Edoardo Castagna, Avvenire 17/7/2011, 17 luglio 2011
ITALIA, TERRA DI CAPITALI
Da Roma a Roma, com’è giusto. Ma facendo, letteralmente, il giro d’Italia. Pochi Paesi hanno come il nostro una capitale così ’naturale’, e da almeno due millenni e mezzo. Eppure questo non ha impedito che, nel corso dei secoli, la sede del governo centrale – quando c’è stata – abbia migrato in almeno una dozzina di altre città, a volte anche per lungo tempo. Roma impiegò i primi quattro secoli della sua storia solo per diventare capitale del Lazio; dal III secolo a.C., dopo le guerre contro Sanniti, Etruschi, Galli e Greci della Magna Grecia, sottomise l’Italia, anche se limitatamente alla Penisola.
Il Nord rimase Gallia (Cisalpina), cioè provincia, fino a che Cesare non l’accorpò al resto del Paese (42 a.C.). Da allora Roma rimase capitale fino alla fine del III secolo d.C., quando la riforma tetrarchica di Diocleziano comportò anche il trasloco dell’imperatore, della sua corte e – soprattutto, in un’epoca di forte pressione sui confini da parte dei Barbari – del suo esercito. Capitale dell’Impero romano d’Occidente, e quindi anche dell’Italia che ne era il cuore, divenne allora Milano, grazie soprattutto alla sua posizione nel punto nevralgico dove s’intrecciavano le strade che attraversavano l’Impero da Est a Ovest e quelle che discendevano dai valichi alpini, oltre ai quali stavano sia i potenziali invasori barbari, sia gli indocili governatori militari delle province, che non di rado tentavano il colpo dell’usurpazione (e qualche volta ci riuscivano). Fu proprio per mettersi ancor più al riparo che un secolo dopo, nel 402, l’imperatore Onorio traslocò nella più appartata Ravenna : non così fuori mano com’era ormai diventata Roma (che restava pur sempre la metropoli dell’intero Occidente dell’epoca), ma nemmeno così esposta alle minacce barbariche come Milano, totalmente priva di difese naturali. Ravenna aveva due grossi vantaggi, da questo punto di vista: davanti a sé il mare (allora la costa adriatica era notevolmente più arretrata rispetto a oggi), comoda via per un’eventuale fuga; dietro, una distesa di paludi malariche che scoraggiavano da sole ogni tentativo d’assedio. L’Impero d’Occidente si stava ormai dissolvendo e l’Italia entrava nella fluida fase delle dominazioni barbariche. Dopo la parentesi di Odoacre, il dominio sulla Penisola passò nelle mani degli Ostrogoti di Teodorico e dei suoi successori, che l’amministrarono dal 493 al 553. Capitale del Regno ostrogoto rimase Ravenna, ma già lo stesso sovrano fondò un palazzo reale anche in un’altra sede, di fatto capitale estiva: Monza. Ad attirare il re fu la «salubrità del clima», come ricorda lo storico longobardo Paolo Diacono, evidentemente in opposizione alla malarica Ravenna: una considerazione che secoli dopo sarebbe stata condivisa da Umberto I e Margherita, che nella Villa Reale monzese trascorsero lunghi mesi. La conquista bizantina della Penisola con la devastante Guerra gotica (535-553) portò l’Italia a un tale stato di prostrazione che da lì a pochi anni (568) i Longobardi di Alboino ebbero gioco facile nel conquistarla. Il Regno longobardo durò due secoli, fino al 774, e sfiorò ma non raggiunse l’unità della Penisola: Roma rimase sempre al di fuori dei loro domini. L’Urbe non era più da secoli il centro politico dell’Italia, ma – grazie ai papi – ne era ridiventata ’capitale morale’; Ravenna conservò il suo ruolo di capoluogo dei domini bizantini fino al 751, quanto re Astolfo riuscì a espugnarla, mentre il Regno longobardo si diede una propria capitale, Pavia, e rilanciò con Teodolinda Monza quale residenza estiva. Pavia conservò il suo ruolo anche dopo l’annessione del Regno longobardo a quello franco, operata da Carlo Magno nel 774, tanto che ancora a lungo gli imperatori conservarono l’abitudine di farsi incoronare ’re dei Longobardi’ (sinonimo di ’re d’Italia’) a Pavia. Il declino dell’Impero carolingio, dalla fine del IX secolo, portò anche all’accentuarsi delle forze centrifughe in Italia, che dalla caduta dei Longobardi non avrebbe più trovato coesione politica fino al Risorgimento. La corona d’Italia, e di conseguenza la sede del palazzo reale e della teorica ’capitale’, passò da un grande feudatario all’altro, titolo onorifico al quale non corrispondevano poteri concreti. Così con Berengario del Friuli (888-924) capitale d’Italia poté essere considerata Cividale; a contrastarlo, prima Guido e poi Lamberto di Spoleto (889-898), oltre a una serie di sovrani di regni posti immediatamente al di là delle Alpi (Arnolfo di Carinzia, Rodolfo di Borgogna, Ugo di Provenza). Nel corso del X secolo la dinastia ottoniana ristabilì un’autorità centrale, anche se ormai non più in grado di invertire la marcia del processo centrifugo; sotto la loro egida assunsero il titolo di re d’Italia i marchesi d’Ivrea Berengario e Arduino, per oltre un cinquantennio. Da allora il titolo, sempre più meramente onorifico, s’abbinò costantemente a quello imperiale e ogni concetto di capitale d’Italia andò perduto. Per pura cortesia gli imperatori usavano scendere nel Belpaese a cingere la Corona ferrea, di solito a Milano (ma Carlo V d’Asburgo scelse, nel 1530, Bologna ). I domini stranieri che si alternarono nei secoli successivi non sfiorarono nemmeno il nome ’Italia’ fino a Napoleone, che nel 1802 trasformò lo Stato fantoccio della Repubblica Cisalpina in Repubblica Italiana (Regno d’Italia dal 1805). Capitale di questa Italia – che in realtà copriva appena la Lombardia orientale, il Triveneto, la Romagna e le Marche – fu ancora Milano. Ma ormai la nascita del sentimento unitario italiano era imminente, e il Risorgimento avrebbe guardato senza esitazione a Roma quale sua capitale naturale.
Tuttavia la strada verso l’Urbe risultò più impervia del previsto, perfino nello stesso Regno d’Italia nato centocinquant’anni fa: prima (dal 1861) Torino, già capitale del regno sabaudo che aveva guidato il processo di unificazione; poi Firenze , scelta ’diplomatica’ del 1865 per rassicurare i francesi sulle mire italiane verso Roma (peraltro ovvie: ma Parigi fece finta di crederci). L’Urbe finalmente assunse il suo ruolo nel 1871, vent’anni dopo l’Unità, e lo tenne fino al 1943, quando la temperie della Seconda guerra mondiale impose provvisori traslochi. Al Nord lo Stato fantoccio di Mussolini si assestò a Salò e dintorni; al Sud dopo l’8 settembre il re, il governo e i vertici militari fuggirono a Brindisi , che funzionò da capitale fino al febbraio 1944. Prima di tornare a Roma, tuttavia, fecero tappa a Salerno; l’approdo definitivo all’Urbe, al seguito degli Angloamericani, giunse dopo la liberazione di Roma, il 4 giugno 1944.