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 2011  luglio 18 Lunedì calendario

GOOGLE NEWS COMINCIA A SCRICCHIOLARE

(due articoli) -
Google ha perso la sua prima partita giudiziaria diretta sul versante del diritto d’autore. E il meccanismo su cui si fonda il servizio News inizia a mostrare le sue falle. I giudici della Corte d’appello di Bruxelles, infatti, hanno confermato la decisione del tribunale di primo grado di tre anni prima, imponendo al colosso di internet di rimuovere dal proprio servizio di notizie gli articoli dei giornali o degli autori che fanno riferimento alla Copiepresse, la società di gestione del diritto d’autore degli editori belgi di stampa in lingua francese e tedesca, a cui erano aggiunte la Saj, che si occupa del diritto d’autore per parte dei giornalisti, e la Assucopie, che cura gli autori specializzati in temi scientifici e accademici.

Se è vero che attraverso YouTube, società di proprietà di Google, il colosso di Mountain View era stato condannato già in passato per violazione del copyright, quello belga rappresenta il primo caso che coinvolge direttamente il servizio News di Google. Italia Oggi Sette ha deciso di capire meglio la portata della sentenza con l’aiuto di Oreste Pollicino, docente di diritto dell’informazione e della comunicazione presso l’Università Bocconi e direttore del portale internet dedicato al diritto dell’informazione, Medialaws.eu. «Quella di Bruxelles rappresenta la prima sentenza al mondo di questo tipo. Non si era mai arrivati prima d’ora a una condanna in primo e secondo grado contro Google News per violazione del diritto d’autore. Adesso la società di Mountain View sarà tenuta a eliminare dal proprio servizio di news tutte le testate appartenenti alle tre sigle che hanno portato la società di fronte alla legge, pena la condanna a pagare 25 mila euro al giorno per ogni giorno di ritardo. Briciole, non c’è dubbio, per una società che macina profitti come Google. Ma la questione è un’altra: se Google dovesse applicare la sentenza in Belgio, allora il meccanismo su cui si fonda il servizio News verrebbe a morire».

Domanda. Quali sono le ragioni per cui si è aspettato tanto tempo per arrivare a una sentenza di questo tipo?

Risposta. La decisione del tribunale belga è piuttosto articolata e complessa. Google come semplice aggregatore di cache è protetto dalla legge europea. In altre parole la società rientra nella categoria degli internet service provider (Isp) per cui la normativa europea prevede l’esenzione dal pagamento dei diritti d’autore nel caso in cui riproducano e memorizzino pagine internet provenienti da altri siti su richiesta di un utente per poi mettere a disposizione di altri la stessa pagina (cache). Se si trattasse soltanto della funzione «copia cache», in altre parole, attivata su richiesta di un utente e diretta, specularmente, all’utilizzo da parte di altri fruitori della rete, allora non ci sarebbero i termini di reato in quanto Google farebbe soltanto da tramite tra un utente (richiedente l’informazione) e altri cybernauti che consultano le news richieste dal primo utente. Secondo la sentenza del tribunale di Bruxelles, tuttavia, Google non avrebbe utilizzato solo «copia cache», ma gli articoli riprodotti sarebbero stati estrapolati dal sistema a prescindere dalle richieste degli utenti. La società di Mountain View, inoltre, ha ammesso che la funzione «copia cache» presenta un tempo di vita determinato in maniera arbitraria da Google stesso, senza che esista una motivazione tecnica alla base. Tirando le somme, dunque, disapplicando la natura della funzione «copia cache» su cui si fonda la legislazione europea che consente agli Isp di non versare diritti d’autore, la società avrebbe utilizzato a titolo gratuito milioni di pagine internet attraverso cui generare proventi pubblicitari in maniera gratuita.

D. È vero che Google non ha pagato i diritti d’autore. Ma è altrettanto vero che il servizio di News ha consentito di aumentare il traffico all’interno delle pagine dei portali di notizie_

R. Il problema è complesso. È innegabile che Google News faccia gli interessi anche degli editori. Ed è questa la ragione per cui, dopo tante minacce, Rupert Murdoch non ha mai optato per attivare l’opzione che impedisce a Google di utilizzare le notizie dei propri giornali. Almeno il 30% del traffico online di un portale di informazione, oggi, viene prodotto attraverso Google query e Google News. Bisogna quindi fare un’attenta analisi costi-benefici prima di decidere se fare una guerra a Google News oppure no.

D. Se il 30% del traffico internet di un giornale arriva dal servizio News, quali sono le ragioni di tanto accanimento da parte del mondo dell’editoria?

