MASSIMO LUGLI , la Repubblica 14/7/2011, 14 luglio 2011
QUANDO "SERGIONE" TELEFONÒ A CASA DI EMANUELA ORLANDI - ROMA
«Ma quanto guadagna un poliziotto? Milleduecento euro? Millecinque? La verità è che so´ invidiosi, per questo se la prendono con me». Una frase, una delle tante intercettate dalla squadra mobile, che la dice lunga sul personaggio. Giuseppe De Tomasi, testaccino Doc, 74 anni, 150 chili, una mole che gli è valsa tre soprannomi al superlativo ("Sergione" "Chiattone" e "Ciccione") è una figura tipica della mala finanziaria romana, un mix di atteggiamenti arroganti, astuti o lamentosi a seconda delle circostanze, sempre pronto a nascondersi dietro la facciata del vecchio malato perseguitato senza colpa. Durante l´ultima perquisizione degli agenti di Vittorio Rizzi si è fatto trovare in poltrona con la coperta sulle ginocchia, ha finto un malore e ha agguantato un cuscino per metterselo sotto la testa e respirare meglio. Un gesto goffo che ha insospettito i poliziotti: nel cuscino c´erano 30 mila euro in contanti. La moglie (finita in carcere assieme alla moglie, ai due figli, al consuocero, al genero e all´ex fidanzata del figlio) aveva già nascosto l´argenteria. Ma il patrimonio di "Chiattone", per quanto intestato a una rete di prestanome, parla chiaro: 10 appartamenti, 10 auto di gran lusso, 9 società, 3 circoli ricreativi. E chissà quanto contante e gioielli già nascosti da tempo.
Condannato nel 2002 con sentenza definitiva a 3 anni e 3 mesi per associazione a delinquere, De Tomasi non è mai stato uno che spara e, come profilo criminale, assomiglia molto al suo collega e concorrente Enrico Nicoletti, il cassiere della Banda della Magliana, tornato dietro le sbarre per l´ennesima volta qualche giorno fa. La sua arma è il libretto degli assegni, il suo campo d´azione investimenti, usura e riciclaggio. Figura defilata nella gang di "Romanzo criminale" ha ammesso solo l´amicizia con padre di "Renatino" De Pedis («Aveva il banco di carne e il figlio mi portava le bistecche a casa»). In una colossale operazione anti riciclaggio del ‘93, che travolse parecchi ex della Magliana, "Chiattone" finì nei guai assieme a Tiberio Simmi, fratello del suo amico di vecchia data Roberto e zio di Flavio, l´orefice assassinato con nove colpi di semiautomatica calibro 9 nel cuore di Prati dieci giorni fa: un omicidio di cui ancora non si riesce a capire il movente.
Nell´inchiesta sul sequestro di Emanuela Orlandi, Giuseppe De Tomasi è entrato in punta di piedi tanto che non è stato neanche incriminato. Una storia strana: pochi giorni dopo la scomparsa della quattordicenne, alla famiglia arriva la telefonata di un certo "Mario" che cerca di rassicurare i genitori: «Manuela se n´è andata con uno che conosco, si annoiava troppo ma non vi preoccupate, torna a casa per il matrimonio della sorella». Il telefono degli Orlandi non è intercettato ma la famiglia registra tutto coi mezzi artigianali di 18 anni fa: bobina e spinotto. Quando l´inchiesta viene riaperta dalla squadra mobile romana, la voce di "Mario" viene confrontata con quelle di tutti i "bravi ragazzi" della Magliana. Responso degli esperti: è proprio il "Ciccione" anche se nessuno può incolparlo di alcun reato visto che nella conversazione non ci sono minacce o richieste di denaro.
Nel frattempo, l´indagine su uno dei più clamorosi misteri degli ultimi 50 anni ha ripreso quota con le rivelazioni "a rate" di Sabrina Minardi, che spesso le spara grosse ma sicuramente qualcosa sa. La squadra mobile romana punta su tre personaggi: Sergio Virzù, ex autista di "Renatino", Angelo Cassani detto "Ciletto" e Gianfranco Cerboni, alias "Giggetto" (che ovviamente negano tutto). Nel 2005, qualcuno chiama la redazione di "Chi l´ha visto?": «Se volete la verità cercatela nella tomba di Enrico De Pedis». La procura identifica la voce: è Carlo Alberto De Tomasi, il figlio di "Sergione". Ma il padre non ci sta, cinque anni dopo, chiama in diretta Federica Sciarelli. La litania è la solita: mi perseguitano da 30 anni io non c´entro niente, sono vecchio, sono malato e mio figlio è un ragazzo pulito, incensurato, che lavora. Chiede di far risentire la telefonata di "Mario" e trasecola: «Ma vi sembra la mia voce quella? Io non parlo così e tra l´altro mi esprimo in italiano, non in romanesco come quel tizio, non è la mia educazione».