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 2011  luglio 14 Giovedì calendario

CÈLINE VISTO DA VICINO

Louis-Ferdinand Destouches in arte Céline è stato, a parere dei migliori, il più grande scrittore del Novecento e lo è stato nella maniera disperata, tormentata e folle in cui si poteva essere grandi in un tempo violento, persecutorio e fuori dalla grazia di Dio quale è stato il ventesimo secolo.
La storia della sua vita è figlia in tutto e per tutto di quella stagione. Scrisse romanzi epocali (Morte a credito il numero uno, Viaggio al termine della notte il numero due, ma anche altri suoi libri, forse un po’ trascurati, andrebbero pienamente onorati), pagò con la galera durissima (in Danimarca) le sue idee (ma erano visioni) non politicamente corrette che gli valsero le accuse di antisemitismo e nazismo. Fu un profeta (vero) e la sfera di cristallo nella quale vide il futuro (e forse l’eternità della, non pregevole, condizione umana) fu la buia notte della Prima guerra mondiale, la pentola di cottura di tutte le successive e immani tragedie.
Per sapere come fu veramente Céline bisogna leggere un libro più unico che raro, Il mio amico Céline di Robert Poulet. Poulet, che fu condannato a morte per collaborazionismo e poi amnistiato, frequentò Céline quando questi, negli Anni Cinquanta, tornato dall’ergastolo danese, si rifugiò in autoesilio sulla collina di Meudon, dalla quale guardava tutta Parigi, in un villino in stile Luigi-Filippo dove viveva con la moglie Lucette (che lì teneva la sua scuola di ballo) e un numero cospicuo di cani perduti e senza collare, pappagalli e altre bestiole. In questo eremo continuò a esercitare come medico (praticamente senza clienti) e come scrittore.
Dalle parole di Poulet emerge un ritratto (autoritratto) grandioso dello scrittore. Sembra di trovarselo davanti, vestito come uno zingaro ma con l’eleganza naturale dei poveri (pantaloni sformati, foulard sfilacciato, sciarpa, gilet di pelle sopra il maglione di lana, capelli ravviati all’indietro, «l’occhio sinistro socchiuso… l’occhio destro spalancato, bruciante, pungente, duro», l’espressione «nobile e prostrata»). Céline parla di tutto. Anche di letteratura: «Una volta la letteratura… la faceva la pazienza in persona, mica gli individui» e le opere venivano costruite «un poco per volta, come le ricamatrici nei conventi: c’era tutto il tempo… Oggigiorno tutti vogliono ricominciare da zero. Ma che cavolo vuoi combinare in una sola povera vita?».
Plebeo e aristocratico, ferocemente anarchico, così Céline sgombra il campo dai mille equivoci depositatisi sulla sua figura: «Vediamo di capirci! Io parlo come un idraulico perché mi ci trovo meglio; ma sono una persona colta, io, un raffinato». E conclude tremendamente: «Me, la morte mi abita. E mi fa ridere! Se lo ricordi bene: la danza macabra mi diverte». Céline morì 50 anni fa, il giorno dopo Hemingway, entrambi, due facce di una stessa medaglia, raccontarono, ognuno col suo stile, il cuore di tenebra del mondo.