R. Secondo gli editori, il servizio «copia cache» rende disponibili a tutti anche pagine a pagamento che si trovano all’interno degli archivi dei giornali. Si tratta di pagine, un tempo consultabili gratuitamente, copiate dal servizio di Google all’interno della propria memoria a cui gli utenti possono liberamente accedere anche se adesso sono finite in una sezione a pagamento del sito di provenienza. Non solo. Molte volte gli utenti di Google si accontentano di leggere le poche righe del sommario di un articolo riportate nella pagina delle News senza più accedere al portale di notizie da cui le news provengono. E non entrando nella pagina, sfruttano la notizia senza portare click al portale e quindi pubblicità.

D. Esistono alcuni sistemi che consentono agli editori di tutelarsi in questo senso?

R. Sì, al momento Google consente agli editori che non volessero comparire nella pagina di News di aderire all’opzione «Opting-Out» con la quale la società si impegna a non inserire quei portali all’interno della ricerca. Ma c’è chi vorrebbe che la società facesse di più, ovvero invertisse l’onere della prova creando un sistema «Opting-In» per cui tutti sarebbero automaticamente esclusi dalle pagine di Google News a meno di una esplicita conferma della volontà di aderire al sistema di ricerca delle notizie online.

D. Quali sono le ragioni per cui Google è riuscito sempre a farla franca?

R. Nei confronti di Google si è creata l’impressione che la società non sia del tutto attenta alle normative dei paesi in cui opera. Come prima cosa nella causa belga, i legali della società di Mountain View hanno sostenuto che la legge applicabile non era quella del Belgio ma quella del paese in cui si trovano i server, ovvero la California. E questo, senza tenere conto della Convenzione di Berna del 1986 che stabilisce che in caso di violazione del diritto d’autore si debba applicare la legge del paese di origine dell’opera. In questo caso, senz’ombra di dubbi, era quella belga.

D. C’è poi il problema della posizione dominante assunta da Google_

R. Esattamente. Fino a poco tempo fa un editore poteva decidere di essere indicizzato in Google News, ma se decideva di starne fuori, allora veniva automaticamente escluso anche dal motore di ricerca tradizionale. Per sanare questo problema, la Fieg (Federazione italiana editori giornali) ha promosso un ricorso davanti all’Autorità garante della concorrenza, che ha aperto un’istruttoria, poi archiviata il 18 gennaio 2011, dopo che Google News ha accettato di rendere più trasparente le quote di ripartizione dei ricavi e di abolire l’esclusione dal motore di ricerca per gli editori che faranno l’Opting-Out.

D. Nei giorni scorsi il tribunale di Milano ha dato ragione al titolare dei diritti con una sentenza pubblicata relativa al caso Rti contro Italia On Line. Si tratta di un precedente che potrà fare scuola?

R. Non si deve generalizzare, guardando alla vicenda come emblematica di un processo, ma solo al singolo caso. Se fosse vero che c’è stata una diffida da parte di Rti che segnalava la presenza di contenuti audiovisivi protetti da diritto d’autore, che tali contenuti erano identificabili dalla lettura della diffida e se fosse vero che Iol, a fronte di tale diffida, non si è attivata come richiesto dalla legge, mi sembra che si siano applicate le regole esistenti, senza vincitori né vinti. Tra l’altro, si sono fatti dei passi avanti rispetto alle decisioni del tribunale di Roma che non escludevano, come fa invece questa sentenza, la possibilità di un controllo ex ante da parte dell’Isp sul materiale caricato dagli utenti. Quindi niente paura per i provider attivi in Italia. Questa decisione li tutela molto di più rispetto alla scarsa protezione nei loro confronti che emergeva delle decisioni precedenti sul punto.

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NESSUN PERICOLO DI EFFETTO DOMINO -
L’effetto domino non ci sarà, ma Google e gli editori dovranno trovare un’intesa commerciale per superare le tensioni degli ultimi mesi. È la posizione dominante tra avvocati e consulenti del telecomunicazioni a proposito della sentenza con cui la Corte d’appello di Bruxelles ha ribadito (rigettando l’impugnazione dopo il primo grado) l’illiceità dei servizi forniti da Google perché contrari alla vigente disciplina sul diritto d’autore. La sentenza è stata seguita con grande interesse anche in Italia, dove da tempo è in corso una diatriba tra Fieg (l’associazione italiana degli editori) e Big G, con quest’ultima accusata presso l’Antitrust di posizione dominante e criticata per le modalità operative di Google News, il servizio di indicizzazione delle informazioni.

