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 2011  luglio 18 Lunedì calendario

DON VERZE’ PER IL FOGLIO DEI FOGLI

Don Luigi Verzé ha lasciato la gestione dell’ospedale San Raffele (980 milioni di debiti). Il sacerdote, fondatore della struttura, resterà presidente, ma i suoi poteri andranno al nuovo consiglio d’amministrazione della Fondazione Monte Tabor, che guida il gruppo ospedaliero. Deleghe operative a Giuseppe Profiti, 49 anni, presidente del Bambin Gesù e uomo di fiducia del cardinale Tarcisio Bertone. Come super consulente per il risanamento è stato chiamato invece Enrico Bondi. [1]

«Il San Raffaele è una galassia complessa. Va dagli ospedali (in Lombardia, Veneto, Puglia e Sicilia; ma anche in India e in Brasile, a San Salvador de Bahia, con una delle migliori cliniche del paese) all’Università Vita-Salute San Raffaele (che fra i suoi docenti ha il filosofo Massimo Cacciari e il genetista Edoardo Boncinelli), dalle società di servizi e di edilizia alle biotecnologie (con le partecipazioni, attraverso la holding Finraf, in Molmed), dai laboratori di ricerca alle aziende agricole, dagli alberghi di lusso a una casa editrice». [2]

Verzé, l’uomo “che ha fatto santo il denaro” (titolo dell’Avvenire). [3]

Don Luigi Maria Verzé, nato a Illasi (provincia di Verona) nel 1920. Sacerdote da 64 anni, laureato in Lettere e Filosofia, segretario di don Luigi Calabria (proclamato santo nel 1999), molto amico di Berlusconi. [3]

A 12 anni decise di farsi prete e suo padre lo diseredò: «A distanza di anni ho capito che sperava che prendessi in mano il patrimonio di famiglia. Il giorno che me ne andai definitivamente da casa, cercò anche di fermarmi gettando sul tavolo un portafoglio gonfio di soldi. “Ti do tutta l’eredità se resti”, mi disse. Mi sbarrava la porta con il corpo, ma io lo tirai da parte e, citando il Vangelo, gli dissi che avrei avuto il centuplo in questa vita e poi la vita eterna». Col padre si riconciliò, ma non ebbe ugualmente l’eredità: «Ho avuto una miseria, quella obbligatoria per legge. Del resto mio padre pensava che stessi rinunciando all’insieme della vita: al patrimonio, ma anche alle ragazze. “Pensa che buggerata per te se l’inferno non c’è”, mi diceva. E io rispondevo: “Pensa che buggerata per te, se invece c’è”». [4]

Da bambino, «come san Luigi Gonzaga», per ossequio non guardava mai in faccia la madre. Da lei ricevette solo un bacio in vita sua: era il giorno della cresima. [4]

Avrebbe voluto fare il pilota di cacciabombardieri. L’antica passione per gli aerei lo spinge a viaggiare con il jet privato: un Challenger immatricolato in Nuova Zelanda. [5]

«La vocazione, per fortuna, lo ha portato a occuparsi d’altro, quando negli anni Cinquanta il suo maestro spirituale don Giovanni Calabria spedì quel giovane e già intraprendente prete da Verona a Milano con una missione: “Come diceva il cardinale Ildefonso Schuster, l’idea era quella di creare un ospedale per ‘i borghesi’. Perché allora gli ospedali erano come caserme. I poveri a crepare in corsia, i ricchi nelle case di cura, spesso in mano proprio alla Chiesa. Io avevo in mente di offrire a tutti servizi di alta qualità e cure di elevato livello”». [6]
Memorabili alcuni suoi incontri. Nella primavera del 1992 fece rotta su Cuba per conoscere Fidel Castro (con un pacco dono: spaghetti, pomodori italiani e bottiglie di Recioto). Era lì per convincere il líder máximo a riallacciare i rapporti con la Chiesa. «Per aiutarlo a uscire dal buco nero in cui l’isola s’era infilata con il braccio di ferro con gli americani, dovevo farlo incontrare con il Papa». Nel 1997, invece, andò da Gheddafi. Nel suo quaderno, il sacerdote scrisse: «Mi appare come un profeta... sotto quella tunica tutta bianca c’è un uomo». Spiega: «Volevo avvicinarlo all’Occidente e portarlo a Roma dal Santo Padre. Lo desiderava lui, lo desiderava anche il Papa». [6]

Dopo la caduta di Saddam scrisse una lettera a Bush per dirgli che voleva fare un San Raffaele sul Tigri. Bush gli rispose: «Non è nel nostro costume finanziare ospedali, questo è compito delle fondazioni». Controrisposta di don Verzé: «È bravo a far la guerra, non è capace a far la pace». [4]

Quando, nel 1999, la Procura della Repubblica di Milano arrestò cinque luminari del San Raffaele (per truffa al servizio sanitario nazionale), scrisse una lettera a Borrelli: «Se qualcuno dei pazienti di questi primari dovesse morire per mancanza del suo medico curante nessuno potrà impedirmi di denunciare pubblicamente questa violazione del diritto alla vita». [7]

Rosy Bindi, ministro della Sanità nel governo dell’Ulivo, gli impose di cedere il San Raffaele di Mostacciano (Roma): «Dopo quel vero furto, non ho mai più voluto dormire a Roma, neppure in Vaticano. Un sacerdote non può entrare nel letto della prostituta, come i padri della Chiesa defiscono Roma». [6]

Indossa sempre un abito blu, con camicia bianca e cravatta rossa. Stesso abbigliamento anche in udienza da Giovanni Paolo II. [3]

Davanti alla sua scrivania Luigi XVI fa sedere gli ospiti su sedie più basse, per farli sentire in soggezione. [3]

Per i suoi novanta anni, il 14 marzo del 2010, lanciò l’idea del Quo Vadis, centro di ricerca sulla longevità che dovrà permettere di vivere fino a 120 anni. [3]

Una delle frasi del Vangelo da lui preferite: «Chi è senza peccato scagli la prima pietra». [3]

«E il Vaticano? Se io fossi papa ne farei un oracolo di Delfi per ogni sapere. Per qualche tempo l’ho frequentato: puzza di sodoma e di arroganza! Sostituirei le sottane paonazze con professionisti laici e sposati». [8]

«Quando mi impediscono di fare una cosa che Dio mi chiede, non c’è Santo che mi tenga. Prima o poi la persona che mi impedisce di fare quella cosa sparisce». [9]
(A cura di Daria Egidi)

Fonti: [1] Mario Gerevini, Simona Ravizza, Corriere della Sera 16/7; [2] Valentina Fizzotti, Il Foglio 14/4; [3] Cinzia Sasso, la Repubblica 16/7; [4] Stefania Rossini, l’Espresso 29/4/2004; [5] Luca Piana, l’Espresso 10/3; [6] Franco Vernice, la Repubblica 7/10/2004; [7] Luca Fazzo, la Repubblica 4/3/1999; [8] Luigi Maria Verzé, Corriere della Sera 3/9; [9] Claudio Sabelli Fioretti, La Stampa 12/7/2010.