Giancarlo Padovan, il Fatto Quotidiano 17/7/2011, 17 luglio 2011
ZAR LUCIANO: “MI MANCA LO SCUDETTO CHE NON COLSI”
Luciano Spalletti è ancora giovane (52 anni), ma viene da lontano. Ha cominciato ad allenare ad Empoli, in Serie C, diciotto anni fa. È diventato vincente in Russia: scudetto, Coppa nazionale e Supercoppa con lo Zenit, al primo anno all’estero. Nel nuovo Eldorado post comunista pendono dalle sue labbra. Lui, però, sogna ancora in italiano.
Com’è l’Italia calcistica vista da San Pietroburgo?
Sempre un po’ troppo esasperata.
Lo dice con la malcelata
soddisfazione di sentirsi al
riparo.
Proprio per nulla. Non ho rancori, sia perché non c’è ragione di averne, sia perché sono italiano e guardo al nostro calcio con l’affetto e il rispetto che la sua storia e la sua fama, riconosciute nel mondo, meritano.
Lei ha vinto il titolo in Russia. Qualche rimpianto per averlo solo sfiorato con la Roma in Italia?
Non mi piace rincorrere il passato. Però, effettivamente, quell’anno (si riferisce al 2007-2008, ndr) lo avremmo proprio meritato.
Allora lo scudetto fu vinto dall’Inter di Mancini. Vuol dire che non lo meritarono?
No, no. Furono bravi. Anche a sfruttare situazioni particolari.
Sarebbe?
Diciamo che gli arbitri stavano vivendo una delicata fase di transizione. E all’Inter tornarono utili certi momenti di difficoltà dell’intera categoria. Non voglio accusare nessuno. Solo sottolineare che se la differenza si riduce al secondo tempo dell’ultima partita di campionato, a decidere sono gli episodi.
Alla fine i punti di svantaggio dall’Inter furono tre.
Sì, ma a 45 minuti dalla fine – loro a Parma e noi a Catania – la Roma era campione d’Italia. Facevamo un calcio offensivo, bello e pure equilibrato. Non lo dico per vantarmi, ma per ringraziare, ancora una volta pubblicamente, quei giocatori che mi fecero partecipare a uno spettacolo durato tre anni.
Giocavate con il 4-2-3-0,
cioè senza punte.
Ma lo zero valeva per due, perché era Totti. Il più bravo al mondo ad interpretare la doppia posizione: bomber quando era dentro l’area, stratosferico quando faceva il fantasma e mandava nello spazio, da lui creato, i compagni. Il marchio del campione vero.
Sistema di gioco nato per caso o da un’idea?
Nato dalla necessità, dallo studio dei particolari e dall’approfondimento delle conoscenze. Poi i risultati hanno confermato che la traccia era quella giusta.
La nuova Roma ha fatto bene a scegliere Luis Enrique?
Baldini e Sabatini sanno cos’è la Roma e che città è Roma. Se lo hanno preso è perché ne conoscono i metodi di lavoro e perché lo ritengono compatibile con il progetto che hanno in mente. Poi toccherà all’allenatore entrare in sintonia con la squadra. Avendo frequentato in carriera grandissime squadre, Luis Enrique ha il vantaggio di sapere come sono e cosa pensano i grandi calciatori.
Il Milan ha confermato Allegri, la Juve ha sostituito Del-neri con Antonio Conte, Gasperini è arrivato all’Inter.
Succede solo perché i grandi tecnici non vengono più da noi?
No, succede perché finalmente si dà fiducia a tanti allenatori, giovani o che hanno lavorato bene in squadre di seconda fascia. È giusto che abbiano una chance importante. Non sopporto che si dica: ‘Questo qui non è da Inter o quello là non è da Juve’. Se, almeno una volta, non gli si mette a disposizione una squadra di rango e tradizione , come facciamo a saperlo?
Secondo lei, dunque, l’autarchia sulla panchine (tutti italiani tranne Mihajlovic e Luis Enrique) non è un sintomo negativo?
No. Anche perché, nonostante il calcio in Italia stia vivendo un momento particolare, vedo risorse nuove e preziose. E non mi riferisco solo alla scuola degli allenatori. Ci sono anche società e dirigenti che stanno proponendo qualcosa di alternativo e vitale. Penso, per esempio, a Damiano Tommasi, presidente dell’Associazione calciatori.
Allora cos’è che non va in Italia?
Nel resto d’Europa sono più propensi ad accettare un modo di pensare e di lavorare diverso dal proprio. Noi continuiamo a puntare sul risultato, anche nei settori giovanili. Gli altri a come crescere.
Che opinione si è fatto dello scudetto 2006 che, nonostante tutto, resterà all’Inter?
Calciopoli è stata una grande sconfitta del calcio italiano nella quale abbiamo perso tutti quanti. Assegnare lo scudetto del 2006 è stato certamente precipitoso. Si è trattato di un’inchiesta lampo a fronte di un materiale enorme, sul quale si doveva lavorare. Serviva maggiore ponderazione.
Mai avuto voglia di tornare?
Quella c’è sempre.
Come mai?
Andare fuori è un’esperienza di vita e di lavoro che ti arricchisce. Ma l’Italia è il mio Paese e il calcio italiano, nonostante tutto, resta di grande fascino e qualità.
In due anni ha ricevuto offerte dall’Italia?
Non mi ha cercato nessuno. Anche perché i segnali che ho mandato sono sempre stati chiari. Fino a giugno del 2012 resterò qui. A meno che non ci sia qualche incidente di percorso.