FRANCESCO LA LICATA, La Stampa 18/7/2011, 18 luglio 2011
“Ammazzavo le sentenze sbagliate” - Ottantun anni li ha compiuti lo scorso 8 maggio, ma non sembra aver perso quel guizzo di aggressività «puntuta» e tipicamente siciliana che, negli anni, gli è valsa l’antipatia naturale che generalmente viene riservata a quei personaggi sempre restii a riconoscere qualche errore che nel corso della vita capita di commettere ai comuni mortali
“Ammazzavo le sentenze sbagliate” - Ottantun anni li ha compiuti lo scorso 8 maggio, ma non sembra aver perso quel guizzo di aggressività «puntuta» e tipicamente siciliana che, negli anni, gli è valsa l’antipatia naturale che generalmente viene riservata a quei personaggi sempre restii a riconoscere qualche errore che nel corso della vita capita di commettere ai comuni mortali. L’accento è sempre lo stesso, la cadenza siciliana è difficile da smontare, specialmente se la si conserva quasi come un segno di identità. E l’esordio, al telefono, è l’ennesima conferma del mantenimento di quel «superego», origine di una vita trascorsa ai vertici della magistratura, supervalutata, forse, fino a un certo punto, poi precipitata fino a rimanere imprigionata dentro l’accusa di tradimento in favore di Cosa nostra e, alla fine, recuperata - almeno per via burocratica - con la vittoria processuale, ricorso dopo ricorso, e il reintegro sulla sedia della Cassazione che gli era stata tolta nel ‘93 in conseguenza delle accuse mossegli dalla Procura di Palermo. Stiamo parlando del giudice Corrado Carnevale, un tempo temuto e considerato - così pare - dagli avvocati di grido, difensori di boss e imputati eccellenti. Ma «bollato» - per legge di contrappasso - dai colleghi, magistrati di prima linea, con l’odioso marchio di «ammazzasentenze». Dicevamo dell’inizio di questa conversazione: prende spunto dalla recente ratifica del Csm di una sentenza del Consiglio di Stato che restituisce a Carnevale «il tempo perduto» per aver subìto un processo risoltosi, poi, con un’assoluzione piena. «Avete scritto - ridacchia Carnevale - che rimarrò in servizio fino al 2015, quando avrei quasi compiuto 85 anni. Ma non è così: rimarrò al mio posto fino al 7 dicembre del 2013. Questo per la precisione, che è una dote non consueta tra i giornalisti, anche tra quelli che oggi vanno per la maggiore, e neppure in altre categorie professionali, specialmente i magistrati che sono ignoranti e professionalmente poco attrezzati». Eccolo ancora l’«ammazzasentenze», rinvigorito dal successo dei suoi ricorsi e controricorsi non si fa sfuggire l’occasione per riproporsi nella tradizionale veste di «uomo delle norme» che giudica attribuendo ai «cosiddetti “formalismi” la dignità che si deve al rispetto delle leggi». Eppure questo integralismo normativo in passato ha portato fuori dalle galere fior di delinquenti, terroristi e mafiosi. Tanto da far insorgere il sospetto che tanto formalismo fosse una specie di linea politica del cosiddetto «partito della prima sezione della Cassazione», diretto, appunto, da Carnevale e particolarmente sensibile alla «ragion di Stato» di un sistema compromesso con la mafia. Questo il senso del processo a suo carico che ha visto una condanna inAppello poi disintegrata in Cassazione da una piena assoluzione senza rinvio. «Ma quale formalismo! - intigna al telefono -. Il Diritto, le leggi, le regole, sono formalità? La verità è che tanti processi vanno a male perché sono mal condotti. E qui torniamo al problema della professionalità dei magistrati». Carnevale ha annullato sentenze gravi a carico di assassini solo perché - per esempio - una notifica veniva consegnata ad un solo dei due difensori dell’imputato. «Certo, e non vedo quale sia lo scandalo. La salvaguardia dei diritti della difesa, me la considerate formalismo? Per me è rispetto della legge e la Costituzione dice che il magistrato ha l’obbligo di applicarla, la legge». Sembra di riascoltare l’autodifesa di qualche anno fa. La stessa avversione tagliente, fino