GIOVANNI F. BIGNAMI, La Stampa 18/7/2011, 18 luglio 2011
Hubble ultime cartoline dalle stelle - Il telescopio spaziale Hubble ha concluso il suo milionesimo puntamento
Hubble ultime cartoline dalle stelle - Il telescopio spaziale Hubble ha concluso il suo milionesimo puntamento. Un’osservazione come altre (la ricerca di acqua su un pianeta extraterrestre), ma con un sapore speciale nei festeggiamenti alla Nasa e all’Esa. Il telescopio Hubble orbita sulle mostre teste dal 1990 e da 21 anni invia a Terra spettacolari immagini che hanno cambiato non solo le conoscenze sull’Universo, ma il modo stesso di guardarlo e sognarlo. Ora che ha appena celebrato la milionesima osservazione (descritta nella foto grande) si avvicina il suo pensionamento. Dovrebbe essere dismesso nel 2014, ma il suo successore - il James Webb Telescope - è a rischio: i tagli di bilancio americani che hanno già messo fine al programma shuttle ora potrebbero lasciare a Terra anche l’ambizioso strumento che il «popolo» degli astronomi aspetta con ansia. Previsto inizialmente nel 2014, dovrebbe essere posizionato a 1,5 milioni di km da Terra, in un punto ideale per osservare l’origine del cosmo e spiare con i suoi sofisticati strumenti il Big Bang. Adesso si pensa di far slittare la missione a dopo il 2018, ma l’incertezza è assoluta e per la scienza è un brutto colpo. Un milione di osservazioni per lo strumento più importante nella storia dell’astronomia dopo il cannocchiale di Galileo sono un successo planetario, un sogno reale che è diventato subito di tutti, con le splendide immagini che Hubble continua a darci. E siamo fieri, come europei, di aver fatto la nostra parte. Ma anche i ricchi piangono. Il momento nelle scienze spaziali è quasi drammatico, negli Usa come in Europa. Intanto proprio per l’astronomia, che ha lanciato lo spazio e che oggi lo sostiene facendo sognare il pubblico (che paga). Il successore di Hubble è in pericolo. Più grande e più bello di Hubble, sarebbe capace, tra l’altro, di farci vedere le prime stelle. Sì, le prime stelle che si sono accese nell’Universo, più di 13 miliardi di anni fa, da qualche parte devono pur essere, ma non le abbiamo ancora viste. Vorremmo tanto capire come sono, perché da loro discendiamo tutti noi, abitanti dell’universo attuale. Adesso il programma per mettere in orbita questo nuovo affascinante telescopio è in pericolo. Invece del previsto miliardo di dollari, il suo costo è oggi di quasi sette e la data di lancio è al di là del 2018. Un disastro di programma, diciamocelo, anche per noi europei, che ci abbiamo messo cervelli e risorse. La Commissione Bilancio della Camera Usa chiede oggi di cancellarlo, buttando freddamente via i tre miliardi già spesi. Se succedesse, sarebbe un po’ come se i Pisani avessero abbattuto la Torre solo perché era storta. Gli Stati Uniti hanno già ucciso programmi scientifici andati fuori controllo. In una mossa, che poi hanno rimpianto, nel 1993 hanno lasciato «un buco nel Texas» come unico ricordo di quello che doveva essere l’acceleratore di particelle più grande del mondo. Il risultato è che oggi ci sono più fisici americani al Cern di Ginevra che nei laboratori Usa, perché hanno capito che il Cern è una storia (europea) di successo: e forse sarà proprio al Cern che un giorno capiremo la vera natura della materia nell’Universo. Americani in Europa, cioè globalizzazione della scienza? Benissimo, ma allora, tornando allo spazio, vogliamo esserci anche noi, e da protagonisti. Perché al momento, invece, è buio profondo sull’altro pilastro che, oltre la scienza, tiene in piedi il programma spaziale mondiale: i voli abitati. Con una pensata dovuta all’ex presidente George W. Bush si è arrivati all’inevitabile fine del programma Shuttle senza avere la minima idea di come sostituirlo, cioè di come mandare astronauti (Usa ed Esa) nello spazio, da subito. O meglio, l’unico modo è quello di usare la cara vecchia, scomodissima Soyuz, andando col cappello in mano a chiedere un posto ai russi, che nel frattempo hanno triplicato il costo del biglietto. E tutto ciò quando abbiamo appena completato con successo la Stazione Spaziale, tra l’altro in buona parte fatta a Torino. La Stazione è un grande risultato globale, ma ha sempre bisogno di astronauti a bordo. L’Europa ha la sua parte di colpa. L’ha ammesso JeanJacques Dordain, direttore generale dell’Esa, sul «Wall Street Journal»: «Abbiamo fatto un errore collettivo». Altro che. Senza i tuoi astronauti in orbita, il programma spaziale perde la capacità di attrarre l’interesse dei tuoi «taxpayers», ai quali non bastano le immagini astronomiche per sognare e ai quali non importa niente delle applicazioni dello spazio, che pure usano, ma senza saperlo e dandole per scontate. E allora, svegliati Europa! (compresa l’Italia). Abbiamo Ariane V, il miglior razzo del mondo, una base di lancio sull’Equatore - posto ideale - e molto altro. Per di più, sappiamo fare le missioni scientifiche. Il momento dolceamaro per la Nasa è un’opportunità per noi di tornare protagonisti nella ricerca spaziale, quella con il più alto ritorno di investimenti. Le idee per un altro milione di osservazioni ce le abbiamo, gli astronauti anche, figuriamoci se ci manca la visione o il coraggio.