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 2011  luglio 17 Domenica calendario

DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK — È

il giorno della finale e il giorno della grande rivincita di Hope Solo. Stati Uniti contro Giappone (ore 20.45, diretta Raisport1 e Eurosport) per il Mondiale di calcio femminile, in Germania. E il portiere americano, 30 anni, la numero 1 del mondo, contro un passato di polemiche, amarezze ed esclusioni. Mani sui fianchi, guantoni bianchi personalizzati, il filo d’ombra del palo che le taglia un viso da attrice. Le sue foto hanno fatto il giro dei grandi quotidiani, New York Times, Washington Post, dei siti, delle televisioni. «È il tuo momento Hope» , le ha ripetuto sua madre che la seguirà anche oggi nello stadio di Francoforte, accompagnata dagli altri due figli. In tribuna sicuramente ci saranno anche gli sponsor della Nike, che vogliono trasformare Hope in una star della pubblicità. Perché anche nel calcio femminile i buoni sentimenti si mescolano volentieri con i dollari. Queste sono calciatrici professioniste, con un seguito insospettabile e sorprendente. Sicuramente più vincenti, due titoli mondiali, (e quindi più popolari) dei colleghi maschi. Ecco allora che ancora oggi molti ricordano la semifinale del 2007, contro il Brasile. L’allenatore delle statunitensi, Creg Ryan, prende una di quelle decisioni che restano come cicatrici indelebili (per noi qualcosa di simile ai 6 minuti di Rivera nella finale del 1970): Hope Solo fuori squadra, in panchina. Finisce male: il Brasile ne fa 4 e manda a casa le avversarie. La numero 1 scatta di rabbia: io quei gol non li avrei presi. Forse ha ragione, ma le compagne di squadra, ugualmente d’istinto, la cacciano dagli spogliatoi. Sembra la trama di un «college movie» . Poco prima di quei Mondiali Hope aveva perso il suo sostenitore più convinto e passionale, il padre Jeffrey, italoamericano, veterano del Vietnam, che si era separato dalla madre e che piano piano era andato alla deriva, riducendosi per un certo periodo a dormire nei boschi di Seattle. Poteva finire così? Secondo tempo. La Federazione americana solleva di peso l’allenatore Ryan, e la nuova coach, Pia Sundhage, richiama subito Hope. Con lei di nuovo in porta gli Stati Uniti vincono la terza medaglia d’oro olimpica a Pechino nel 2008. Ma la grande occasione arriva con questi Mondiali: Germania 2011. Le americane giocano in maniera verticale, con scarso possesso di palla e quindi con i centrocampisti poco raccolti sulla linea mediana. Tutti spazi invitanti per gli attaccanti avversari: la condizione ideale per un grande portiere, se è in grado di fare la differenza. Hope Solo comincia a saltare da un palo all’altro. I quarti di finale contro il Brasile (10 luglio) li vince praticamente da sola. Subisce due gol, ma ne evita almeno altri due già fatti e alla fine para il rigore decisivo nello spareggio dal dischetto. È la gara della svolta: il capitano, la rocciosa Abby Wambach, che l’aveva quasi aggredita nel 2007, ora corre ad abbracciarla. Oggi la finale. In porta, con il numero 1, Hope Solo. Giuseppe Sarcina