Aldo Grasso, Corriere della Sera 15/7/2011, 15 luglio 2011
IL RUMOROSO SILENZIO DEL GRANDE COMUNICATORE
Il silenzio di Silvio Berlusconi fa rumore. È un silenzio che dura quasi da una settimana, rotto solo da qualche nota ufficiale per disdire un impegno (il raduno del Milan, la conferenza stampa accanto al ministro Michela Vittoria Brambilla, la commemorazione a Sant’Ivo alla Sapienza in memoria del suo caro amico Romano Comincioli) o per un generico e istituzionale appello alla coesione e al dialogo. Magari oggi leggeremo da qualche parte una sua lunga intervista, ma, per intanto, è un silenzio che inquieta.
Nel momento delicato che stiamo attraversando, tace l’uomo che ha costruito la sua fortuna imprenditoriale e politica sulla comunicazione. Una qualità che persino gli avversari gli hanno riconosciuto, sia pure stingendola verso il «venditore» o il «piazzista» . Il silenzio, per Berlusconi, dev’essere davvero sovrumano, uno sforzo terribile di disciplina, controllato a vista dai suoi più stretti collaboratori. Quante cose avrebbe da dire, come una pentola in ebollizione che sta per esplodere fragorosamente: contro i giudici di Milano, contro le agenzie di rating, contro gli speculatori, contro qualche suo ministro, contro i comunisti. E invece tace, con fragore assordante. Per lui parla la figlia Marina. Qualcuno lo descrive come un animale in gabbia, silente per amor di patria, taciturno solo perché la manovra vada in porto, zitto perché i mercati non interpretino male un suo pensiero, muto per non irritare il Colle. Di qui l’ambiguità di un silenzio cui si possono dare nomi diversi. Perché il Grande Comunicatore tace? Nemmeno una mezza frase, nemmeno un post su Facebook, nemmeno un tweet: sono i silenzi di chi giudica, non di chi dorme, «The Sound of Silence» , come cantavano Simon &Garfunkel. Sono i silenzi di un uomo che si sente, a torto o a ragione, ferito nel suo amor proprio: dover delegare ad altri la manovra che ci tuteli dal rischio default, non riuscire a parlare direttamente agli italiani per spiegare loro il come e il perché, non potersi ergere a salvatore della Patria. Un Berlusconi che non parla non è nemmeno Berlusconi: forse il suo è quel silenzio particolare delle grandi paure, il silenzio degli innocenti, il silenzio fuori ordinanza, il silenzio stampa. Per chi ha avviato in Italia un processo di personalizzazione della politica, dove la parola è tutto, stare zitti è tortura. Ma, come dice Philippe Noiret in «Nuovo cinema paradiso», «prima o poi arriva un tempo che parlare o stare muti è la stessa cosa. E allora è meglio starsi zitti».