Mauro Anelli, Leggo 18/7/2011, 18 luglio 2011
LA GIUSTA CAUSA DEI MINATORI
«Vogliamo andare in fondo alla vicenda». È quasi un paradosso verbale quello di Luis Urzùa, portavoce dei mineros cileni che rimasero intrappolati 69 giorni a 700 metri di profondità nel deserto dell’Atacama. A quasi un anno dall’incidente che tenne col fiato sospeso il mondo, 31 dei 33 minatori hanno presentato una richiesta di risarcimento danni allo Stato pari a 16,7 milioni di dollari, oltre mezzo milione a cranio. L’azione legale poggia sulla negligenza da parte del Servizio nazionale di geologia e mineralogia cileno, reo di aver sottovalutato due incidenti mortali avvenuti nel 2005 e nel 2007, e la chiusura temporanea della miniera. I querelanti accusano lo Stato di aver completamente rinnovato la struttura di controllo dopo l’incidente, aumentando il numero di ispettori e quindi avvalorando la tesi di scarsi controlli precedenti.
Una doccia gelata per il presidente Sebastian Piñera, che sfruttò l’onda emotiva della disgrazia arrivando ad abbracciare uno ad uno i minatori che il 13 ottobre uscivano dalla capsula di salvataggio, posando per i flash dei fotografi. Un evento mediatico globale, uno spot che forse doveva servire anche a portare avanti il piano di privatizzazione della Codelco, la più grande produttrice di rame del mondo che conta 47.000 dipendenti, istituita 40 anni fa da Salvador Allende.
Martedì scorso i mineros sono scesi in piazza a Santiago per protestare, ci sono stati scontri, getti di idrante e arresti. La popolarità del presidente è scesa al 31%. Sembra che stavolta nel buco ci sia finito Piñera. E non saranno i mineros a salvarlo.