Giuseppe Sarcina, Corriere della Sera 16/7/2011, 16 luglio 2011
LA SCELTA DI HILLARY: «VOGLIO TORNARE A CASA»
La «macchina della politica» le aveva già preparato la prossima poltrona: presidente della Banca mondiale, la risposta americana alla francese Christine Lagarde al Fondo monetario. Ma questa volta Hillary Rodham Clinton non si presenterà all’appuntamento con la carriera e il potere. A 63 anni mette la freccia e torna a casa. «In fondo penso di essere una persona normale, nella media, a dispetto di tutte le esagerazioni» . Una piccola bugia seguita da una confessione sincera registrata in un’intervista con la Bbc: «Sono stanca di fare la trottola in giro per il mondo. Terminerò il mio mandato di segretario di Stato fino al novembre 2012. Poi sono molto interessata a passare il tempo con i miei amici e la mia famiglia, con Bill e mia figlia Chelsea» . Negli Stati Uniti una generazione di giornalisti-scrittori ha campato raccontando la storia di Hillary (nel bene e nel male). E almeno due generazioni di donne (non solo americane) si sono confrontate con il suo percorso, in un grande seduta collettiva di psicologia del profondo, un continuo «Rorschach test» , come ha sostenuto la scrittrice femminista Betty Friedan nei primi anni Novanta. In effetti ogni volta che c’è di mezzo Hillary Clinton si comincia a discutere di politica per poi slittare, quasi inevitabilmente, nel personale, nel soggettivo. C’è chi ricostruisce la sua vita persino commentando le diverse acconciature dei capelli, dal «liberi tutti» degli anni Settanta alle agili messe in piega di oggi. Per qualcuno è ancora, soprattutto, la moglie del 42esimo presidente degli Stati Uniti (1999-2001) Bill Clinton, la persona che più di ogni altra ha fatto divertire e, nello stesso tempo, patire la primogenita della famiglia Rodham, residente a Park Ridge, vicino a Chicago. Il primo appuntamento con Bill è nell’estate del 1971 dopo le lezioni all’Università di Yale, facoltà di legge. Hillary è la prima della classe senza discussioni, come all’epoca del Wellesley College, la severa scuola femminile nel Massachusetts. A venticinque anni la vera predestinata sembra lei e in qualche modo Hillary ne è cosciente. Per quattro anni respinge le proposte di matrimonio del futuro presidente. Scala i migliori studi di avvocati a Washington, coltiva la passione politica, spostandosi gradualmente da posizioni conservatrici e un po’bacchettone verso la difesa dei diritti civili, delle famiglie e dei bambini. A un certo punto Bill decolla e diventa governatore dell’Arkansas. «Ho seguito il cuore e non la ragione» , scriverà Hillary nel momento di lasciare la capitale e trasferirsi nella periferia americana. In realtà è in quel momento che avviene il primo scatto psicologico. La signora Rodham si trasforma in un trattore e comincia ad arare l’Arkansas, la corsia laterale cui si trovava confinata. Fino a entrare nei primi 100 avvocati del Paese, facendosi largo tra un milione (proprio così) di colleghi. Basterebbe un’impresa simile per riempire una vita. Ma per Hillary è solo l’inizio. Arriva la Casa Bianca per Bill e si capisce subito che Hillary non si dedicherà al travaso delle petunie. La first lady interpreta il suo ruolo come fosse un incarico politico, con un peso che Michelle Obama può solo immaginare. Tocca a lei, per esempio, provare a riformare il sistema sanitario americano, cercando di conciliare servizi ed efficienza. Ma il Congresso non la segue. Poi arrivano i guai, le prove più difficili. Prima il caso Whitewater (1994), la storia di una speculazione immobiliare tentata dai Clinton ai tempi dell’Arkansas, ma dopo cinque mesi di indagine i giudici archiviano il dossier. Poi, nel 1998 la macchia indelebile. Bill intreccia una relazione con la stagista Monica Lewinsky e, al di là dei particolari pecorecci che fanno il giro del pianeta tre volte, il leader mente al Paese e (soprattutto verrebbe da dire) a sua moglie. Alla fine Hillary perdona, ma è forse da lì che si mette definitivamente in proprio. Usciti dalla Casa Bianca, Bill è ormai buono solo per le conferenze. La nuova Clinton si candida al Senato e scopre di avere una popolarità che vive di luce propria. Due mandati in scioltezza e sempre in favore di telecamera in rappresentanza dello Stato di New York e poi ecco il grande appuntamento: rientrare alla Casa Bianca, ma questa volta dalla porta principale. Probabilmente ce l’avrebbe fatta se il trattore non si fosse scontrato con il super rapido della storia su cui viaggiava Barack Obama. L’errore? Forse quello di lasciare all’avversario lo slogan del «cambiamento» , scegliendo per sé quello dell’«esperienza» . Un paradosso per una persona che ha sempre vissuto cambiando. Giuseppe Sarcina