Alessandra Mammì, l’Espresso 21/7/2011, 21 luglio 2011
AIUTO, SI SBRICIOLANO LE LETTERE DI MORO
Da dove si comincia?", chiede Eugenio Lo Sardo, direttore dell’archivio di Stato di Roma, uomo di studi e di soave carattere. Dai tagli, si suppone. "Quello è il meno", sospira, "siamo abituati a vivere in ristrettezze. Anche se sotto un certo livello, come si annuncia ora, cominciano i problemi per pagare acqua, luce, gas, spazzatura. Figuriamoci i restauri". L’ufficio di Lo Sardo (luogo spartano con mobili anni Settanta e un condizionatore alla finestra, pure spento) ha sede in uno dei capolavori del Barocco romano. Corso Rinascimento 40, chiesa palazzo e cortile di San Ivo alla Sapienza. Tante stelle sulle guide Lonely Planet e due stelle di fiamme in marmo, ai lati della cupola del Borromini: miracolo di sintesi architettonica gonfio e teatrale come vuole il Barocco e insieme slanciato e ascetico secondo leggi gotiche. Peccato che le due stelle accanto alla cupola siano da tre anni fasciate da tutori e reti metalliche. " Cascano letteralmente a pezzi, dovrebbe occuparsene la Sovrintendenza ai monumenti, ma non arrivano mai i soldi. Il contenimento lo hanno fatto di corsa quando, per evitare incidenti, sono stato costretto a chiudere il cortile. Poi, forse anche per le proteste dei turisti, hanno messo in sicurezza la cupola e sostituito il vecchio monitoraggio con uno nuovo. Io però mi chiedo: invece di cambiare ogni volta il monitoraggio, non si potrebbe procedere ai consolidamenti?".
Saggezza popolare, sia pure di un uomo di studi, che ricorda come quella cupola non segnò solo l’apice del Barocco, ma anche l’inizio del Sessantotto. Dal 19 al 21 febbraio del fatidico anno tre studenti di architettura restarono tre giorni e tre notti appollaiati lassù a far il verso degli Uccelli a lanciare la rivoluzione nel mondo. Erano ragazzi preparati. Avevano scelto bene, forse il più complesso e simbolico dei monumenti. E fa male al cuore vederlo adesso coi cerotti. Anche se i mali di S. Ivo sono più profondi. Da dove si comincia? Forse dalla storia dell’archivio. Memoria cartacea, in materia storico-artistica, la più grande al mondo. Un palazzo che conserva tutti gli archivi pontifici diventati italiani dopo Porta Pia. E dunque il testamento di Michelangelo, gli inventari di Caravaggio, le lettere di Sebastiano del Piombo, i lasciti delle grandi famiglie, i segreti dei cardinali, le cinquecentine corrose dagli inchiostri acidi. Da lì alla storia recente: il sangue di Matteotti rappreso sui vetrini tra i fascicoli degli atti processuali, i bei volti degli anarchici schedati dai piemontesi, gli atti dell’ingarbugliato processo Ali Agca e tutte le lettere di Aldo Moro scritte sulla cartaccia che gli fornivano le Br e già in via di decomposizione.
E poi ci sono le mappe, tra le più antiche del mondo. Quelle che dal cuore di Roma stanno per partire verso Macao, Nuova Delhi o Filadelfia." Capita spesso che i Paesi tropicali ci chiedano prestiti. Da loro il clima ha distrutto tutto. La carta è fragile, vive bene dove l’uomo vive bene. Clima temperato né secco né umido", dice il direttore con il condizionatore spento. E poi enumera i tesori in partenza: mappa della Cina del 1571; carte scritte in India dai gesuiti del XVI secolo; il carteggio tra Filangieri e Franklin da cui nacque la Costituzione americana. "La stupisce che abbiamo anche questo? Ecco un altro problema. Sono cose che dovrebbero sapere tutti. Perché come in una famiglia per difendere il patrimonio prima bisogna conoscerlo".
Appunto. E per conoscerlo ci vogliono signori molto speciali in grado di decifrare lingue ormai sconosciute, inchiostri coagulati e sbafati e abbreviazioni che sfiorano l’enigma di un geroglifico. "Per leggere un atto processuale del Cinquecento ci vogliono almeno una decina di anni di preparazione tra studi storici, giuridici, archivistici e filologici. Ma ormai noi siamo tutti avanti con l’età e non ci si pensa neanche a investire nella formazione. A volte penso che in un mondo dove tutto corre, siamo rimasti i soli a capire il valore della lentezza".
Il massimo esperto di atti processuali della Roma pontificia, un signore allegro dai bianchi e ricci capelli, passa salutando svelto nei corridoi imbottiti di libri e pesanti boiseries. Lui è uno tra i pochi depositari di tanto sapere e le sue preziose consulenze sono richieste persino da sceneggiatori di film e serie tv tipo i "Borgia". Intanto Maria Antonietta Quesada, elegante e discreta signora ("La nostra michelangiolista", come dice Lo Sardo) arriva con un faldone di vecchie carte pergamenose dove in inchiostro seppia appaiono tutte le diverse firme autografe del Buonarroti: Michel Angelo, Michelangiolo, Michelangelo... Anche qui: prognosi riservata, problemi di restauro, impossibilità a trovar soldi. "Forse bisognerebbe informare degli sponsor internazionali. Magari a loro Michelangelo interessa", dicono cercando rassicurazione i due studiosi. Agli sponsor globali, forse. Ma a noi invece? Possibile che se sparisce il testamento di Michelangelo nessuno si preoccupa? Chi è responsabile al ministero? "Nessuno, in particolare", risponde Lo Sardo: "Non c’è "un responsabile" ma una pletora di organi. Per comunicare con i vari uffici amministrativi, sono arrivato a contare ben 27 password. Elenco sommariamente: alcuni restauri sono di competenza del ministero, altri ricadono sotto la voce eventi della società Arcus (Spa per lo sviluppo dell’arte, della cultura e dello spettacolo nata nel 2004, ndr.) poi ci sono i fondi del Lotto, la succitata Sovrintendenza ai monumenti e il Senato che ha alcune sedi qui e fa parte del condominio. Un tempo - bel tempo - c’erano solo quattro dirigenze generali: belle arti, biblioteche, archivi, monumenti. Ora in tanta frammentazione domina invece un’agonia decisionale, che mi spaventa molto, ma molto di più dei tagli alla spesa ordinaria".
Più dei tagli indiscriminati? Più dei soldi per le bollette? Più dell’invecchiamento del personale? Più della mancanza di formazione? Più del pensionamento dei pochi che sanno? Più dell’assenza di progetti futuri? Più dei pezzi della cupola che cadono nel cortile? Più della mancanza di sponsor? Persino di più del testamento di Michelangelo? "Più di tutto. Perché è da lì: dalle crepe che si sono aperte non tanto nella cupola, ma nella struttura ministeriale che nasce tutto questo disastro. E stiamo velocemente arrivando al punto di non ritorno", sussurra sempre con voce gentile questo disperato signore, responsabile della memoria artistica di Roma e grand commis d’Etat che ha dovuto mandare a memoria ben 27 password per parlare con lo Stato. E in nome dell’amore per le sue carte sopporta tutto. Persino il caldo a condizionatore spento.