La sentenza cambia lo scenario. «La sentenza belga può fare da apripista per pronunce simili in altri paesi d’Europa, ma non dobbiamo dimenticare che il diritto d’autore resta in gran parte regolato a livello nazionale», spiega Luca Ulissi, partner dello studio legale Freshfields. In sostanza, la sentenza belga ha aperto un varco, ma non è detto che i giudizi nazionali vogliano percorrerlo. «La questione ormai non riguarda tanto la modalità di aggregazione delle informazioni, quanto il beneficio economico che da questo approccio ne deriva», aggiunge l’avvocato. Un passo in avanti nelle rivendicazioni degli editori che potrebbe portare a rivedere gli approcci giurisprudenziali al tema. «L’innovazione non si può in alcun modo contrastare», precisa Ulissi. «Qui si tratta di trovare un punto comune per consentire a tutti coloro che investono nel settore di partecipare ai guadagni che ne derivano. Sentenze come quella belga possono portare a un riequilibrio della situazione».

Del resto, la stessa Agcm (l’Autorità garante della concorrenza e del mercato) nella recente relazione annuale ha dato atto del processo di avvicinamento tra i due contendenti. Nel 2010, rileva l’Autorità, Google si è impegnata «ad adottare una serie di misure pro-concorrenziali quali consentire agli editori di rimuovere o selezionare i contenuti presenti su Google News Italia senza per questo essere esclusi dalla più generale visibilità sul motore di ricerca; rendere note agli editori le quote di ripartizione dei ricavi che determinano la remunerazione degli spazi pubblicitari; rimuovere il divieto di rilevazione dei click da parte delle imprese che veicolano pubblicità con la sua piattaforma». Quindi una precisazione che è un invito al legislatore: «Consapevole della natura innovativa e della grande rilevanza delle problematiche affrontate, l’Autorità ha al contempo trasmesso una segnalazione a parlamento e governo, chiedendo la revisione della normativa a tutela del diritto d’autore, e il suo adeguamento alle innovazioni tecnologiche ed economiche del web. In particolare, l’Autorità ha evidenziato come un’istruttoria antitrust non possa essere la sede per sciogliere il nodo dell’adeguata remunerazione dell’attività delle imprese che producono contenuti editoriali online, per lo sfruttamento economico delle proprie opere da parte di altri soggetti».

Dai contrasti alle alleanze. Per Ernesto Apa, partner dello studio Portolano, «non è auspicabile che la sentenza della Corte d’appello di Bruxelles produca un effetto domino, influenzando la giurisprudenza italiana. Le conclusioni della Corte non sono infatti del tutto condivisibili: si concentrano univocamente sulla tutela del copyright trascurando altre esigenze che pure sono tutelate dal diritto». Il riferimento dell’avvocato è in particolare rivolto a concetti come «l’interesse pubblico alla circolazione delle notizie, alla discussione e alla critica, nella misura in cui non ci si ponga in concorrenza con lo sfruttamento economico di opere protette». Al di là delle differenti posizioni, inevitabili in un ambito di mercato che evolve più rapidamente del diritto, c’è la consapevolezza diffusa che il futuro non potrà che essere all’insegna di un punto di incontro tra editori e Google, stante anche la lentezza e l’incertezza delle pronunce giurisprudenziali in materia. «Non vedo spazi per un’estensione della sentenza belga in ambito statunitense, mentre ci sono maggiori possibilità in Europa, il cui diritto fa riferimento ai precetti», commenta Marco Martignoni, amministratore delegato di Everis, multinazionale della consulenza che si occupa di ict, management consulting e outsourcing. «Tuttavia, ormai è dominante l’idea che il principio supremo sia il diritto all’informazione da parte degli utenti. Se cambia il potenziale di accesso alle informazioni, occorre gestirlo in maniera diversa, occorre un nuovo sistema di regolamentazione, ma difficilmente assisteremo a un freno imposto per legge o per via giurisprudenziale alla crescita di questo mercato». Così, secondo Martignoni, «agli editori non resta che accettare la sfida del nuovo campo di gara e capire come cavalcare l’onda senza esserne travolti».

Da Google Italia, intanto, si dicono sereni sugli sviluppi della vicenda. «Riteniamo che Google News rispetti pienamente la legge sul copyright», fanno sapere dalla sede italiana. «Pensiamo infatti che fare riferimento a delle informazioni attraverso brevi titoli e un link diretto alla fonte, come viene fatto dai motori di ricerca, da Google News e praticamente da chiunque sul web, non solo sia legale, ma incoraggi gli utenti a leggere i giornali online. Continuiamo inoltre nel nostro impegno per una collaborazione sempre maggiore con gli editori, per esplorare nuove modalità con cui loro stessi possano monetizzare le proprie notizie online». Dal momento che il caso è stato trattato da un tribunale civile, sottolineano dall’azienda, «non costituisce un precedente per casi simili in Belgio né in Europa. Google trasferisce quattro milioni di click agli editori ogni mese: un milione di click attraverso Google News e tre milioni di click attraverso servizi quali la ricerca web e iGoogle».