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 2011  luglio 18 Lunedì calendario

VITA DI CAVOUR - PUNTATA 129 - L’IMPORTANZA DELLE BIBBIE

Il quadro, perciò, è questo: gli austriaci isolati e a cui tutti danno torto; Cavour e il Piemonte che fanno simpatia a tutti.

Sì, senza illudersi che la simpatia internazionale fosse chi sa che. Per esempio, l’appoggio della Francia era abbastanza dubbio. Cavour ebbe contro per un pezzo i ministri che stavano a Torino per conto di Napoleone, prima l’antipiemontese Butenval, poi il duca di Guiche, conservatore quasi reazionario, che manovrava per far cadere il conte e sostituirlo con Revel. Era piuttosto solido l’appoggio dell’Inghilterra, specie da quando era arrivato Hudson. Ma questo appoggio dipendeva parecchio dalla dose di anticlericalismo che il conte sapeva mettere nella sua politica. Un problema, perché Vittorio Emanuele non voleva sentir parlare di rotture o polemiche con il papa.

Cavour, diventando presidente del Consiglio, aveva promesso di far cadere la legge sul matrimonio civile.

Infatti, quando la legge arrivò al Senato, il re gli scrisse: « Si ricordi, caro Conte, che se quella legge, che non approvo, passasse, io, misero tiranno mi troverei in gravi imbrogli. Faccia quello che il suo giudizio e la sua amicizia per me le detteranno ». Cavour, al primo voto negativo del Senato, ritirò il provvedimento. Tuttavia la politica anticlericale non poteva essere accantonata del tutto. Era l’elemento che distingueva il partito del connubio dalla destra. Era ciò che favoriva la trasformazione dello Stato in senso liberale. Era quello che attirava le simpatie inglesi.

È qualcosa che non riesco a capire.

L’antipatia inglese per Roma, ampiamente ricambiata e ben viva ancora oggi, era ancora la conseguenza dello scisma di Enrico VIII. Venne a Torino lord Shaftesbury, uno dei capi protestanti più potenti. S’era sposato con la figlia di lord Palmerston. Aveva un’enorme influenza sull’aristocrazia britannica e alla Camera dei Pari. Condizionava i giornali. Cercò Cavour, non lo trovò, gli lasciò una lettera in cui gli prometteva l’appoggio dell’Inghilterra se avesse dato libertà ai culti e favorito la predicazione protestante. Era comunque rimasto incantato dal fatto che a Torino vi fosse una chiesa evangelica e che i valdesi mandassero alla Camera uno o due deputati.

Lei stesso ha raccontato che, insieme allo Statuto del ’48, Carlo Alberto aveva emancipato ebrei e valdesi.

Adesso Cavour, per tirar dalla sua gli inglesi, diede istruzione che i predicatori evangelici, i vari venditori di Bibbie che giravano per le campagne, venissero lasciati per quanto possibile in pace. Quelli però si spingevano fino ai più remoti casolari e i contadini, sentendo predicare una parola che sapevano eretica, li denunciavano e perciò non si poteva non arrestarli. Quindi nascevano ogni volta casi con Londra, erano proteste ufficiali, seguite da interrogazioni e diplomazie varie. Una volta che ne imprigionarono uno a Nizza, e scoppiò il solito finimondo, si sentì Cavour che urlava: non ci basta aver sulle braccia il Papa e i monaci, ci volevano anche le società bibliche, gli evangelicals. Ora tutto questo gioco diplomatico, esercitato in definitiva su minuzie, si trovò a un tratto a una verifica primaria. Era scoppiata la guerra fra russi e turchi.

Quella che aveva determinato la chiusura dei mercati del Mar Nero e l’aumento dei prezzi dei cereali.

Sì. In definitiva questa guerra era implicita nella politica dello zar, sempre alla ricerca di terre da togliere al sultano, ed esplose in quel momento per un errore di valutazione. Nicola I era un uomo enorme, dall’aria selvaggia. Nel ’44 era andato in Inghilterra, la regina Vittoria se n’era spaventata e gli inglesi in genere se n’erano fatti soggiogare. Soprattutto lord Aberdeen era rimasto colpito, aveva mascherato la sua soggezione parlando di continuo della Chiesa ortodossa, di come aveva mantenuto la purezza delle origini. Questo, come ho detto, nel 1844. Qualche anno dopo c’era stata la rivolta d’Ungheria e Nicola aveva aiutato il giovane imperatore d’Austria, Francesco Giuseppe, a soffocarla. Perciò, quando tre mesi prima Aberdeen era diventato primo ministro, lo zar aveva concluso: a) che dalla parte di Londra poteva star tranquillo, essendo il potere finito nelle mani di un amico; b) che da Vienna non aveva nulla da temere perché erano sempre stati alleati e in più lui gli aveva messo a posto gli ungheresi; c) che Napoleone III, appena proclamato imperatore, aveva ancora troppi problemi per occuparsi di lui. Detto fatto, con la prima scusa che gli era riuscito di fabbricare, aveva attraversato il Prut e invaso i liberi protettorati della Moldavia e della Valacchia (più o meno l’attuale Romania). Era la fine di giugno del 1853. I calcoli di Nicola si rivelarono completamente sbagliati. Palmerston cominciò a tempestare che lo zar andava fermato. La stampa inglese s’accorse a un tratto che la Russia era la patria di tutte le tirannie e prese a tempestare perché si contrastasse l’orrido despota. Intanto Napoleone III aveva capito che una guerra ad Oriente avrebbe potuto provocare un rimescolamento della carta europea. Londra e Parigi si allearono, richiamarono gli ambasciatori e, il 27-28 marzo 1854, dichiararono guerra a Nicola.