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 2011  luglio 17 Domenica calendario

IMPARARE A CONVIVERE CON L’AIDS - A

trent’anni dalla sua scoperta, i ricercatori stanno ancora cercando di capire perchè il virus Hiv causa l’Aids, cioè in che modo il virus distrugge lentamente il sistema immunitario. È ancora una questione poco chiara, ma grazie alle ricerche di uno scienziato italiano "emigrato" negli Stati Uniti con una borsa di studio assegnata dal nostro ministero della Salute agli inizi degli anni ’90 si sta facendo luce sul meccanismo di "difesa-attacco" con studi di comparazione dell’infezione in organismi diversi. Guido Silvestri, 48 anni, ha messo a confronto gli esseri umani sieropositivi che sviluppano la malattia con i primati dell’Africa con infezione da Siv, o virus dell’immunodeficienza delle scimmie. «I due agenti virali, Hiv e Siv, sono molto simili per struttura genetica e molecolare, ma a differenza dell’uomo le scimmie infette non si ammalano» spiega l’immunologo italiano di origine marchigiane, che ha iniziato la sua carriera lavorando all’ospedale di Ancona, occupandosi proprio dei malati di Aids. Poi, come ricercatore negli Stati Uniti ha avuto la fortuna di lavorare con uno dei "guru" dell’immunodeficienza acquisita, Rafick-Pierre Sekaly. I due si rincontreranno oggi a Roma in occasione dell’apertura della Sesta conferenza dell’International Aids Society (Ias), tappa fondamentale per esaminare i recenti sviluppi nella lotta contro l’infezione.

«È un mistero tra i più importanti nella ricerca dell’Aids il fatto che in un particolare tipo di scimmie il virus si replica e rimane attivo nel corpo senza dare malattia. Il che dimostra che non è solo l’infezione e la replicazione del virus a "uccidere" le persone. Ma c’è "qualcos’altro"», continua Silvestri, oggi a capo della divisione di Microbiologia e immunologia allo Yerkes National Primate Research Center della Emory University di Atlanta. Proprio lui e il suo team sono stati i primi a scoprire che in questi animali il virus è benigno, cambiando radicalmente la visione e di conseguenza l’approccio della ricerca verso la malattia.

«Il parametro che da sempre ha definito la progressione dell’infezione è la carica virale – continua l’immunologo – per cui il paradigma dell’Aids è: più virus hai nel sangue più velocemente ti ammali. Paradigma che non mi ha mai convinto fino in fondo e che ora con i nostri studi abbiamo messo in discussione». L’équipe di Atlanta in una prima fase ha scoperto che le scimmie non combattono il virus ma ci convivono pacificamente, mantenendo bassi i livelli di risposta immunitaria. La loro ultima ricerca ha permesso di fare un ulteriore passo in avanti. «Il fatto che fosse soltanto una questione immunitaria non mi bastava – racconta Silvestri –. Così l’idea semplice, però mai sviluppata prima, è che se il virus infetta un particolare sottogruppo di cellule del sistema immunitario (della classe dei Cd4) meno importante e facilmente rimpiazzibile, l’organismo non ha necessità di aggredire il virus». Idea che Silvestri ha confermato nello studio appena pubblicato su «Nature Medicine». «Le scimmie, in pratica, hanno trovato il sistema di deviare il virus verso cellule poco importanti del sistema immunitario, ottenendo due risultati: il virus ha un posto dove andare, quindi non è costretto a evolvere diventando aggressivo; allo stesso tempo si protegge il sistema immunitario, perchè le cellule più importanti deputate alla difesa non vengono coinvolte. Il corollario di questo meccanismo è la chiave di volta: è il sistema immunitario stesso a capire che il virus non produce danni e quindi non serve innescare una immunoattivazione cronica. Ovvero una battaglia di retroguardia inutile, il citato "qualcos’altro" che porta alle complicanze dell’Aids. La malattia quindi deriva da un incompleto adattamento tra un retrovirus – l’Hiv – e il sistema immunitario di un ospite – l’uomo – che non si è ancora evoluto a sufficienza per attuare una convivenza pacifica. Eppure il 10% del nostro genoma è costituito da retrovirus, alcuni dei quali esprimono proteine necessarie alla vita umana, come il sincizio trofoblasto, un componente della placenta. In altre parole, siamo tutti figli di retrovirus. Già, ma queste nuove rivelazioni a quali strategie terapeutiche condurranno? «A identificare immunomodulatori specifici capaci di ridurre certe risposte immunitarie, da affiancare agli antiretrovirali. Perchè, anche se i farmaci oggi usati tengono sotto controllo il virus e hanno trasformato l’Aids in una malattia cronica – conclude Silvestri – esiste sempre una vena di reazione immunitaria che resta attiva e che nel lungo termine causa gravi complicazioni». Insomma, la strada del vaccino terapeuico sembra non avere più senso.