a sfiorare il disprezzo, per un mondo ritenuto forse ideologicamente lontano e perciò anche ostile. È vero: la storia di Corrado Carnevale scorre tutta sul filo del legame con Giulio Andreotti (da lui ridimensionato a conoscenza per motivi istituzionali) e il suo gruppo di potere (Vitalone e i cugini Salvo, Salvo Lima), e dallo scontro infinito coi colleghi magistrati. Le polemiche coi giornalisti ne sono solo conseguenza, quasi inevitabile. È degli Anni Ottanta, ma esploderà nel 1993, una delle polemiche più cruenti. Carnevale è accusato dai colleghi di aver spostato per legittima suspicione, con sentenza forse troppo disinvolta, il processo contro un giudice di Trapani coinvolto nelle indagini sull’assassinio mafioso del giudice istruttore Giacomo Ciaccio Montalto, ucciso nel gennaio del 1983. Alcuni magistrati si mobilitarono per investire della vicenda il Consiglio superiore, ma - raccontano i testimoni - tutto fu bloccato da un intervento di Andreotti che disse: «Carnevale non si tocca». La storia ebbe uno strascico giudiziario perché l’ex presidente del Consiglio, durante una puntata di Porta a Porta definì «bugiardo» uno dei testimoni, il giudice Mario Almerighi che, a sua volta, lo citò in giudizio. Il processo si è concluso da poco con la condanna di Andreotti. Poi arrivarono altre occasioni di «sentenze scandalose»: gli annullamenti per i killer del capitano dei carabinieri Emanuele Basile, la scarcerazione del boss Michele Greco, l’annullamento del provvedimento di arresto di don Stilo, il prete calabrese sospettato di appartenenza alla ’ndrangheta e tante altre storie. Poi Giovanni Falcone, nel frattempo divenuto direttore degli affari penali alla Giustizia, si inventa la cosiddetta «rotazione» delle assegnazioni, un monitoraggio dell’attività della Cassazione per impedire che tutti i ricorsi dei processi di mafia finissero, quasi automaticamente, alla sezione di Corrado Carnevale. E da qui prende corpo l’insanabile odio per Falcone. Fino a indurre l’alto magistrato ad esprimersi al telefono (intercettato) in modo davvero ingeneroso nei confronti di Falcone e Borsellino, morti da neppure un anno. Falcone è «un cretino», si sfoga l’ «ammazzasentenze». Poi definisce, sarcasticamente, le due vittime della mafia «i Dioscuri» e arriva a chiamare «stu animale» il Primo Presidente della Cassazione, Antonio Brancaccio, che aveva appoggiato il sistema della turnazione delle assegnazioni dei processi. Ora, dopo tanti anni, sente di dover modificare qualcosa, il presidente Carnevale? «Ho testimoniato a Caltanissetta su questo tema - risponde imperturbabile - ed ho spiegato che quella era una telefonata privata e l’affermazione eccessivamente sintetica. Io volevo solo sottolineare la professionalità di Falcone che, nell’occasione in questione, era vicina allo zero. Motivava l’attendibilità dei pentiti con l’assioma che i mafiosi sono tenuti, per loro consuetudine, a dire sempre la verità. Mi sono limitato a spiegare alla Corte che anche il dogma dell’infallibilità del Papa aveva dovuto sottostare a delle limitazioni e perciò si stabilì che il Pontefice è infallibile sui temi della fede, cioè quando è ispirato dallo spirito santo. Ma i pentiti, chi li ispira?». Non rinuncia mai al suo sarcasmo, il presidente Carnevale. E non avverte disagio alcuno se gli si fa notare che probabilmente un magistrato della sua età, in posti di responsabilità, potrebbe risentire di essere figlio del suo tempo, forse un po’ fuori posto in una società completamente cambiata. L’interruzione è decisa: «Non è affatto vero. Forsesono stati aboliti Beccaria, Voltaire e tutti i padri del diritto? Quelli sono principi universali che non tramontano mai, anche se muta il costume». Ma perché, ci chiediamo, tanto astio nei suoi confronti? «Avevo dimostrato qualità e tanta dedizione al lavoro da impensierire i carrieristi a sbafo». Sarebbe diventato, senza gli incidenti di percorso, primo presidente della Cassazione? «Ci può giurare. Non avevo concorrenti».