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 2011  luglio 15 Venerdì calendario

VIE D’ITALIA

Via Berlusconi – genere bisvalido: auspicio o tributo – è forse l’unica memoria toponomastica condivisa. Per il resto, è guerra totale, in questa tribolata Seconda Repubblica.
«Chi controlla il passato, controlla il futuro» era uno degli slogan del Bispensiero, nel profetico 1984 di George Orwell, ma si adatta a pennello al panorama italiano, dove la toponomastica è un bastone da abbattere sul capoccione dei nemici politici.
La legge, in teoria, vieta ai comuni di intitolare strade, vie, piazze, giardini a personaggi deceduti da meno di dieci anni. In pratica, ognuno fa come vuole. Per onorare la memoria di Gianfranco Miglio, che ha lasciato questa valle di lacrime nel 2001, la Lega Nord fece addirittura girare un modello prestampato, con questo incipit: «L’esigenza di abbandonare la vecchia struttura centralista dello Stato, riorganizzandolo in senso federale… In questo quadro, si inserisce l’opera di un grande studioso e pensatore come Gianfranco Miglio», e così via fino alla conclusione: «Gli amministratori del Comune X (da riempire…) ritengono di non poter non tributare un omaggio a
questo grande pensatore e studioso». Il foglio finì tra le mani di un consigliere d’opposizione di Bussolengo (Verona), che di Miglio fu allievo alla Cattolica e che rivelò che mai l’aveva sentito «teorizzare il federalismo, ma semmai il secessionismo, essendo poi uno strenuo oppositore della seconda parte della Costituzione repubblicana». I burrascosi e alterni rapporti del professore con Bossi si ruppero nel 1994, quando il senatur gli preferì Speroni alle Riforme. Miglio disse di Bossi: «Bugiardo, comiziante da bar, plebeo, botolo ringhioso». Bossi disse di Miglio: «Minchione arteriosclerotico, che vada a scopare il mare, è solo una scoreggia nello spazio». Da morto, alla «flatulenza» sono state intitolate vie, scuole e la sala riunioni leghista a Palazzo Madama.
A Erba (Como), la piazza della stazione ha cambiato più titoli di un broker a piazza Affari: vinse la Lega e la trasformò in piazza Padania, poi vinse il centrosinistra e la ribattezzò piazza Roma, rivinse la Lega e… a quel punto i residenti dissero basta, stufi di cambiare l’intestazione ai propri documenti. Finì all’italiana: «Piazza Roma, già piazza Padania».
Quando la destra è arrivata al potere, qua e là, aveva una fame arretrata. Sono oltre trenta le strade e le piazze dedicate al segretario missino Giorgio Almirante, diventato da morto un padre della patria. Abbondano gli escamotage. L’unica via Mussolini – e non nel senso di un’esortazione – sta a Villanova di Camposanopiero (Padova), sarebbe un reato, ma si disse che ci si voleva riferire ai mussolini, moscerini in dialetto stretto. A Latina, c’è un giardino pubblico dedicato sì a Mussolini, ma non a Benito, al fratello Arnaldo. E quando a Rieti stavano per dedicare una via a Alessandro Pavolini, già comandante delle Brigate Nere e capo del Minculpop, dissero che si voleva omaggiare «l’alpinista e pioniere del Terminillo».
A Trieste una strada è stata intitolata a Mario Granbassi, ufficiale fascista che combattè volontario a fianco del generalissimo spagnolo Francisco Franco, e famoso anche per il programma radiofonico «Perché amo il Duce», ma sulla targa
c’è scritto «giornalista e uomo di valore e di valori». E siccome nel comunicato ufficiale veniva ricordato «di come trovò la morte prematuramente combattendo nel 1939 sul fronte spagnolo» ma senza specificare contro chi combattesse, qualcuno rispolverò qualche riga del suo diario spagnolo: «Gridare il nome del Duce, in faccia a questa trincea comunista, in questa notte di guerra, tanto lontano dalla Patria, è per me una soddisfazione che mi dà un’emozione profonda».
Capitolo Craxi. Quando l’allora sindaco di Roma Veltroni disse che voleva dedicargli una via, l’attuale ministro Brunetta, sulle colonne di Libero, lo definì «paraculo». Il primo riconoscimento
ufficiale fu la bretella autostradale di Valmontone (Roma), che qualcuno riferì «essere costata un miliardo per un solo chilometro». Forse alludevano, i maligni... La figlia Stefania propose l’intitolazione al padre di largo Febo, la piazzetta davanti al mitico hotel Raphael, dove papà scappò da raffiche di monetine. E con una di quelle capriole che la storia sa far bene, molti dei lanciatori erano quei militanti del Msi che ora si
battono per celebrare la memoria dell’ex nemico. L’ex sindaco di Aulla (Massa Carrara), Lucio Balani, oggi deputato del Pdl, senza il permesso prefettizio, mise lo stesso una targa posticcia, piazza Craxi, all’angolo con piazza Gramsci, e una statua alta tre metri del segretario socialista in sahariana che fissava l’orizzonte, verso la Lunigiana. Anni dopo, la nuova giunta di sinistra decise di mettere all’asta l’opera – in marmo di Carrara –, asta che andò deserta.
Rifare la storia «strada facendo» può riservare sorprese e apparenti contraddizioni. Esistono vie intitolate al filosofo fascista Giovanni Gentile e anche a colui che molti ritengono essere uno dei suoi uccisori, Bruno Fanciullacci, medaglia d’oro della Resistenza. Nella capitale già ci sono piazza Walter Rossi (sinistra), viale Paolo Di Nella (destra), viale Valerio Verbano (sinistra). L’ultima proposta del sindaco Alemanno è quella di realizzare un monumento per «tutte le vittime della violenza politica».
Un paio di anni fa a Eboli l’ex assessore dell’Udeur, Emilio Cicalese, depennò addirittura un papa, Leone XIII, per far posto alla buonanima di suo papà Cosimo Cicalese, qualifica: «Babbo». Quando invece, nel 2005 Brescia inaugurò «Via Alexander Langer, ambientalista e uomo di pace, 1946-1995», l’assessore ai Lavori pubblici che seguì, il leghista Mario Labolani, promise che «a giorni la faremo sparire, perché non si possono intitolare vie a un terrorista».
Inarrivabile, però, è Soriano sul Cimino, paese appollaiato sui monti sopra Viterbo, dove ci fu chi propose di dedicare i giardinetti del luogo a Pier Paolo Pasolini. Un consigliere della minoranza motivò dottamente la sua contrarietà: «Avrei capito di intitolarli a Dante Terzini, il primo che portò l’Avis in paese, o a Augusto Barzellotti, cui dobbiamo la sagra delle castagne. Invece si propone Pasolini. Ma cosa ha fatto ’sto ricchione per Soriano?». Nessuno seppe rispondergli: e nessunò si sdegnò o lo invitò a chiedere scusa.