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 2011  luglio 14 Giovedì calendario

VERDIGLIONE: NON ACCUSANO ME MA SOLO IL MIO FANTASMA

Non è poi così diverso dalle ultime apparizioni pubbliche che risalgono a una ventina di anni fa. Salvo forse per l´ampia circonferenza del punto vita. Per il resto il corpo massiccio ben conservato, la testa voluminosa sovrastata da una capigliatura folta, il cui cachet nero mogano contrasta con il bianco del volto, rendono Armando Verdiglione una sorta di gran prelato. Dice di alzarsi tutte le mattine alle quattro. Una colazione frugale e poi il raccoglimento nel suo studio, collocato in un ampio e prestigioso appartamento nel cuore di Milano, proprio dietro alla Scala, dal quale sta per traslocare. E forse a quel trasloco non sono estranee le recenti vicissitudini giudiziarie – una grossa frode al fisco – di cui le cronache hanno ampiamente reso conto nelle scorse settimane. A onor del vero la situazione giudiziaria si va chiarendo, dopo che la magistratura ha deciso di dissequestrare i suoi beni (tra cui la famosa Villa San Carlo Borromeo). Ma la partita è tutt´altro che conclusa. Chi è Armando Verdiglione e perché, a dispetto del suo prolungato silenzio, egli continua a fare notizia? Non è facile parlargli. Normalmente si ripara dietro ai suoi collaboratori. Ma non è neanche facile sentirlo parlare: la lingua di Verdiglione è complicata, astrusa, oscura. O si è nel suo mondo o si resta esclusi dalla comprensione. Il gioco però può essere interessante, anche per capire che cosa di effettuale c´è dietro il suo lessico. Il gran numero di libri che ha scritto – vagando dalla cifrematica (vedremo se si riuscirà a chiarirne il senso) a Leonardo, dalla psicoanalisi come dissidenza al capitalismo intellettuale – ne fanno un raro e complicato intellettuale. Proviamo a rubricarlo con la chiave che apre tutte le porte della sottomissione: la parola "guru".
«Non sono un guru. Anche se l´espressione ha in India una sua rispettabilità».
Le sue recenti disavventure giudiziarie, neanche fosse un film di Nanni Loy, sono state intitolate dalla guardia di finanza "operazione guru".
«Molto fantasioso. Queste persone hanno inseguito un personaggio che assolutamente non ero io. Cercavano un fantasma di sé non di me. Il personaggio è di chi lo crea, lo immagina, lo pensa. Io ne sono estraneo».
Eppure, guardi, ce l´avevano con lei.
«Ce l´avevano con un´idea precisa del personaggio e cercavano, senza mai avermi chiesto nessuna delucidazione, qualcosa che potesse dare qualche vaga consistenza a questa idea. Non c´è stato un intento persecutorio ma un piano distruttivo».
La differenza è di sfumature.
«Esiterei ad adoperare la parola persecuzione perché vorrebbe dire che un gruppo di persone abbia predeterminato la cosa. E non ne ho le prove. Questa indagine giudiziaria può essere nata come una faccenda burocratica».
Lei non è nuovo a queste disavventure. Ci fu nella seconda metà degli anni Ottanta l´accusa per truffa e soprattutto di circonvenzione di incapace.
«Senza dire né dove né quando fui accusato di aver influenzato, per interposta persona, un dentista che investì in un´impresa culturale 54 milioni di lire e ne ricevette, dopo nove mesi, 185. Dov´era la truffa?».
A dire il vero si parlò di 200 milioni che non tornarono nelle tasche del dentista.
«No, le ho detto come andarono le cose. Non ci fu da parte mia nessun ricavo economico. Perfino Jean Daniel intervenne in mia difesa contro l´accusa di circonvenzione di incapace, giudicandola assolutamente risibile. Fu tutto un pretesto».
Lei venne condannato a una pena di oltre quattro anni.
«Che ho affrontato con assoluta dignità, senza mai assumere il ruolo di vittima e tenendo conto che si trattava di una battaglia intellettuale che prescindeva da Verdiglione. E così la intesero tutti coloro che vennero in tribunale da ogni parte del mondo e presero le difese del mio operato».
Furono soprattutto gli intellettuali francesi a schierarsi dalla sua parte.
«Borges, Elie Wiesel, Harold Bloom non erano francesi. Persino in Russia e in Cina uscirono articoli in mio favore».
Si diceva di lei che fosse legato al socialismo rampante.
«Quante se ne sono dette. Perfino che Craxi ogni domenica mattina faceva analisi con Verdiglione. Falso. Non ci siamo mai conosciuti».
Però collaborava con case editrici legate ai socialisti: Marsilio e SugarCo.
«Ho iniziato a scrivere per Feltrinelli. Poi sono diventato socio di Marsilio e SugarCo. Ho creato e diretto collane di libri. Ho pubblicato io nella Marsilio La barbarie dal volto umano, un caso editoriale che ha venduto in Italia 150 mila copie. Qualche anno fa Bernard Henri-Lévy ha dedicato in un nuovo libro un capitolo al mito dei congressi di Verdiglione».
