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 2011  luglio 18 Lunedì calendario

QUELLA MANO INVISIBILE CHE VERSÒ IL CIANURO NEL PIATTO DI FRANCESCA

C’ era una fialetta vuota sotto il letto, la notò sua sorella Claudia il giorno dopo la morte: dove sarà finita, quella fiala? E c’era un bicchiere sul comodino: fu mai analizzato? Eppoi il diario: la madre Maria Assunta disse di averlo bruciato quasi subito per tutelare la privacy della figlia. Ma cosa c’era scritto di così importante? Questi e altri dubbi affollano ancora il mistero della fine tragica di Francesca Moretti, 29 anni, laureata in Sociologia ad Urbino e uccisa a Roma il 22 febbraio del 2000 dal cianuro, il veleno usato nei romanzi dalle spie, ma anche dai contadini per eliminare i parassiti o dagli artigiani per lucidare il rame. Per una notte e un giorno stette in cella, e per altri 15 mesi ai domiciliari, accusata di omicidio, la sua amica e coinquilina Daniela Stuto, siciliana di Lentini, che all’epoca aveva 25 anni e studiava Psicologia alla Sapienza e oggi che l’inferno è passato — e lo Stato l’ha pure risarcita per l’ingiusta detenzione con 52 mila euro— fa la psicoterapeuta a Roma e con il fidanzato d’allora, Fabrizio, ha costruito la sua famiglia provando anche il gusto, proprio in questi giorni, della prima maternità. Ma quando l’arrestarono, l’ 8 gennaio 2001, accusata di aver sciolto il cianuro in una minestra al formaggino preparata per l’amica sofferente di lombosciatalgia, la povera Daniela fu crocifissa al muro. Sequestrarono perfino a un suo zio in Sicilia un bidone con su scritto «cianuro» : ecco dunque dove si era procurata il veleno. Lo zio però candidamente raccontò agli inquirenti che lui quel bidone l’aveva trovato vuoto anni prima e adesso lo usava solo per cuocere a fuoco lento le bottiglie di pomodoro. Eppure nessuno voleva credere a Daniela. Il movente, secondo l’accusa, doveva ricercarsi nella sua gelosia morbosa, esplosa all’improvviso per la decisione maturata da Francesca di andare a vivere con Graziano Halilovic, un ragazzo rom già sposato e con 5 figli che aveva conosciuto col suo lavoro di ricercatrice nei campi nomadi della Capitale. Povera Daniela, sospettata pure di amore lesbico, lei che tutti i suoi amici ed amiche, perfino l’ex fidanzato siciliano d’un tempo, descrivevano in ben altro modo: «Daniela non ha proprio alcuna tendenza gay e piace ai ragazzi perché sprizza sensualità da tutti i pori...» . E altro che privacy! Finì sui giornali quest’intercettazione: «Sono a letto con Angela, stiamo facendo zin zin...» , diceva Daniela per scherzo a una sua amica. Eppure quello «zin zin» vagamente erotico e molto giocoso la inchiodò per mesi come una condanna, fino al giorno dell’assoluzione piena «per non aver commesso il fatto» , il 10 aprile 2002. Sentenza poi confermata in Appello il 3 giugno dell’anno dopo. Al processo il responsabile del centro antiveleni del Policlinico Gemelli spiegò che l’intervallo massimo di tempo tra l’ingestione del cianuro e il manifestarsi delle prime crisi è di 15-20minuti. Quel giorno Daniela preparò la minestrina tra le 15 e le 15.30. Ma le condizioni di Francesca precipitarono tra le 16.30 e le 16.59, quando Daniela non era più in casa e Mirela Nistor, la cameriera romena che divideva con loro l’appartamento, telefonò al suo fidanzato per chiedere aiuto. Gl’inquirenti allora cambiarono in corsa la scena: il cianuro non più sciolto nella minestra, ma in un «canarino» che Daniela avrebbe preparato a Francesca verso le 16 prima di uscire. «Voli pindarici» , secondo la Corte d’Assise. L’ambulanza fu chiamata da Mirela alle 17.20. Ventidue minuti dopo, Francesca Moretti fu ricoverata all’ospedale San Giovanni, dove infine morì alle 19.35. «L’ospedale era sprovvisto di reagenti per il veleno— rammenta l’avvocato Fiorangelo Marinelli, all’epoca legale della Stuto—, così non capirono che quello era cianuro. Francesca è anche morta di malasanità...» . E allora? La Nistor non è mai stata sospettata di niente. Graziano Halilovic, oggi 38 anni e presidente di «Romà onlus» , associazione per i diritti dei nomadi, non vuole ricordare: «È una cosa intima, privata, molto personale...» . Le indagini puntarono anche sui campi rom, dove il cianuro si usa per lucidare il rame. Si pensò a una vendetta della moglie di Graziano, Fatima, che aveva minacciato Francesca, «ma Fatima non era stata mai nell’appartamento» , concluse la polizia. Non era la sua, dunque, l’ombra scura che Francesca pochi giorni prima della morte raccontò spaventata di aver visto in corridoio. Così, nessuno sa ancora oggi cosa accadde veramente nell’appartamento di via Scalo San Lorenzo 61. La sorella di Francesca, Claudia, escluse che la ragazza fosse depressa e avesse intenzione di suicidarsi. Sicuramente era stanca dei rinvii di Graziano, che malgrado le promesse continuava sempre a rimandare la fuga d’amore con lei. E per questo tra loro scoppiavano anche sovente dei litigi. «Francesca aveva paura del male, credeva nel malocchio, ogni tanto chiedeva a Mirela di farle un rituale— rivelò una delle amiche più intime, Antonella —. Graziano comunque non c’entra, è una brava persona... Io anzi a questo punto non sono nemmeno sicura che Francesca sia stata uccisa: potrebbe sì aver mangiato un formaggino avvelenato, ma magari da qualche pazzo in un supermercato» . E già, perché l’unica certezza, in questa storia, dopo più di 11 anni, rimane il cianuro.