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 2011  luglio 18 Lunedì calendario

QUINDICI MILIONI DI ITALIANI CONSULTANO INTERNET PRIMA DI ANDARE DAL MEDICO. MA LA CYBER-DIAGNOSI NASCONDE MOLTI RISCHI

L´ansia arriva puntuale dopo il terzo clic. La leggerezza con cui avevamo inserito nel motore di ricerca il nostro banale sintomo, "crampi allo stomaco", si è frantumata davanti al primo dei 229 mila siti segnalati. «Tumore allo stomaco. Cause e cure». Pausa di riflessione, il sudore si fa freddo. Ma come è possibile? Ci aspettavamo qualche rassicurazione, al massimo un invito a migliorare lo stile di vita, e invece ci troviamo assaliti dal dubbio. Viene automatico aprire quella pagina. E senza capire bene perché, si finisce nella lettura ansiogena di una mole senza fine di informazioni mediche. Spesso incomprensibili. Quasi sempre inquietanti. Pagine e pagine che ci spiegano la pericolosità dei fino ad allora ignoti leiomioma e liomiosarcoma, e basta il nome per capire che non si tratta di un raffreddore. E poi ancora, dettagli, trattamenti, foto cliniche, forum di discussione, ricerche scientifiche italiane e straniere, diagnosi caserecce offerte da sedicenti "esperti" e soprattutto la lista dei sintomi che, d´un tratto, ci sentiamo di avere tutti. Anche i più inverosimili. È suggestione, naturalmente. Avevamo avvistato anche siti che legano i crampi allo stomaco a una guaribilissima indigestione. E altri che li accomunano a un´appendicite. Ma ormai siamo nel tunnel disperante della cybercondria, dove vige una sorta di legge di Murphy secondo la quale «se un´autodiagnosi virtuale può andar male, lo farà».
Tutto ciò dovrebbe indurre ogni utente un minimo ragionevole a non rivolgersi mai in prima battuta al "dottor Internet", considerati i responsi che si ottengono. I più vari e disorientanti. Dal "niente di preoccupante" si passa in un clic al ricovero immediato, senza filtri di umanità.
Eppure gli italiani non resistono, lo fanno eccome. Il 47 per cento di chi usa Internet nel nostro paese, quasi un utente su due, almeno una volta ha interpellato la rete per un´improbabile auto-diagnosi, scavalcando il medico di famiglia. Parliamo di 15 milioni di italiani. Ma - cosa ancor più preoccupante - solo uno su quattro verifica l´autorevolezza della fonte di ciò che sta leggendo. I dati arrivano dal Bupa Health Pulse 2010, una ricerca condotta a livello europeo in collaborazione con la London School of Economics. Nella classifica dei pazienti virtuali siamo ai primi posti. Più attivi dei francesi (fa auto-diagnosi sul web il 41 per cento degli utenti), meno degli inglesi (58 per cento). Sia detto, il "dottor Internet" non è privo di qualità: è disponibile h24, è gratuito, non lascia in attesa, risponde a tutti ed è dotato di un sapere enciclopedico, fondato sul più grande archivio mai esistito nella storia dell´umanità. Ricerche, trattati, manuali, sperimentazioni. Milioni e milioni di pagine. Certo, non ha né il tatto né la sensibilità di Patch Adams. Assomiglia di più al dottor House, ma senza la genialità del suddetto: il web è un medico cinico, freddo, spietato. E sputa diagnosi a raffica, quasi sempre catastrofiche. Qualche esempio.
Digitate su Google "tremore alle mani". Si ottengono 157 mila risultati. L´impatto lascia senza fiato. «È il più precoce e prominente sintomo del morbo di Parkinson», si legge in bell´evidenza su uno dei primi siti trovati, che si definisce «portale verticale dedicato alle neuroscienze in genere e alla neuropsicologia clinica in particolare». A seconda di cosa cliccate, il tremore sarà associato anche alla cirrosi epatica. E all´ipertiroidismo. E alla sclerosi multipla. E finalmente anche a una semplice carenza di vitamina b12, risolvibile con una pillola. Un ventaglio di malattie molto diverse, con cure diversissime, ma messe sullo stesso piano. Altro sintomo, altra ansia. «Rash cutaneo». 134 mila siti. Forse una comune dermatite, si dice in un portale di medicina sportiva. «Potrebbe essere un caso di psoriasi», sostiene il sedicente esperto dermatologo dottor Carli1965 su un forum. Puntuali arrivano i nefasti, quelli che l´associano alla patologia più grave: forse meningite, forse "porpora di Schonlein Henoch", forse lupus eritematoso, forse mille altre cose. Ancora, «dolore alle orecchie», quattro milioni e mezzo di pagine linkate. Si va dal raffreddore al tumore al cervello, in una escalation che passa per otite, occlusione dentaria, laringite e mononucleosi. Tutte ipotesi che - senza altri indizi e senza una visita medica reale - sono campate per aria. Ma chi sta davanti al monitor va in crisi.
