Giampiero di santo, ItaliaOggi 15/7/2011, 15 luglio 2011
EUROLANDIA, BIGLIETTO DA 105 MLD
Costa caro il biglietto per Eurolandia. Sia per entrare, sia per restare. L’Italia, complessivamente, per partecipare al Club della moneta unica e rimanere ancorata all’euro anche adesso che gli stati aderenti sono aumentati da 12 a 17, dovrà sborsare oltre 105 miliardi di euro, 203.308 miliardi delle vecchie lire.
Tutto per le due manovre lanciate nel 1997dal governo guidato da Romano Prodi e nel 2011, ai giorni nostri, dall’esecutivo targato Silvio Berlusconi.
Il Professore di Reggio Emilia, per consentire all’Italia, ancora in ritardo rispetto agli allora recenti parametri di Maastricht (il trattato istitutivo dell’Unione monetaria firmato per l’Italia da Guido Carli nel 1992), di entrare con gli altri big europei nel gruppo dei primi, fu costretto a fare lievitare la Finanziaria per il 1997 da poco più di 20mila a 62mila miliardi di lire. Cifra poi salita di circa 8mila miliardi con l’Eurotassa, un’imposta di scopo nata per raggiungere il fatidico parametro del 3% di rapporto tra deficit e pil e successivamente restituita agli italiani in percenuale del 60%. In euro, gli interventi messi a punto dai ministri del Tesoro, Carlo Azeglio Ciampi, e delle Finanze, Vincenzo Visco, raggiunsero la bella somma di 35 miliardi, all’epoca seconda seconda soltanto a quella della mitologica e altrettanto famigerata manovra di oltre 103mila miliardi di vecchie lire, 53,2 miliardi di euro, varata dal premier Giuliano Amato nel 1992 per mettere al riparo l’Italia dalla tempesta finanziaria che l’aveva colpita. Trascorsi quasi venti anni, però, anche la Finanziaria-monstre di Amato, quella che previde addirittura il prelievo sui depositi bancari retroattivo a due giorni prima del varo del decreto da parte del consiglio dei ministri, sta per essere superata. Con gli interventi aggiuntivi messi in cantiere dalla commissione bilancio del senato e approvati dall’assemblea di palazzo Madama (vedi l’articolo a pagina 3) la manovra del ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, salirà infatti a 70 miliardi di euro. Certo, l’orizzonte temporale è meno concentrato, visto che si tratta di tre anni, ma la botta è di quelle senza precedenti. E siamo di fronte anche in questo caso, come è già avvenuto nel 1996-1997, di fronte a una stangata nata come manovra di importo modesto o al massimo normale, e poi lievitata fino a livelli record. Basta tornare indietro di qualche settimana per rendersene conto: nella sue versione originaria, la Finanziaria triennale di Tremonti prevedeva una correzione dei conti leggerissima nei primi due anni, 1,8 miliardi di euro nel 2011, e 5,5 miliardi nel 2012, per poi accelerare il passo nel 2013 (17 miliardi) e nel 2014 (23 miliardi). Il totale, dunque, al 2 luglio, era pari a poco più di 47 miliardi, poi diventati oltre 50 durante l’elaborazione tecnica successiva all’approvazione in consiglio dei ministri e arrivati ieri a 70 miliardi complessivi. Con uno scatto di reni giustificato dall’emergenza finanziaria e dalla necessità di rispondere in tempi brevi, anzi brevissimi, agli attacchi della speculazione che hanno fatto aumentare lo spread tra Btp decennali e Bund tedeschi a oltre 300 punti base nei giorni scorsi. Ecco perché alla fine il conto dell’euro, per l’Italia, è salato, anzi salatissimo, più di 100 miliardi di euro. Ma se qualcuno pensa che sarebbe stato meglio evitare di spendere tanto e rimanere ancorati alla liretta tanto forte nel 1959 quanto debolissima nel 1992, si sbaglia. Sì, perché probabilmente, anzi con la massima certezza, all’Italia essere esclusa da Eurolandia sarebbe costato carissimo. Fuori dalla moneta unica, il divario tra i tassi di interesse italiani e tedeschi sarebbe rimasto enorme, perché gli investitori avrebbero preteso sui titoli di stato emessi da Roma rendimenti ben più alti.
Grazie alla prospettiva di ingresso nell’euro da subito, invece, già nel 1997 cominciò quel processo di convergenza tra Italia e Germania che a partire dal 2002 ha consentito all’Italia di rispamiare circa 20 miliardi l’anno di spesa per interessi. Fatti due conti, si scopre che in nove anni sono stati risparmiati circa 180 miliardi, oltre il 70% in più dei 105 miliardi delle due manovre Ciampi-Tremonti.