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 2011  luglio 17 Domenica calendario

LA GUERRA DEI 30 ANNI CONTRO VIRUS E PREGIUDIZI

Al Forum delle associazioni non governative riunito a Roma prima della VI Conferenza mondiale sulla patogenesi, il trattamento e la prevenzione dell’Hiv, si parlava di «guerra dei Trent’anni» perché nel 1981 sono stati osservati i primi casi di malattie rare concentrati tra i giovani omosessuali di Los Angeles e di New York. In realtà l’Hiv si diffondeva da decenni nell’Africa subsahariana, precisava il mese scorso nel suo bollettino dal fronte il programma delle Nazioni Unite per la lotta all’Aids. Nel 2010, ci sono stati 2,1 milioni di morti, nel 1997 erano 6 milioni.

Una vittoria? Non ancora, i sieropositivi sono 34 milioni rispetto a 22 milioni nel 1997, i due terzi dei quali nell’Africa subsahariana e uno su sei senza alcuna forma di terapia, in maggioranza donne e bambini.

La metafora bellica ricorre anche fra i ricercatori. Per 15 anni hanno visto il virus invadere le cellule che dovrebbero debellarlo, lasciare il sistema immunitario devastato, alla mercè di altri invasori e delle loro infezioni opportunistiche. Quando dal 1996 nuovi farmaci, oggi sono più di venti, hanno preso di mira una serie di proteine indispensabili alla sua replicazione, l’Hiv si è ritirato nelle proprie Tora Bora, i "serbatoi nascosti" e inespugnabili dei linfonodi e delle cellule dendritiche. Se viene sospeso il cocktail della Highly Active Antiretroviral Therapy (Haart) riemerge blindato con nuove mutazioni.

Dall’inizio, l’Hiv ha avuto alleati che hanno ostacolato ogni strategia preventiva: la distribuzione di preservativi nei luoghi di ritrovo dei giovani, di siringhe nuove contro quelle usate dai tossicodipendenti; il proibizionismo in materia di droga, prostituzione e omosessualità; pregiudizi, discriminazioni, politici e ciarlatani più opportunisti di un’infezione; leggi del libero mercato e norme sui brevetti; le rivalità tra i ricercatori, l’immoralità di alcuni di loro e di certe case farmaceutiche durante gli esperimenti clinici nel terzo mondo.

Era inevitabile che qualcuno negasse l’origine naturale dell’Hiv, la sua acquisizione probabilmente a più riprese da scimmie che ospitano un virus di immunodeficienza al quale resistono grazie a mutazioni genetiche studiate da Guido Silvestri al l’università di Atlanta (si veda l’articolo a pagina 43, ndr). Nel 1992, il primo ministro russo Primakov ha ammesso che era stato il Kgb, con l’operazione "Infektion", a falsificare documenti secondo i quali la Cia aveva costruito e disseminato il virus. Peter Duesberg ha abusato della propria fama mediatica, conquistata con lavori sull’origine virale di alcuni tumori, per spiegare al presidente del Sudafrica Thabo Mbeki che l’Aids era causato dalla droga e soprattutto dall’Azt, il primo farmaco autorizzato contro l’Aids che sarebbe stato propagandato da scienziati corrotti e dall’avida Big Pharma. Già convinto che l’epidemia fosse un’invenzione dei bianchi per costringere gli africani all’astinenza e quindi all’estinzione, per quattro anni Mbeki rifiutò i farmaci offerti dagli organismi internazionali e raccomandò "terapie alternative": una condanna a morte per 300mila persone. Altri governanti hanno negato la presenza dell’Aids nel proprio regno dove una superiorità ideologica o razziale immunizzava i sudditi dalle perversioni. In Francia come in Giappone e in Cina, hanno negato la trasmissione del virus agli emofiliaci con le trasfusioni di sangue infetto. Sporca guerra.

Sull’altro fronte intanto, le comunità più colpite schieravano star del cinema e dello sport, intellettuali, piccoli e grandi eroi. Grazie a loro l’epidemia è diventata il banco di prova di quella che oggi viene chiamata «citizen science», di una ricerca alla quale partecipano i non addetti, pazienti, amici, parenti, i volontari delle Ong superinformati e attenti a far rispettare le regole etiche. Hanno aiutato i ricercatori a riprendersi dalle ripetute mazzate, vaccini inefficaci, gel topici che dovevano prevenire l’infezione e invece la favorivano, molecole promettenti in vitro e tossiche in vivo.

«La cura ancora non c’è», dice Alessandra Cerioli, presidente della Lega italiana per la lotta all’Aids (Lila) che a Roma ha organizzato il forum delle associazioni. Però ricorda che oggi più di venti farmaci rendono cronica una sindrome letale fino «al 1996, quando la Haart mi ha salvata per il rotto della cuffia. La svolta del trentennio». Una più recente? «I risultati del l’Hptn il 7 maggio scorso: nella vita non sono mai stata così felice». Si riferisce agli esperimenti dell’Hiv Prevention Trials Network condotti in Africa, America e Asia con 1.763 coppie, in maggioranza eterosessuali, in cui un partner era sieropositivo e l’altro no. Sei anni fa, tutti hanno ricevuto preservativi e visite mediche gratuite. In metà delle coppie, al partner sieropositivo sono stati offerti farmaci benché non avesse alcun sintomo di Aids. In tutto, le nuove infezioni sono state 28 e solo una quando il partner sieropositivo ha preso i farmaci. Alessandra se lo aspettava, per la Lila aveva aderito al protocollo presentato dalla Svizzera al vertice mondiale di Città del Messico tre anni fa. All’epoca molti ricercatori erano ancora scettici, i dati erano pochi, riguardavano solo 93 coppie brasiliane. «Visto? Sopravviviamo, non siamo pestiferi, potete toccarci, abbracciarci, amarci».