«Questo è il modo più sbagliato di usare la rete - avverte Eugenio Santoro, direttore del laboratorio di informatica medica dell´Istituto Mario Negri e autore del libro "Medicina e Web 2.0" - qualsiasi sintomo, anche il più irrilevante, può venire associato alla peggiore delle patologie e generare ansia. Oppure può accadere l´opposto, cioè si può sottovalutare un segnale del nostro corpo perché si è trovato qualche tipo di infondata rassicurazione su Internet». Eppure milioni di italiani lo fanno ogni giorno. Una delle spiegazioni, secondo Santoro, sta nella durata media di una visita medica in una struttura pubblica: «Non supera gli otto-dieci minuti e ai pazienti evidentemente non basta». Una carenza di affetto sanitario, insomma. Ma la cybercondria non è un disturbo ad esclusivo appannaggio degli ipocondriaci conclamati, che sono circa il 6-7 per cento della popolazione italiana. Di fronte al "pessimismo clinico" del web (se non siete ancora convinti, provate a cercare su Google parole generiche come "sudorazione", "pancreas", "fegato", "lingua", ‘polmoni´ e guardate cosa esce) può capitare a tutti di sentirsi come l´Argante di Molière, malato immaginario. In versione 2.0. «Di fronte a un sintomo - spiega Daniele La Barbera, ordinario di Psichiatria all´università di Palermo e presidente della Società italiana di psicotecnologie e clinica dei nuovi media - tutti, ipocondriaci e non, ci sentiamo vulnerabili e fragili. Quindi tendiamo a prendere per fondata la prima diagnosi che ci viene offerta. Su Internet ne troviamo a centinaia. Questo uso distorto della rete ha cambiato anche il rapporto gerarchico medico-paziente: le persone si fidano meno di noi dottori, arrivano convinti di sapere già quale sia la loro malattia e la cura migliore. Pochi giorni fa è venuto da me un ragazzo che era andato in depressione perché sicuro di soffrire di un complesso disturbo narcisistico. E questo solo perché su un sito di benessere e sport, non attendibile, aveva compilato un questionario pseudo-medico».
Al netto della psicosi dell´autodiagnosi, Internet rimane uno strumento importante per chi sa di dover fare i conti con una malattia reale. E gli italiani che cercano sul web informazioni legate più in generale al mondo della sanità sono 20 milioni, il 34 per cento della popolazione. « «Si possono trovare chiarimenti su aspetti specifici di ogni patologia - dice Santoro - informazioni sull´uso dei farmaci, su come affrontare una malattia cronica, sulle terapie più recenti, sui protocolli sanitari da seguire, sui decorsi post-operatori. Sono nati dei veri social network di pazienti che condividono un problema medico come aimac.it per i malati di cancro, o aism.it per la sclerosi multipla, nei quali si scambiano impressioni, si creano amicizie, si aiutano a vicenda. Spesso funziona meglio del sostegno di uno psicologo». In Italia qualsiasi diagnosi via web è vietata dalla legge. Come comportarsi allora con la miriade di "esperti che rispondono", sparsi nella rete? «Bisogna diffidare - sostiene Santoro - non si sa mai chi c´è dall´altra parte del monitor. E anche se è un vero medico in buona fede, senza una visita completa rischia di trascurare sintomi determinanti. Meglio allora rivolgersi a un portale come medicitalia.it, che ha la certificazione Honcode (una sorta di marchio di qualità dei siti che trattano di salute, ndr), dove si trovano specialisti affidabili che rispondono alle domande dei pazienti, danno loro consigli, suggeriscono strutture di cura». Oasi mediche sul web dove un raffreddore è un raffreddore e non l´inizio della fine.