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 2011  luglio 15 Venerdì calendario

L’ecologia? Serve a fare un sacco di eco-affari - Nella cultura del nostro tempo quello della Natura è davvero un mito: e in questo sen­so è una buona cosa imbattersi in un volume come quello scritto da Gianfranco Marrone, che con Ad­dio alla Natura (Einaudi, pagg

L’ecologia? Serve a fare un sacco di eco-affari - Nella cultura del nostro tempo quello della Natura è davvero un mito: e in questo sen­so è una buona cosa imbattersi in un volume come quello scritto da Gianfranco Marrone, che con Ad­dio alla Natura (Einaudi, pagg. 145, euro 10) ha inteso mettere in discussione le radici di tale dog­ma. Studioso di comunicazione, l’autore affronta la questione sot­to vari punti di vista, intrecciando analisi che convergono nella de­nuncia della presunta oggettività del mondo esterno. Egli sottoli­nea con forza come nella cultura ambientalista la Natura (rigorosa­mente con la lettera maiuscola) non vi siano solo poesia e senti­mento, perché essa si radica so­prattutto in una logica positivisti­ca. Una nostalgia da eterni adole­scenti si sposa insomma con le pretese di scienziati che hanno perso ogni senso del limite. Criticando il naturalismo, Mar­rone contesta pure quelle ricer­che - si pensi alle neuroscienze -che tendono a eliminare la com­plessità dell’uomo e della socie­tà, degli uomini e delle società, operando una «riduzione» al cor­poreo di quanto è emotivo, psico­logico, culturale. La mappatura del cervello serve a descrivere l’uniformità del reale e individua­re una spiegazione causale che sia la più semplice possibile, ma a ben guardare questo positivismo giorno dopo giorno reinventa a modo suo la realtà, anche se cre­de di limitarsi a descriverla. Fin­giamo che la realtà esterna sia uni­voca anche per celare le nostre strategie manipolatorie. Tutto ciò è sublimato in molte eco-merci oggi in vendita, specie se si considera che «parlare di pro­dotti biologici o packaging dei prodotti biologici è praticamente la stessa cosa». E in effetti al cen­tro dell’azione di chi compra vi so­no l’etichetta, la grafica e l’aura che circondano l’oggetto, ben più che la natura stessa. Tali prodotti naturali offrono una rappresenta­zione del mondo dominata dal mito del realismo, «a cui si asso­cia forse inconsapevolmente un’estetica della bruttezza». Gli spaghetti devono essere un po’ ir­regolari, mentre sulla confezione i colori che prevalgono sono «il beige, l’avana, il marrone chia­ro ». Naturalmente, e mai avver­bio fu più appropriato, la frutta biologica esibisce le proprie im­perfezioni come titoli di nobiltà. Tale ermeneutica dei prodotti naturali serve a mostrare come la studiata semplicità metta in sce­na «un vero e proprio conflitto fra la presunta artificiosità che carat­terizzerebbe l’universo attuale del consumo (ordinario) e gli ide­ali naturalistici - etici ed estetici ­che vengono invece perseguiti dal consumatore». Al fondo del­l’eco- business, poiché il gioco è ipocrita, vi è l’idea che «è naturale ciò che sfugge alle leggi del consu­mo e del mercato». L’autore individua comunque due strategie del naturalismo: quella che riconduce a Prometeo (e all’ambientalismo razionalista degli ingegneri) e quella che por­ta a Orfeo (antesignano della deep ecology e dei panteisti che vo­gliono proteggere la Madre Terra non perché serva all’uomo, ma perché possiede una dignità auto­noma). Non si tratta comunque di universi contrapposti, dato che tali logiche sono «due facce della stessa medaglia». Scienza e Natura s’implicano a vicenda e invitando ad abbando­nare il mito di una natura estra­nea all’uomo e ai suoi discorsi Marrone licenzia la stessa razio­nalità. È in effetti la scienza che «appare in ultima istanza il sog­getto incaricato di dire la Natura, di indicarne i segreti, spiegarne i funzionamenti»: nell’illusione che essa esista come realtà a sé stante. Il peccato originale va allo­ra addebitato a Platone e al mito della caverna, ma qui ci si imbatte in un problema cruciale. Abolen­d­o la natura non si prendono le di­stanze solo dall’ecologia e dallo scientismo. È la stessa realtà, qua­le universo oggettivo, a essere messa in dubbio. Non a caso l’auctoritas a cui maggiormente ci si riferisce è Bruno Latour, un sociologo della scienza a cui è dif­fic­ile non rimproverare una voca­zione relativista. È sicuramente opportuno con­testare l’idea- tutta cartesiana - di un libro della natura scritto in ca­ra­tteri matematici e destinato a es­sere svelato da scienziati in cami­ci bianchi. Ma da questo non di­scende necessariamente l’accet­tazione della tesi post-nietzschia­na secondo la quale i fatti sono po­sti in essere dalle interpretazioni. Ben oltre i miti naturalistici, la re­altà offre una sua resistenza e gli esseri umani- a dispetto di tutto ­continuano ad affannarsi a scrive­re libri e recensirli proprio perché ritengono che confrontarsi sulla realtà non sia un’operazione in­sensata. E neppure una semplice intrapresa da antropologi, inte­ressati a conoscere la molteplici­tà delle nostre rappresentazioni del mondo.