tempo. Non è solo questione di magistratura, naturalmente: c’è da tutelare il buon nome della giornalista del Corriere che intervistò la Daddario, dell’avvocato che l’assistette e che la consigliò, del magistrato che l’interrogò, c’è oltretutto da considerare il paradosso del mentitore: quello di una potenziale bugiarda che dice, adesso, «ho mentito». Tutto va verificato a dovere. Ma c’è comunque da fare, perché stiamo parlando della miccia che accese una stagione probabilmente eterna (gli scandali sesso & politica) e che scivolò sui giornali di tutto il mondo prestandosi a una campagna mediatica senza ritorno. La D’Addario fu la madre di tutte le escort: prima delle massaggiatrici della Protezione civile, dei transessuali di via Gradoli, di certe attricette della Rai e di certe ragazze di Lele Mora. Ora ha parlato di nuovo, i magistrati si stanno muovendo, e stai vedere che si muoveranno anche i giornalisti. Perché ci volle fegato, due anni fa, per dare tutto quel credito a Patrizia D’Addario: ma ce ne vorrebbe altrettanto, ora, per ignorare tutto ciò che dice.
Non fosse chiaro, Patrizia D’Addario su Libero ha detto che due estati orsono fu «obbligata» dal suo avvocato a rendere pubblica la faccenda della notte passata con Berlusconi; ha detto che le venne «imposto» di rilasciare decine di interviste e che furono paventati pericoli per sua madre e per sua figlia; ha detto che ha subito minacce e furti e persino violenza da un carabiniere, e - aggiungendo una chiosa politica tra le tante che furono sentenziate - ha detto che Berlusconi fu oggetto di una persecuzione da parte della magistratura coi giornali a strascico. Ha detto che le ragioni ufficiali della sua rivalsa contro Berlusconi, ossia che il Cavaliere si rimangiò la promessa di aiutarla per sbloccare le pratiche edilizie di un residence, furono un assoluto pretesto, perché lei a Berlusconi non chiese espressamente nulla. Ha detto anche molto altro, Patrizia D’Addario: comprese alcune cose che paiono a dir poco improbabili. Per esempio che non prese mai una lira, che non era una escort, che non lo era mai stata. Ha detto che il suo avvocato, Maria Pia Vigilante, non le disse che poteva avvalersi della facoltà di non rispondere: e infatti non poteva, visto che era un semplice teste e che non era indagata. Come già scritto, non si tratta di trasformare Patrizia D’Addario in un oracolo dopo averla definita una volgare ricattatrice, come si fece per esempio su queste pagine: basterebbe che i giornali e le televisioni che ne fecero l’intervistata più richiesta d’Italia (forse d’Europa) ora le riservassero una frazione infinitesimale dell’attenzione che le
dedicarono, questo nel Paese che sbatté in apertura del Tg1, si ricorderà, alcune registrazioni che si limitavano a sfregiare un presidente del consiglio che non aveva commesso nessun reato, e che non era indagato in nessun procedimento. Dire che la signora va presa con le molle naturalmente è poco. La D’Addario ritaglia ruoli quantomeno ambigui attorno alla collega Fiorenza Sarzanini del Corriere e all’avvocato Maria Pia Vigilante, presunti catalizzatori di un meccanismo di coercizione teso a spaventarla, minacciarla, raccontarle balle, preconfezionarle interviste e in generale farne un’ariete per abbattere un governo. Non è poco: sarà di conforto qualche smentita più circostanziata di quelle, un po’ commiserevoli, circolate ieri; smentite e approfondimenti, magari, che il fascicolo aperto dalla magistratura di Bari possa meglio delineare. C’è ragione di continuare a credere, nell’attesa, che quella di Patrizia D’Addario non sia propriamente la storia di una prostituta che scaglia la sua vendetta sul ricco e sul potente, bensì la storia di una qualsiasi ricattatrice che incidentalmente - se è vero - faceva la prostituta; non la storia di una manovale del sesso che dopo un maltrattamento decide orgogliosamente di non accontentarsi delle briciole, ma la storia di una mancata estorsione che un pugno di spiccioli avrebbe probabilmente evitato. La storia di una donna che puntò palazzo Grazioli e man mano che vi si avvicinava prendeva a conservare ogni indizio, le ricevute dei biglietti aerei, i nomi delle ragazze che condividevano le sue esperienze, gli hotel, tutto: e questo prima - assai prima - di farsi intervistare da chicchessia, costretta o meno che sia stata. A tempi si trattava della parola della D’Addario contro quella di alcuni giornalisti. Oggi, in fondo, è la stessa cosa. Ricatti, interviste più o meno forzate, campagne mediatiche: l’obiettivo fu e resta chiaro, lo strumento - la D’Addario - anche. Come direbbero a sinistra: sono i mandanti che forse mancano a tutta la storia. Forse.