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 2011  luglio 17 Domenica calendario

L’INDOTTO È GIÀ IN SOFFERENZA

Una violenta frenata. Poi, una ripartenza con il freno a mano tirato. Quindi, un altro rallentamento. Uno stop and go che può costare caro in termini di robustezza della carrozzeria patrimoniale e di benzina finanziaria nel serbatoio.

Sull’industria dell’automotive, già gravano le incognite del l’effettiva realizzazione degli investimenti della Fiat nelle fabbriche del paese e le ricadute di una possibile uscita da Confindustria. Il Lingotto ha dovuto affrontare ieri il passaggio al Tribunale del lavoro di Torino, nella vertenza aperta dalla Fiom Cgil contro la newco per Pomigliano. E ha organizzato per il 25 e il 26 luglio a Betim in Brasile i cda di Fiat Industrial e di Fiat Spa.

Dunque il quadro è molto fluido. E il comparto deve affrontare un passaggio decisivo. Dopo due esercizi, il 2009 e il 2010, assai duri, l’anno in corso e il prossimo saranno determinanti per un settore che, nonostante il ridimensionamento, vale ancora il 3% del Pil italiano. Il modello econometrico di Prometeia divide il settore in produttori di automezzi (Fiat, Iveco, Ducati, Piaggio e pochi altri) e in produttori di parti e componenti. Per questo modello, che parte dell’assunto di una sostanziale inesistenza di investimenti Fiat aggiuntivi rispetto a quelli già preventivati prima di Fabbrica Italia, il 2009 è stato l’annus horribilis. La produzione di autoveicoli, a prezzi correnti, è crollata del 23 per cento. Quella di componenti del 30 per cento. L’anno scorso è salita rispettivamente del 7,7 e del 13,3 per cento. Quest’anno, di nuovo, si va in apnea. La produzione degli autoveicoli si limita a un inconsistente +0,3 per cento. Meglio la componentistica: +10,3 per cento. Per i prossimi anni, diminuisce la criticità ma resta la differenza di passo: nel 2012 le variazioni saranno del 4,2% per i produttori di automezzi e del 6,4% per i componentisti, nel 2013 del 4,4% e del 6%, nel 2014 del 3,7% e del 6,9%, nel 2015 del 3,8% e del 6,5 per cento. «Queste proiezioni - riflette Alessandra Lanza, responsabile analisi e ricerca economica di Prometeia - sono calcolate a prezzi correnti. Dunque, per definizione incorporano la reale capacità di fare o meno prezzo, ottenendo dal mercato il riconoscimento del valore incorporato nei prodotti. Purtroppo, stando a questi risultati, la nostra industria non ha la capacità di fare prezzo». Una difficoltà di fondo che è anche l’effetto della globalizzazione dei mercati e dei nuovi equilibri nell’industria internazionale dell’auto. «Il problema - osserva l’economista Giuseppe Volpato - è che il mercato mondiale è sì tornato a crescere, ma l’Italia riveste una posizione meno centrale di un tempo. L’Asia non è più soltanto la fabbrica del mondo, è anche il mercato del mondo». E questi nuovi equilibri geo-economici non possono che riflettersi sulla struttura industriale del nostro paese. A questo proposito, appare complesso il capitolo della redditività. Negli autoveicoli il ritorno sugli investimenti continua a essere negativo quest’anno (-1,9%) e nel 2012 (-1%), riguadagnando negli esercizi successivi livelli positivi ma risibili: 0,6% nel 2013 e 0,5% nel 2014. Nella componentistica, almeno, gli investimenti si ripagano: 3,4% quest’anno, 5,7% nel 2011, 5,7% nel 2012, 6,2% nel 2013 e 7% nel 2014. «Nell’automotive - dice Lanza, presidente del Gruppo economisti di impresa - gli investimenti sono ingenti. Se la remunerazione non è decente, viene bruciata la possibilità di sopravvivenza delle imprese sul lungo periodo. Da questo punto di vista, il segmento italiano dei produttori di autoveicoli non è messo benissimo». Un altro fattore di instabilità è rappresentato dalla redditività del capitale proprio. Che, sul lungo periodo, ha una intonazione notevolmente negativa. Basta osservare il segmento della componentistica: nel 1995, un’altra era geologica per l’automotive mondiale, l’imprenditore italiano aveva un ritorno sul capitale del 15 per cento. Dieci anni dopo, è finito sotto zero: -1,1 per cento. Nel 2007 è tornato a un discreto 4,6 per cento. Nel 2009 è riprecipitato a -7,1% e, quest’anno, si attesterà a un 2,9 per cento. «Una remunerazione dell’azionista che varia così tanto nel tempo - dice Giampaolo Vitali, industrialista del Ceris Cnr e segretario del Gruppo economisti di impresa - rappresenta un fattore di instabilità. Non solo perché cancella ricchezza, ma anche perché può indurre nell’imprenditore il desiderio di diversificare, distogliendo così risorse da un settore che invece ha bisogno di una notevole focalizzazione, strategica e finanziaria».

Un aspetto positivo, nella struttura industriale presente e prossima ventura, c’è. Il leverage appare sotto controllo. Negli anni Novanta per i produttori di automezzi il rapporto fra debiti finanziari e capitale proprio viaggiava intorno a 1,5. Per ogni euro di capitale proprio, l’impresa aveva un euro e mezzo di debiti. Più o meno, lo stesso rapporto di oggi. Per i componentisti, negli anni Novanta il leverage era intorno a uno: un euro di capitale proprio e un euro di debiti. La stessa cosa succede oggi. Dunque, la fisiologia finanziaria del sistema appare in condizioni stabili, se non sane.

Il problema è la natura più profonda dell’organismo industriale: la solidità patrimoniale appare infatti in via di indebolimento. Per i produttori di auto il capitale proprio l’anno scorso valeva il 14,1% della produzione. L’anno scorso era al 10,9%, quest’anno è al 10,6% e l’anno prossimo sarà al 10,3 per cento. Per i produttori di componenti, nel 2009 il capitale proprio valeva il 35,1% della produzione. L’anno scorso è sceso al 30,6 per cento. Quest’anno è al 27,3 per cento. E, anche nei prossimi anni, si perderanno altri due punti. Dunque, è soprattutto la filiera dei componenti a essere in notevole affanno.

Sulla salute finanziaria e patrimoniale di queste imprese, grava anche l’incognita dei flussi di cassa. Per esempio, i tempi di pagamento delle fatture restano lunghi. Nel 2009, l’anno in cui il virus della crisi finanziaria ha attaccato i gangli più profondi del tessuto manifatturiero, un componentista veniva pagato in media cento giorni dopo avere emesso la fattura. Nel 2010 si è scesi a 90 giorni. Quest’anno ci si è stabilizzati a 86 giorni. Tre mesi sono e tre mesi resteranno nei prossimi anni.

C’è poi un altro fattore che influirà non poco sul presente e sul futuro dell’automotive italiano, in particolare sui componentisti che lavorano per l’auto. I rapporti, ancora tutti da definire, fra Fiat e Chrysler. «In particolare - osserva Pierluigi Bellini, direttore per il Middle East e Africa di Ihs Global Insight - occorrerà capire dove il nuovo aggregato sceglierà di produrre i modelli e di concepire le piattaforme. L’ideazione di queste ultime in un paese o in un altro determina trasferimenti di tecnologie e di competenze molto raffinate ai primi fornitori, i quali a loro volta le irradiano nel sistema. Se le fai in America, perdi tutto questo».