Armando Torno, Corriere della Sera 18/7/2011, 18 luglio 2011
LE METAFORE SUI CONTI
Nei giorni della manovra il ministro Giulio Tremonti ha evocato il Titanic, rimesso in circolazione la battuta di Tito Livio «Hic manebimus optime» («Qui staremo ottimamente» ), forse proferita da un centurione, e infine consigliato di leggere due libri di Simenon, Tre camere a Manhattan e Il presidente. I quali, per quel che si è saputo, non offrono messaggi in codice. Il Titanic evoca la rovina del celebre transatlantico, dopo la collisione con un iceberg nella notte tra il 14 e il 15 aprile 1912. La nave era considerata inaffondabile e l’orchestra di bordo, composta da otto elementi, suonò sino all’ 1.40, ora in cui tutti avevano capito che era finita (alle 2.20 il Titanic si inabissò definitivamente). I musicisti svolsero l’eroico compito nel salone di lusso, per intrattenere e calmare gli ospiti di riguardo; Tremonti rammenta ai politici che la catastrofe coinvolse anche la prima classe: loro, insomma. È ormai consolidata metafora, come la Zattera della Medusa. Il quadro omonimo di Théodore Géricault (1819) descrive senza finzioni quello che avvenne allorché la Méduse, una fregata francese, si incagliò un centinaio di miglia al largo della Mauritania. Il comandante decise di imbarcare appunto su una zattera (20 metri per 10), legata da una cima alle scialuppe, 250 passeggeri di riguardo. Ma nella navigazione verso la costa i problemi esplosero e la zattera fu presto in balìa del destino. Alcuni morirono, altri scelsero il suicidio; al nono giorno i superstiti si diedero al cannibalismo e soltanto dopo il dodicesimo i sopravvissuti— chi dice 13, chi 15, altri 20 — vennero salvati dal battello Argus, anche se 5 morirono poche ore dopo. La colpa? Il comandante de Chaumaray, un incapace nell’emergenza, fu condannato a tre anni di prigione. Il quadro di Géricault, che usò come modelli anche cadaveri veri, rese universale l’episodio mescolando disperazione e speranza, mostrando a tutti quello che può succedere dopo una scelta sbagliata. E che dire del letto di Procuste? In clima di manovra, vale la pena ricordare un episodio mitologico che spiega le situazioni intollerabili. Procuste era un brigante che si appostava sulla strada da Megara ad Atene e assaliva i viandanti. Aveva due letti — seguiamo la versione di Pierre Grimal, Mitologia (Garzanti) — sui quali faceva adagiare le sue vittime: le alte sul corto, le basse sul lungo; alle prime tagliava i piedi, le seconde erano stirate. Si è vista nel mito la figurazione di quel che fanno al contribuente balzelli e gabelle. Agramante, invece, Re d’Africa, personaggio letterario dei poemi cavallereschi, nell’Orlando furioso di Ariosto diventa sinonimo delle liti che si consumano tra i suoi. Il «Campo di Agramante» (ricordato da Bersani il 17 novembre scorso) indica discordie e discussioni che non tengono conto dei pericoli. E il Pifferaio magico? È quello di Hamelin, di esso si occuparono anche Goethe e i fratelli Grimm. La leggenda narra che la città fu invasa dai topi. Un uomo si presentò e promise di liberarla; il borgomastro acconsentì, garantendo un pagamento. Non appena il Pifferaio cominciò a suonare, i roditori furono incantati e lo seguirono, lasciandosi condurre fino alle acque del fiume, dove annegarono. Ma la gente di Hamelin, liberata dal flagello, non volle pagare. Allora il Pifferaio suonò ancora, chiamando a sé i bambini, condannandoli alla fine dei topi. Una metafora perfetta in clima di emergenza. Anche se crudele verso i contribuenti.