Alessandro Penati, la Repubblica 16/7/2011, 16 luglio 2011
IL PATRIMONIO È OK, LA REDDITIVITA’ NO
Solo 5 anni fa le maggiori banche italiane valevano mediamente 2,2 volte il loro patrimonio; oggi appena lo 0,45. Segno che è scoppiata una "bolla" bancaria, o questi prezzi di saldo sono frutto di ansie irrazionali e manovre speculative? Vera la prima.
Tra il 1997 e il 2006 il rapporto tra valore di mercato e patrimonio delle banche italiane è stato in linea con quello europeo, in media circa 2 volte. Un rapporto superiore all´unità segnala aspettative di rendimento del capitale in costante crescita. Aspettative irrealistiche: le banche commerciali offrono servizi identici e non possono puntare su innovazione tecnologica e marchi per aumentare i margini. Caratteristiche queste di un settore maturo, a scarsa crescita. Logica vorrebbe che alla lunga il rapporto valore/patrimonio delle banche oscilli intorno all´unità. Infatti, dal 2009 la media europea è scesa a 0,9, tornando ai livelli dei primi anni ´90: la crisi del 2008 è stata dunque una doccia gelata che ha riportato le banche alla normalità. Il loro decennio aureo è finito per sempre.
Gran parte della perdita di valore delle banche italiane è quindi dovuta a un ridimensionamento delle valutazioni di tutto il settore. Ma c´è uno "sconto Italia" che ha quattro ragioni specifiche.
(1) Il retaggio delle aggregazioni a multipli inflazionati (fino a 4 volte il patrimonio) che gonfiano i bilanci delle nostre banche con avviamenti che non valgono nulla (e pesano il doppio che nella media europea). Al netto degli avviamenti, lo sconto si riduce.
(2) Alla ricerca di facili profitti senza rischio, le banche italiane si sono imbottite di Btp per lucrare la differenza di rendimento col costo dei loro finanziamenti, prossimi allo zero grazie alla Bce. Circa 170 miliardi il solo portafoglio trading delle principali banche secondo gli stress test di ieri; senza contare l´effetto indotto dei Btp nelle gestioni e polizze vita dei loro clienti. Una scelta poco lungimirante: con le attività concentrate in Italia, erano già esposte al rischio paese. Così, quando la crisi europea del debito pubblico ha toccato l´Italia, i loro titoli sono stati doppiamente penalizzati.
(3) Gli stress test mostrano che le banche italiane, nello scenario avverso, avrebbero ratio patrimoniali (Core Tier 1) poco sotto la media europea (7,3% rispetto a 7,7%); non sufficiente dunque a spiegare lo sconto nelle valutazioni. Il capitale è la garanzia contro le perdite; ma bisogna remunerarlo. Il vero handicap delle banche italiane è la scarsa redditività: appena 3,6% previsto dagli stress test per il 2012 in condizioni di normalità. Colpa di attività troppo concentrate in Italia. In un paese che non cresce, anche i prestiti non crescono; le commissioni sui servizi per i risparmiatori possono al più tenere il passo con il loro reddito disponibile, eroso da inflazione e manovre fiscali; il premio per il rischio sui Btp aumenta il costo della raccolta delle obbligazioni bancarie; la crisi del debito costringe la Bce a mantenere i tassi bassi, rallentando così la crescita del margine di interesse; e solo ora le banche hanno cominciato a tagliare seriamente i costi, superiori alla media europea. Il margine di interesse avrà pure toccato il minimo, e le sofferenze il massimo: ma la redditività attesa delle banche, per quanto in aumento rispetto agli ultimi anni, appare largamente insufficiente a remunerare adeguatamente il rischio degli investitori. E l´unica banca con attività prevalentemente all´estero, Unicredit, con un tempismo infelice, ha scelto invece di costruirsi un´immagine di banca legata al territorio in Italia.
(4) Infine, la governance. Banche popolari che chiedono soldi al mercato dei capitali senza rinunciare a un anacronistico voto capitario che blinda il controllo di pochi; fondazioni che vedono nella banca un modo per promuovere interessi locali (Verona, Siena, SanPaolo), o per partecipare agli intrecci di potere (Torino); e sempre, prima vengono le ragioni del controllo. Governance incomprensibile agli stranieri e bassa redditività in un paese che non cresce: nessuna sorpresa che gli investitori disertino le banche italiane, per le centinaia di altri titoli bancari tra cui possono scegliere nel mondo.