Stenio Solinas, il Giornale 14/7/2011, 14 luglio 2011
Ecco cos’è l’eleganza. Parola di monsieur Balzac - Nel 1830, quando Balzac scrisse il Trattato della vita elegante (di cui ora Alex Pietrogiacomi cura una nuova edizione, Piano B, 103 pagine, euro 12 , disegni di Massimiliano Macchia di Coggiola, introduzione di Tiziana Goruppi, post-fazione di Salvatore Parisi), la Francia aveva ormai archiviato l’aristocrazia e Napoleone, ma rimpiangeva la douceur de vivre della prima e la gloria del secondo
Ecco cos’è l’eleganza. Parola di monsieur Balzac - Nel 1830, quando Balzac scrisse il Trattato della vita elegante (di cui ora Alex Pietrogiacomi cura una nuova edizione, Piano B, 103 pagine, euro 12 , disegni di Massimiliano Macchia di Coggiola, introduzione di Tiziana Goruppi, post-fazione di Salvatore Parisi), la Francia aveva ormai archiviato l’aristocrazia e Napoleone, ma rimpiangeva la douceur de vivre della prima e la gloria del secondo. Era borghese, insomma, ma se ne vergognava. Sui giornali dominavano le cosiddette «fisiologie »: del gusto, della moda, del comportamento, del matrimonio, che altro non erano se non codici comportamentali con cui la nuova classe al potere costruiva i propri quarti di nobiltà scimmiottando e/o adattando i modelli di quella di cui aveva preso il posto. L’artificiale si sostituiva al naturale, sperando che il tempo avrebbe lavorato per lui. Balzac era un omone assediato dai creditori e vittima della propria bulimia: di scrittore, di esteta, di amante della vita. Era nato in ritardo sul tempo che sentiva sarebbe stato il suo, ma aveva la lucidità necessaria per capire che la ricchezza, il successo, la lotta e gli intrighi per ottenere l’uno e l’altro, erano i nuovi idoli di una nazione che la Rivoluzione prima, l’Impero, la sua disfatta e la Restaurazione poi, la monarchia di Luglio, infine, con l’esilio definitivo dei Borboni, avevano condannato a un presente prosaico e senza idealità. Troppe, e troppo amaramente pagate, erano state quelle che nel quarantennio precedente avevano tenuto banco: il risultato era un Paese usurato dal suo aver troppo creduto. Se il Trattato della vita elegante sia da annoverarsi fra le opere balzacchiane «minori», è questione che attiene più ai francesisti che ai lettori. Qui basterà dire che in essa si ritrovano i temi classici della «commedia umana» che lo scrittore si era impegnato a raccontare e a descrivere, un lavoro talmente sfibrante e mostruoso nelle dimensioni e nell’impeto con cui vene steso da far stramazzare anche un toro delle lettere quale Balzac era, e come di fatto avvenne. A disagio nel mondo borghese, di cui però faceva parte, nel Trattato egli si industriò non tanto a dare al nuovo soggetto i consigli giusti per muoversi nella società di cui era il nuovo dominus, ma a svelarne gli elementi per cui quella dominazione, per quanto reale, fosse in realtà effimera. Era destino che la borghesia rimpiazzasse l’aristocrazia, ma per Balzac non ne avrebbe mai preso il posto, schiacciata da un senso di inferiorità da un lato, incapace di creare un proprio stile eguale e insieme contrario. Così, il Trattato è la storia del disagio borghese nei confronti del proprio corpo, tema balzacchiano per eccellenza, e insieme il tentativo di una sorta di riposo del guerriero applicato alla figura dell’artista: vietata la gloria della grandezza, non restava che la torre d’avorio dell’unicità, il rifiuto del darwinismo sociale applicato alle professioni. «Il fine della vita civile o selvaggia è il riposo. Il riposo assoluto genera lo spleen . Lavita elegante è l’arte di animare il riposo. L’uomo abituato al lavoro non può comprendere la vita elegante ». Lavoratore mostruoso, Balzac non si considerava tale. Lui era un artista,e quindi era un’eccezione: «Il suo ozio è un lavoro, e il suo lavoro un riposo: non subisce la legge; la detta. Ha un’eleganza e una vita tutta sua, perché in lui tutto riflette la sua intelligenza e la sua gloria». Nei quasi due secoli che ci separano dal tempo e dall’opera di Balzac, quei timori e quelle considerazioni che ne erano alla base, sono divenuti non solo reali, ma consustanziali alla modernità. Balzac temeva la democrazia del denaro perché era un’aristocrazia mascherata che produceva una diseguaglianza senza nobiltà. Non contava più ciò che eri, ma quanto economicamente valevi. Saltavano le coordinate e ci si avviava verso una società dove il profitto era l’unico elemento«degno»di essere perseguito. Solo che «ricchi si diventa; eleganti si nasce» dice Balzac nel suo Trattato , e «non è il vestito che rende eleganti, ma il modo di portarlo». Sconfitto dalla maggioranza, lo scrittore scriveva per quelle minoranze pessimiste e attive che cercano di salvare nel naufragio della società di massa gli elementi distintivi di un carattere e di un modo d’essere.