Matteo Fraschini Koffi, Avvenire 17/7/2011, 17 luglio 2011
DADAAB, IL CAPOLINEA DELLA DISPERAZIONE
Sabbia, arbusti e un sole cocente. Sono questi gli ingredienti basici del più grande campo per rifugiati al mondo, Dadaab, situato nel nord-est del Kenya, vicino al confine con la Somalia. A vent’anni dalla sua nascita, il campo, una fetta di terra grande quanto la città di Firenze, sta vivendo il peggior periodo della sua triste storia. Originariamente le autorità keniote e le agenzie umanitarie avevano stabilito che il campo fosse costruito per ospitare 90mila rifugiati. Ora, in questo inferno dantesco, ce ne sono più 400mila.
E il numero è destinato ad aumentare vertiginosamente. Il governo di Nairobi, sotto pressione delle Nazioni Unite, ha dovuto aprire una quarta sezione, Ifo-2, oltre alle tre che già esistevano: Ifo, Dagahaley, e Hagadera. Ed è nel Blocco N-Zero, facente parte della sezione Ifo, che Amina sta aspettando di capire che ne sarà della sua vita. Lei è una delle 10 milioni di vittime che, secondo i dati dell’Onu, sono minacciate dalla più grave siccità del Corno d’Africa dagli anni Cinquanta. A quattordici anni, Amina è al settimo mese di gravidanza. È arrivata nel campo due settimane fa insieme ad alcuni suoi parenti dopo un viaggio di ventisei giorni iniziato nella Somalia meridionale.
Durante il tragitto, percorso interamente a piedi, ha rischiato di essere attaccata da iene e leoni, o derubata dai banditi che brulicano in questa terra di nessuno. «Siamo stati fortunati», confessa davanti alla sua capanna, costruita con stracci, sacchetti di plastica e rami secchi: «Durante il cammino siamo stati aiutati dalle persone che incontravamo. A volte ci davano da mangiare carne di capra, altre volte siamo stati costretti a fare l’elemosina». Amina si è sposata a dodici anni, e suo marito l’ha dovuta lasciare per cercare lavoro a Chisimaio, uno dei covi dei ribelli qaedisti di al-shabaab. «Con la mia famiglia stiamo aspettando di essere registrati come rifugiati », continua questa giovanissima donna: «Poi le cose dovrebbero andare meglio».
Amina purtroppo non sa che la registrazione non le garantirà che qualche scorta cibaria e un minimo di materiale per vivere. Se sarà fortunata. Ogni giorno arrivano nuovi rifugiati in cerca di riparo, cibo e cure mediche. Le agenzie umanitarie, infatti, riconoscono che quella di Dadaab è una situazione disperata. «Stanno arrivando troppi rifugiati», afferma una preoccupatissima Alima Ahmed, operatrice umanitaria: «Quando giungono nei campi sono esausti, disidratati e spaventati. Molti di loro hanno camminato per due mesi e hanno visto i loro cari morire per la strada». Secondo l’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Acnur), Dadaab riceveva in media tra i 6mila e 8mila rifugiati al mese durante il 2010. Quest’anno, per via della siccità e della guerra civile in Somalia, le cifre parlano di 10mila disperati al mese e il cui numero ha continuato a crescere nelle ultime settimane. Secondo le diverse agenzie umanitarie, che non nascondono le difficoltà nel gestire tale situazione, i bambini sono le prime vittime di questa carestia. «Ci sono altissimi livelli di malnutrizione tra i minori, soprattutto quelli che hanno meno di cinque anni», conferma Monica Rull, a capo dei progetti di Medici senza frontiere in Kenya e Somalia.