Cosa significa il suo mito?
«Non il mito di Verdiglione, ma dell´attività che ho svolto».
Tende a negarsi come soggetto.
«Non esisto. Lei non troverà mai in nessuno dei miei libri la parola Io».
A proposito dei suoi libri, sono un concentrato di oscurità.
«Lo si diceva 40 anni fa. Se oggi qualcuno riprendesse in mano La dissidenza freudiana, pubblicato da Feltrinelli e da Grasset nel 1978 in Francia, si accorgerebbe che è un testo semplicissimo».
Si richiamava allora all´École Freudienne di Lacan.
«Non mi richiamo a nulla».
Ma lei è stato in analisi con Lacan?
«Per dieci anni».
Che rapporto avevate?
«Nessun rapporto, l´analisi non è un rapporto sociale».
Diciamo, allora, come avvenivano gli incontri?
«Non è raccontabile, non c´è un derelato, non si può riferire. Non c´è un´esperienza sull´esperienza, un atto sull´atto. L´atto è originario e non si può raccontare. Lacan, come altri intellettuali, ha semplicemente fatto parte del mio itinerario».
È stato un punto di svolta nella sua vita?
«Oggi non saprei dirglielo. I miei libri sono a una distanza immane da Lacan. E proprio perché è stato un vero maestro non mi ha influenzato».
In comune avete la tendenza a rendere oscure le cose chiare.
«La mia scrittura non c´entra niente con Lacan. Non è fatta per dimostrare, per commentare, per giustificare. Diciamo che è una scrittura insolita per l´Italia. Ma Lacan lo lascerei fuori».
Si dice che prima di morire l´avesse ripudiata.
«Mai sentita una cosa del genere. Penso che mentre moriva avesse altri pensieri nella testa».
Eppure lei per dieci anni ha fatto analisi con lui, pagandolo.
«E allora? Lei crede che l´analisi siano le minchiate del vissuto? La storia personale? Il soggetto? No. Ogni seduta con lui riguardava la mia elaborazione teorica, i miei libri».
Ce l´ha con la psicoanalisi?
«È stata una breccia aperta con Freud. Ma poi le ideologie nazionali l´hanno assunta sotto l´insegna della psicologia, dell´antropologia, della sociologia. Io mi sono occupato sempre di cifrematica».
Che cosa è?
«È la scienza della vita, non l´episteme, che nasce con il nostro Rinascimento».
Ci faccia un esempio.
«Ora mi devo mettere a dimostrare? Cosa sono un prestigiatore? Nietzsche chiamava la cultura del ressentiment, quella di coloro che devono sempre giustificare, dimostrare, dichiarare la finalità di un discorso».
Visto che lei ha sostituito la psicoanalisi con la cifrematica…
«Non ho sostituito nulla. Penso che la psicoanalisi sia una religione. E solo una religione, lo dice Freud, si può sostituire con un´altra religione».
Che cosa fa oggi Verdiglione?
«Scrive libri, si occupa della casa editrice Spirali, amministra un´impresa».
E non si sente un guru?
«Nel nostro movimento culturale la direzione non è personale. Il dispositivo regola l´orientamento. La direzione è sempre un´ipotesi e non è mai scontata. Bisogna sapere che a un certo punto la rotta si modifica».
Lei la indica?
«Il mio contributo è di non abolire il malinteso. Perché dissipare il malinteso significherebbe entrare in un altro malinteso».
Gioca con le parole per sfuggire alla responsabilità del significato?
«Le parole non hanno significato. La comunicazione non è significazione. Accade: come il vento che va e che viene, cito da L´Ecclesiaste. La comunicazione giunge attraverso l´alingua che non è la propria lingua, quella materna, ma una lingua segnata dall´afasia, cioè dalla parola senza soggetto».
È questo ciò che insegna?
«No, guardi, io non insegno. Imparo, ed è già un´esagerazione».
Cesare Musatti, decano della psicoanalisi italiana, la definì un cialtrone.
«In pieno "affaire Verdiglione" quando tutti, proprio tutti, mi attaccavano risposi con immensa ironia a Musatti».
Lei è portatore di un pensiero astruso ma è anche un uomo molto concreto. Si riconosce?
«Nulla è concreto. E non ho nessuna concezione o visione del mondo. Se vuole sapere chi sono io, le rispondo: una persona molto ingenua».
Alcuni pensano che lei sia una persona molto scaltra.
«Si sbagliano. Forse intelligente, ma soprattutto ingenua».
Posso chiederle come ha fatto i soldi?
«Coniugando impresa e lavoro intellettuale. Si tratta di una scommessa iniziata 40 anni fa. La casa editrice, la fondazione, la Villa San Carlo Borromeo, sono state le fonti del nostro finanziamento, senza mai chiedere soldi o favori a nessuno».